Non è una questione di principio, è il piccolo Davide aggredito da Golia

par Pino Mario De Stefano
giovedì 28 aprile 2022

Contra factum non est argumentum, dicevano i logici antichi. 

In effetti è vero, ci sono alcuni fatti ai quali si deve rispondere con altri fatti. Non bastano le dichiarazioni di principio, né l'ostinata ricerca di ipotetiche ragioni.

In certi momenti della storia, momenti così "affilati" da lasciare cicatrici (R Calasso), la sola proclamazione di valori e di principi, corre il rischio di diventare un astratto esercizio retorico e una inutile esternazione, se non si indica la strada attraverso cui quei valori possono farsi storia e tradursi in scelte concrete e immediate. 

Anzi, in alcuni casi, le pure dichiarazioni equivalgono solo a un girarsi dall'altra parte. E tuttavia ci sono casi di fronte ai quali non è possibile voltarsi dall'altra parte, se davvero si ha l'obiettivo di affermare l'irrinunciabilità di fondamentali valori umani. 

I valori insomma non sono istruzioni per l’uso. Sono soprattutto orizzonti possibili. Le strade per avvicinarli sono diverse e a volte tortuose.

Valori, come la pace e la libertà, o il rifiuto della guerra, non hanno bisogno di gente che li proclamino con forza in una specie di contesa all'ultimo sangue. 

Di fronte a fatti concreti, come il massacro di un popolo libero, queste contese ideali non servono; aver ragione nel cielo delle idee, spesso corrisponde non solo al perdere di vista la Ragione, che cammina nelle strade fangose del mondo reale, ma addirittura si traduce nel congedarsi dalla ragione in quanto tale. "Come se la morale applicandosi alla politica, potesse affrancarsi da qualsiasi regola, da ogni metodo e dalle precauzioni senza cui non c’è conoscenza, bensì solo opinione ». (M. Blanchot)

In effetti, è già accaduto, nella storia passata e recente, che chi si è fermato a proclamare, in modo astratto, valori assoluti, senza considerare razionalmente le effettive dinamiche dei processi reali, ha contribuito a molti disastri storici.

Per esempio, chi si è accontentato di affermare il valore della pace e il no alla guerra in modo assoluto e astratto, spesso ha consegnato il potere di decidere i destini del mondo ai prepotenti e a quei regimi che non avevano (e ancora non hanno) nessuna intenzione di rinunciare all'uso della forza per raggiungere in ogni modo i propri scopi.

E, quindi, per richiamare il titolo di questo post: perché la questione di fronte alla quale ci troviamo con la guerra di aggressione all'Ucraina non è prevalentemente una questione di principio?

In evfetti, è vero che prima di una guerra si deve fare tutto il possibile per impedirla, per negoziare anche a lungo al fine di trovare un giusto equilibrio degli interessi, e mantenere la pace. 

Tuttavia di fronte a un'aggressione già in atto a un popolo libero e pacifico, più piccolo e debole, da parte di una grande potenza, che cerca peraltro di far figurare il tutto come una specie di operazione di politica interna, e per questo tradisce il linguaggio e non la chiama neppure guerra, che si fa? 

Chiediamo al popolo aggredito di arrendersi, di rinunciare alla difesa e alla sua libertà e di accettare l'assoggettamento al suo aggressore? Gli chiediamo di diventare servo, magari per non crearci problemi. Oppure per non infrangere i nostri teoremi morali?

Che faremmo se fosse aggredita la nostra Italia? 

Che farebbero tanti azzeccagarbugli di cui siamo costretti a sopportare improbabili "teorie"?

In realtà, razionalmente, ciò che servirebbe, e subito, è che in casi del genere la comunità internazionale disponesse di meccanismi, anche militari, se gli altri non sono efficaci, per fermare l'aggressore, cominciando con il riconoscendo il diritto di un popolo aggredito a difendersi, ed eventualmente aiutandolo, sulla base della solidarietà internazionale dei popoli liberi. 

Esiste, è mai esistito, un altro modo per garantire la pace, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli, cioè quei valori umani irrinunciabili, su cui è costruito un giusto diritto internazionale? 

Infatti, in casi del genere, non fermare un'aggressione in atto, significherebbe autorizzare l'aggressore a portare a termine la sua azione, assoggettando un popolo, e magari ripetere eventualmente azioni simili in futuro, mettendo in tal modo davvero in pericolo permanente la pace e la libertà dei popoli. 

