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Marina Serafini

Dottore in filosofia e dottore in scienze della formazione, ho conseguito diversi master e corsi di specializzazione in comunicazione, formazione, selezione del personale e project management. Affascinata dal mondo del web marketing e dello storytelling management. Da anni impegnata nella gestione di Risorse Umane, in area didattica e nel problem solving aziendale. Mi piace dire qualcosa parlando di altro, mi piace parlare dell'uomo...
 

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  • Primo articolo venerdì 08 Agosto 2016
  • Moderatore da domenica 09 Settembre 2016
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Ultimi commenti

  • Di Marina Serafini (---.---.---.228) 2 maggio 2022 17:52
    Marina Serafini

    Credo che prima di giustificare o accusare chi offre armi come strumento per costruire la pace – la contraddizione non passa inosservata – dovremmo chiederci chi guadagna e quanto nell’alimentare una guerra che sembra protrarsi oltre ogni concepibilità nell’era odierna. Come sempre, come in passato – e come sarà in futuro, ahinoi, gli interessi di mercato prevalgono su quelli dell’umanità: l’uomo non è mail il fine ma il mero strumento di interessi altri, Altri nel senso più ampio possibile. L’economia ha dismesso da tempo il suo valore primario, quello che tradurremmo come la “regola della casa”, ossia la ratio che garantisce il vantaggio della situazione dell’uomo. Ormai si alimentano guerre per guadagnare sulla vendita di strumenti di morte, per guadagnare su quanto rimane e quanto è da rimettere in piedi, su cosa sottrarre ai reduci a spese irrisorie. La nefandezza del genere umano si mostra nei tempi e non cambia. Le guerre sono ovunque e accadono di continuo, anche se i media non hanno vantaggio a mostrarcele tutte. Di altre, piuttosto, è meglio tacere, affinché l’attenzione del pubblico si concentri su altro. Ma queste son cose note.

    Io penso al mondo distrutto di ognuna di quelle persone: distruzione che avviene ogni giorno, mentre ci abituiamo a sentirle narrare in cantilena dai media. Siamo nel 2022, in una realtà sociale, culturale e tecnologica che non giustifica eventi del genere. Eppure accadono.

    Un caro saluto. Marina Serafini

  • Di Marina Serafini (---.---.---.4) 6 dicembre 2021 21:12
    Marina Serafini

    Timothy Morton, in un bellissimo libro dal titolo "Iperoggetti", ci dice che il mondo è morto. Morto per come pensavamo di conoscerlo prima di sperimentare questa epoca della incertezza che, in quanto tale, si manifesta essere l’epoca del risveglio. Il mondo assume, nella sua visione, il carattere di iperoggetto, ossia di qualcosa che ha una sua vita ed è continuamente intrecciato alla vita di altro. Anche ciò che riteniamo senza vita, in realtà dimostra di averne, perché tutto porta conseguenze su tutto, e di questo facciamo esperienza continuamente. Dunque un iperoggetto è qualcosa che rimanda a qualcosa a cui sempre si è rimandati, e per sua stessa natura non è conoscibile mai nella sua interezza. Come una moneta, ci dice Morton, ne possiamo cogliere un lato solo per volta. Il mondo quindi si dà sottraendosi, questo è il fatto, e oggi iniziamo davvero a percepirlo con un senso di disperazione che dovrebbe invece convergere in una nuova visione: i fatti accadono, indipendentemente dalla nostra volontà e capacità di comprenderli. L’informazione, pertanto, può essere mitologia, lo è, è uno dei nostri modi di raccontarci, uno dei modi che abbiamo per cogliere davanti allo specchio ciò che possiamo di questa nostra strana e confusa esistenza. E tale mitologia - a volte costruita in malafede, a volte in buona - è uno degli strumenti che ci consentono di agire insieme, di incontrarci, di cooperare e anche di farci del male. Perché noi uomini non siamo fatti per stare da soli e abbiamo bisogno di storia, e abbiamo bisogno di raccontarla per dare a noi stessi la certezza di esistere. Carissimo, è sempre un piacere incontrarla in ciò che scrive. Un saluto. Marina Serafini

