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Fabio Della Pergola

Fabio Della Pergola

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  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 19 agosto 2013 09:02
    Fabio Della Pergola

    Confermo di essere d’accordo con quanto dice sul sistema capitalistico anche se non so immaginare quale altra modalità economica avrebbe mai potuto far uscire - per esempio - il miliardo di cinesi dalla povertà endemica e dalla morte per fame ciclica (non la prenda come una difesa d’ufficio del capitalismo, ma come una riflessione seria !).

    Quanto a Fagioli le consiglierei, se mi posso permettere, di mettere da parte davvero i pregiudizi che a volte non sono buoni consiglieri. Il testo citato è molto interessante sia negli aspetti che riguardano l’autore (si tratta di un’intervista che spazia dagli aspetti più personali a quelli più teorici) sia, appunto, alle considerazioni storiche.
    Saluti.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 18 agosto 2013 01:58
    Fabio Della Pergola

    Sono naturalmente d’accordo in gran parte con quanto scritto dal commentatore. Aggiungerei solo una postilla di parziale disaccordo quando si individua solo nel Capitalismo l’avversario della sinistra. Non che non lo sia (quantomeno nella sua forma deregolamentata e ultraliberista), ma non vorrei che si tornasse poi alla "vecchia" dicotomia capitalisti-proletari che non contempla l’intero ventaglio delle dimensioni disumane.

    Il superamento del capitalismo può essere realizzato anche attraverso una regressione verso dimensioni precapitalistiche di stampo religioso (anche non necessariamente legata alle religioni conosciute). L’Islam di Khomeini ne è un esempio perfetto (e non è un caso se appena tornato in Iran fondò un circolo heideggeriano islamico). Si tratta di un "superamento" che non va al di là del conosciuto attuale nella direzione di una maggiore evoluzione umana, ma per una regressione a dimensioni di alienazione altrettanto marcate (se non di più) di quelle provocate dal sistema capitalistico e dalla supremazia del "fare".

    Questo passaggio, fondamentale anche per interpretare la realtà storica attuale, è stato ben chiarito da Fagioli in un suo testo del 1980 "Bambino, donna e trasformazione dell’uomo" riedito da poco.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 16 agosto 2013 10:09
    Fabio Della Pergola

    Va bene. Allora si introducano ammortizzatori sociali anche per commercianti, artigiani e liberi professionisti.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 16 agosto 2013 10:06
    Fabio Della Pergola

    Non ho esattamente detto che lei è antiisraeliano, ma che il suo metodo interpretativo è "coerente con lo standard antiisraeliano", vale a dire che interpreta la successione dei fatti con un’ottica che non tiene in gran conto il punto di vista diverso da quello che vede il solo Israele agire contro la pacificazione, mentre del fronte palestinese dice solo che "abbia stupidamente perso delle occasioni". Che più brutalmente significa che ha affossato le varie possibilità di stabilire un accordo di pace almeno pari (lo dico per smetterla con la polemica) a quelle perse (o non volute) dagli israeliani.

    Il confronto di cui parliamo è un confronto fra nazionalismi, non esiste una credibile opzione internazionalista e nemmeno binazionale sul tappeto almeno dagli anni ’20. Il nazionalismo ebraico (sionismo) si articola in varie componenti fra cui quella che Yehoshua fa propria, come ho ricordato nel commento precedente. E’ un nazionalismo di sinistra che non condivide le politiche dei governi di destra, ma che tiene viva l’antica opzione dei governi laburisti: "terra in cambio di pace". Che non è mai stata accolta dai politici arabo-palestinesi con conseguenze fatali: niente accordo ? Ti costruisco una colonia. Lo fai adesso l’accordo ? No, allora te ne faccio un’altra. Questa è stata la politica di sinistra, fino a che la destra non è andata al governo inasprendo le cose (e uccidendo Rabin che praticava quanto detto sopra alla ricerca di un accordo).

    La destra israeliana ha sempre ricevuto invece un fondamentale supporto dal fronte arabo. Dopo trent’anni di governi laburisti andò al governo nel ’73 dopo la guerra del Kippur che Israele ha rischiato di perdere per un sostanziale "lassismo" del governo laburista in merito alla questione sicurezza. Il ritiro unilaterale da Gaza voluto da Sharon ha fatto diventare la striscia un arsenale di razzi anziché un primo nucleo di stato libero di Palestina capace di dimostrare agli israeliani che potevano fidarsi di avere dei vicini di casa non belligeranti e che potevano perciò allentare il controllo sulla WB da cui ogni città israeliana può essere facilmente colpita (lo dice ancora Yehoshua in un’intervista che spiega molto bene il punto di vista israeliano http://ricerca.repubblica.it/repubb...). L’attuale destra è andata al governo, soppiantando il governo centrista di Olmert, dopo la guerra del Libano del 2006 che, come lei cita correttamente, iniziò con un’aggressione di Hezbollah sul confine.