Insomma ciò che davvero servirebbe è preparare e mettere in atto opzioni, anche con l'uso della forza se necessario (le armi nel mondo in cui viviamo, sono uno dei modi, a volte l'unico, per non soccombere ai prepotenti e a quei regimi politici per i quali la libertà e la dignità di individui e popoli non sono opzioni essenziali), che rendano svantaggiosi, sempre e in ogni caso, in futuro, simili aggressioni, da parte di chiunque.

A dire il vero, per comprendere tutto questo, basterebbe tener viva un pò di memoria storica, sia recente che remota. 

Pensiamo, per riportare un caso storico molto simile a quello che abbiamo di fronte oggi, a ciò che è avvenuto alla Conferenza di Monaco (Inghilterra e Francia da un lato, e Germania e Italia dall'altro), convocata alla fine di settembre del 1938, con l'obiettivo di evitare la guerra. (e forse con la tacita speranza da parte di Inghilterra e Francia, che la Germania hitleriana e l'Italia fascista rivolgessero i loro appetiti verso est e verso la Russia sovietica).

Tuttavia la politica di appeasement a tutti i costi, attraverso il riconoscimento delle rivendicazione della Germania di Hitler sui territori cecoslovacchi dei Sudeti (con motivazioni tra l'altro analoghe a quelle attuali della Russia verso l'Ucraina: a dimostrazione che la storia, se guardiamo con attenzione, si ripete più spesso di quanto non immaginiamo), spinse in realtà Hitler a occupare non solo una parte ma quasi tutta la Cecoslovacchia, e non evitò la guerra perché, l'anno dopo, Hitller si sentì autorizzato, dopo essersi accordato con la Russia sovietica, a invadere (anche lì senza "dichiarare" guerra) la Polonia, dando inizio alla seconda guerra mondiale.

Ecco, non intervenire in casi simili, o non chiedere a chi può, di intervenire subito, con i mezzi disponibili, significa voltarsi dall'altra parte, di fronte al massacro di vite e di dignità umane, e quindi negare proprio quei valori, la pace, la vita, la dignità umana, che verbalmente e in teoria ci si affanna a proclamare. Oltre poi a dare ai massacratori il messaggio secondo cui potranno ripetere quelle azioni anche altre volte, tanto al massimo gli chiederemo di sedersi dopo intorno a un tavolo per cercare di venire incontro ai suoi bisogni.

Il che significa consegnare il mondo nelle mani di regimi autoritari o dittatoriali per i quali la vita e la libertà degli individui non ha valore, e l'uso della forza è uno strumento ordinario di governo, sia in politica interna che internazionale.

Ha ragione perciò il Presidente Mattarella quando dice: "L'incendio appiccato alle regole della comunità internazionale è devastante; e destinato a propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermarlo subito, scongiurando il pericolo del moltiplicarsi, dalla stessa parte, di avventure belliche di cui sarebbe difficile contenere i confini“.

In realtà, anche se la pace deve rimanere un orizzonte irrinunciabile, finché ci saranno tali tipi di regimi, e finché non si estenderanno entità democratiche di carattere internazionale, in grado di agire efficacemente contro violenze, abusi di potere e prepotenza nei rapporti, come si agisce all'interno degli stati contro la criminalità organizzata, ci sarà purtroppo sempre bisogno di armi e dell'opzione ilitare.

Infine, davvero orrendo, poi, è quell'atteggiamento, di cui è difficile comprendere il retropensiero, che con la scusa della difesa della pace o del dialogo, tende a trasformare gli aggrediti in responsabili dell'aggressione e della guerra. Magari, perché il popolo aggredito non accetta di arrendersi, dal momento che non intende vivere una vita da schiavo alla mercé della prepotenza di regimi illiberali, autoritari o dittatoriali. 

È ciò che purtroppo avviene oggi nei confronti del popolo ucraino, attraverso la fasulla retorica delle questioni di principio, dell'equidistanza, dei "né né", del “ma anche…”, o del “ma allora gli altri…”, e via dicendo.

Bisogna riconoscere che sono atteggiamenti non dissimili da quelli che, in caso di stupri, violenza sulle donne, o vili vessazioni di grandi o piccoli bulli sulle loro vittime, invece di fermare e bollare come criminali tali violenze, vanno alla ricerca di attenuanti, di strane "ragioni", arzigogolando su fasulle giustificazioni, fino a trasformare le vittime in cause o provocatrici delle violenze stesse!

Ma forse bisogna anche dire che, in questi casi, il maggiore pericolo non arriva tanto da quello che questi "opinionisti", titolati o improvvisati, dicono, quanto piuttosto dal fatto che evidentemente non si rendono conto davvero di quello che dicono.


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