  • Di Marina Serafini (---.---.---.170) 25 giugno 2021 17:27
    Marina Serafini
    Gentile Carmelo, apprendo dal suo profilo che di questi temi ne sa per esperienza diretta: questo mi incuriosisce e mi tocca profondamente. Noi tutti commettiamo errori, di gravità diversa, certamente, e ne siamo comunque pur sempre responsabili. Un amico ripeteva spesso che la natura non perdona. Lo diceva anche il Papa. E infatti è raro commettere errori le cui conseguenze non lascino ombre e strascichi e strappi nella vita di chi li ha commessi. La vicenda legata a Battisti è solo l’occasione ulteriore di riflessione su temi a lungo dibattuti ma mai esauriti nel confronto sociale. Come potremmo mai farlo? Noi siamo dentro a questo stesso sistema di colpe e di accuse, non possiamo uscirne, e quindi non possiamo dominarlo e maneggiarlo liberamente. Nemmeno con le parole, figurarsi con il pensiero!
    Lo stato, la pubblica sicurezza, la necessità di dare esempio...parolone gravi che puzzano di stituzioni e necessitano di un manifesto. D’altronde, in una società, la comunicazione è fondamentale: deve arrivare allo scopo, deve stimolare reazioni - anche se spesso per scopi ulteriori e non troppo espliciti.
    Certo, la detenzione dovrebbe rieducare, dovrebbe orientare in percorsi diversi, dovrebbe fungere da vettore per una rinascita esistenziale, ma per farlo necessita di strumenti e intenzioni e capacità. Sembra che ad oggi scarseggi un pò tutto. Forse è un problema di fondi, o forse è un problema più antico, che consta nell’Humanitas scomparsa, o in fase di annebbiamento crescente. Mi interrogo spesso su cosa sia rimasto dell’uomo. Poi mi chiedo se sia mai stato in grado davvero di rivelare la propria meravigliosa essenza. Poi mi viene il dubbio che io non stia ingannando me stessa da sempre credendo a un ideale che cozza con la storia di cui siamo fatti, e che contribuiamo a creare attraverso le nostre azioni e il nostro essere così limitato. Ma io sono fondamentalmente idealista e continuo a credere, nonostante le delusoni, che l’HOMO esiste, che è dentro di noi e che in qualche modo, laddove ancora non lo ha fatto, uscirà. In molti luoghi e in molti tempi lo ha già fatto e continua a succedere.
  • Di Marina Serafini (---.---.---.247) 2 maggio 2021 08:02
    Marina Serafini

    Io non credo che davvero sia possibile snaturare a tal punto l’essere umano da deprivarne un talento così intimo. La compassione ci appartiene strutturalmente, ci fa uno tra gli altri, e ci consente di evolvere, anche banalmente e semplicemente, di sopravvivere. Possiamo affinarla, come per ogni talento, o ignorarla; può accadere che lasciamo che la cultura dominante riesca ad anestetizzarla, delegandola nel sottofondo, ma poi riemerge, e riemergerà sempre. Siamo humani, fatti di humus, e la terra è vita. Bello questo scorcio, in cui proprio il satanasso rifiuta la concessione al sentimento empatico: i greci lo definivano diavolo, per indicare qualcosa che si mette di traverso e ostacola (diá ballo), esattamente qualcosa che quindi intralcia il nostro essere naturalmente umani. È sempre un piacere leggerla. Marina

  • Di Marina Serafini (---.---.---.85) 27 marzo 2021 07:45
    Marina Serafini

    Ed è davvero difficile questo nostro essere umani! Carissimo, le sue parole giungono come carezze tiepide in questi giorni tristi in cui il caro amico di sempre è venuto a mancare, lasciando in me un vuoto tremendo che di tanto in tanto, con impietosi boati ruggenti, sembra volermi portare con sè. Il passato, non possiamo cambiarlo: è lì che osserva, in attesa di essere sfuggito o di essere amato. È lì, con il dolore e l’allegria, a segnare il passo di percorsi vissuti ormai definiti. Possiamo soffermarci sulle sfumature, possiamo barare nella sua rilettura, ma la cosa più vera che resta è che gli accadimenti ci rendono, progressivamente, persone. Per il tempo che abbiamo, o che abbiamo avuto con chi, ormai, il tempo lo ha chiuso. Un tempo breve, il nostro, in un mondo in cui cose e viventi ci lasciano indietro. Procedere, dunque, fintanto che anche il mio tempo si chiuda. Continuo a ripetere il mantra ogni giorno da quel giorno, cercando conforto in un passato felice di noi, e sperando in un futuro che è tutto da fare a partire da lì, fintanto che quel caffè, di cui oggi purtroppo non riesco molto a godere, non freddi. Grazie per le sue parole. Marina

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