    Tradotto in termini politici tutto questo significa che, come ogni democrazia parlamentare (e a differenza dei paesi arabi), la politica israeliana può essere eterodiretta in prossimità delle elezioni; basta un razzo, un attentato, un’aggressione sul confine, una minaccia più esagitata e la destra raccoglierà più voti. Perché sul tema sicurezza la destra ha argomenti che "appaiono" (non ho detto che "sono") più convincenti degli argomenti "dialoganti" della sinistra. Di tutto questo lei non dice niente se non che l’attività israeliana di contrapporre Hamas a Fatah (il che implica che i politicanti palestinesi non avrebbero alcuna capacità di opporsi alle trame avversarie) ha impedito la pacificazione. Pacificazione che, in caso Israele non avesse favorito la divisione in campo avversario, sarebbe stata facilitata... ma solo nella sua logica interpretativa; in realtà non è per nulla né dimostrata né dimostrabile.

    Lei può legittimamente considerare il sionismo una ideologia deleteria, al pari dell’ingenuo Bernini, ma continuerò a pensare che lei confonde il nazionalismo italiano (e più ampiamente delle democrazie europee) che giustamente deve essere assolutamente altra cosa rispetto a quello risorgimentale, con quello di un paese ininterrottamente in guerra fin dalla sua creazione, con una realtà storica passata su cui pesa lo sterminio nazista che non può non aver plasmato la mentalità di un intero popolo di fronte ai pericoli esterni e alle minacce di distruzione che riceve da quasi ogni leader arabo; e così via. Se tenesse conto di tutto questo, cosa che lei non sembra fare, si renderebbe conto che non è Israele a dover fare la prima mossa. Quando lei scrive "Se è interesse di Israele concludere il conflitto, e sono convinto che lo sia, ai deficit della dirigenza palestinese palestinese deve provvedere qualcun altro: la stessa controparte, che dovrebbe rendersi conto di non poter giocare con tutta la sua forza contro un avversario che non si regge in piedi", dimentica (ma è una vera dimenticanza ?) che dietro i palestinesi c’è l’intero mondo arabo, nelle sue varie sfaccettature più o meno aggressive, ma sempre ostili; di più, c’è l’intero mondo islamico con potenze regionali di media potenza come la Turchia e l’Iran, anche loro sempre più aggressive. Eccetera. E’ questo il mondo che deve fare la prima mossa. Assicurare nei fatti, non a parole, che una distruzione possibile non sarà agìta e che loro per primi depongono le armi. Rassicurare gli israeliani che la pace è possibile e lo sterminio evitato è la prima mossa per permettere - non di trovare immediatamente un accordo di pace, sarebbe ingenuo crederlo - ma di ridare uno spazio politico alla sinistra "dialogante", di farle recuperare terreno e credibilità togliendo argomenti ad una destra che fonda l’idea di sicurezza solo sulla forza militare. In caso contrario sarà sempre più dura. E a pagare per primi saranno sempre i palestinesi.

    In altri termini, visto che il paragone con l’apartheid sudafricano viene spesso citato, ricordiamoci che in Sudafrica la mossa giusta fu l’abbandono della lotta armata da parte dell’African National Congress di Mandela. I tanti neri, militarmente inconsistenti, convinsero i pochi bianchi, fortemente armati, che non ci sarebbe stato un bagno di sangue se si fosse cambiato lo status quo. Credo che questa sia l’unica strada percorribile (e un paragone con il vecchio Sudafrica sensato); ma che i palestinesi siano molto lontani dall’averlo capito, o, se l’hanno capito, di averlo accettato. Anche per l’esaltazione nazional-religiosa che tanti altri stati e politici continuano a diffondere. La questione palestinese è sempre stata usata nella più completa indifferenza verso i palestinesi non solo da parte degli avversari storici, ma anche dei tanti che si dichiarano fraternamente solidali e amici.
    La saluto.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 15 agosto 2013 10:28
    Fabio Della Pergola

    Caro amico, spero che si renda conto che il suo non è un commento, ma un piccolo trattato sull’intera questione israelo-palestinese e, di più, anche sulla storia del sionismo e di più anche sulla politica internazionale e magari anche di nazionalismo e internazionalismo nell’era della globalizzazione. Non si può rispondere, se non scrivendo un libro. Non mi pare il caso, abbia pazienza.

    Mi limiterò a dire poche cose. Lei identifica il sionismo con le politiche israeliane nella West Bank, sostenendo che Bernini avesse questo in mente (ma che il M5S l’abbia voluto correggere, da veri politicanti ipocriti, per non rischiare la sua immagine pubblica. Come se i grillini avessero di questi timori. Sinceramente, conoscendo il modo di fare di Grillo verso chiunque, quello che lei dice mi pare davvero poco credibile e anche parecchio offensivo verso i Cinquestelle).

    Tradotto in termini italiani è come se lei dicesse che Mazzini e Mussolini erano uguali. Certo il nazionalismo ha caratteristiche di appartenenza che universalismo o internazionalismo non hanno, ma il paragone non ha molto senso.

    Lei scrive “Se dopo la fondazione il movimento risorgimentale conserva le sue strutture e rimane protagonista della vita pubblica, come è avvenuto col sionismo...”; è un’affermazione incomprensibile. In Israele esistono una destra e una sinistra, partiti laici e partiti religiosi, una robusta minoranza araba che gode di tutti i diritti civili e ultraortodossi antisionisti che pretendono di seguire la legge religiosa, non quella dello stato. Quindi di cosa sta parlando ? Indubbiamente è uno stato in guerra perenne fin dalla sua fondazione, il che dà al suo nazionalismo una coloritura sconosciuta alle moderne democrazie europee, ma è molto facile parlare dalla situazione di pace che viviamo qui.

    Il sionismo delle origini ha avuto un senso e un’origine molto precisa. Le politiche israeliane sono invece le politiche di uno stato sovrano, in conflitto fin dalla sua nascita, con tendenze nazionaliste di destra molto forti (e tanto più forti quanto più i nemici esterni si rafforzano, basti pensare a Hezbollah) e tendenze nazionaliste di sinistra più dialoganti con quelli che sono a tutti gli effetti dei ‘nemici’, ma con risultati estremamente modesti. Quindi discrimino con molta attenzione fra sionismo risorgimentale e politiche nazionaliste attuali, casomai è Bernini (e lei) che non distingue affatto mettendo tutto nello stesso calderone e condannando, senza distinzioni, ‘il sionismo’ (o, peggio, equiparandolo al nazismo). 

    Dimenticando che noti esponenti della sinistra israeliana come Abraham Yehoshua ad esempio http://www.nostreradici.it/antisemi... sono apertamente contrari alle politiche israeliane nei Territori, ma si dichiarano esplicitamente sionisti. Quindi ?

    Quindi lei ha torto e io ragione a distinguere il sionismo dalle politiche di Israele nella WB che sono politiche contingenti, criticabilissime se si vuole (come ho scritto a chiare lettere nell’articolo), senza confonderle con il sionismo che, come ovvia conseguenza, tira in ballo tutta la storia ebraica dell’ultimo secolo e anche la nascita di Israele (che è poi il vero punto di approdo di molti critici del sionismo che vogliono togliere legittimità a quello stato).

    Ma, curiosamente, lei mi accusa di non distinguere (“vedo che lei non rileva nessuna differenza tra sionismo risorgimentale e sionismo attuale”) in un misterioso rovesciamento della realtà che è lì, chiaramente scritta: “Se invece si vogliono criticare le politiche perseguite dai governi dello Stato di Israele lo si dica chiaramente e si usino i termini esatti. Qualsiasi governo e qualsiasi politica sono legittimamente criticabili, per fortuna. Ma lasciando stare il sionismo e l’ebraicità. Fino a quando non si è almeno capito che cosa sono.”.

    Tutto il resto è la sua interpretazione del conflitto, coerente con lo “standard” antiisraeliano, ivi comprese le accuse a CIA e Mossad di aver fatto e disfatto quello che volevano all’interno delle politiche palestinesi, che è un’accusa strana (chiunque impegnato in un conflitto cerca di dividere i suoi avversari) e anche parecchio offensiva verso i palestinesi stessi. Che ne escono come dei poveri stupidi. Per fortuna le sorti del vicino oriente non dipendono né da noi e dai nostri “standard” interpretativi.

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