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Renzo Riva

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  • Primo articolo mercoledì 12 Dicembre 2009
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Ultimi commenti

  • Di Renzo Riva (---.---.---.83) 12 agosto 2012 16:38
    Renzo Riva

    (continua)

    Altri dati sull’energia elettrica in India
    La popolazione dell’India è di un miliardo e 210 milioni. Il 34% della popolazione non ha accesso a elettricità. Il consumo annuo di energia pro capite: India 0,43 TEP - Italia 2,86 TEP. L’India ha una popolazione più che doppia di quella europea e genera potenza elettrica pari al 15% di quella europea. Il consumo medio annuo pro capite di un indiano è di 755 kWh, quello di un italiano è di 5.000 kWh.

    Nota etimologica
    Il termine “blackout” era usato ai primi del ‘900 nei teatri per lo spegnimento di ogni luce sul palcoscenico. Poi denotò il segnale, che spegne il raggio catodico di oscillografi e televisori, mentre torna indietro dalla fine di una riga all’inizio della successiva. Dagli anni Trenta il termine indicava l’oscuramento in tempo di guerra di tutte le luci durante la notte per non dare riferimenti agli aerei nemici.
    “Blackout” si usa sia in inglese, sia in italiano per indicare una improvvisa mancanza di memoria. Indica anche l’oscuramento del campo visivo di piloti di aereo nella ripresa da un picchiata soggetti ad accelerazioni di alcune volte maggiori dell’accelerazione di gravità, che oscurano il campo visivo (il pilota “vede nero”). Accade d’estate a persone che si alzino in piedi all’improvviso dopo essere state sedute o sdraiate.
    Negli anni Sessanta il termine fu usato per indicare la mancanza di energia elettrica in una vasta zona o regione. Il caso più clamoroso fu quello del grande blackout della costa atlantica degli Stati Uniti: il 9 Novembre 1965 lasciò senza elettricità per oltre due giorni più di 30 milioni di americani e canadesi. Lo descrissi 5 anni dopo nel mio saggio “Il Medioevo Prossimo Venturo” (si può scaricare dal sito www.printandread.com ).

    *  *  *

    (continua)

  • Di Renzo Riva (---.---.---.83) 12 agosto 2012 16:35
    Renzo Riva

    (continua)


    Per evitare instabilità delle reti si usano condensatori che modificano la fase della corrente. Non si tratta di armature separate da dielettrico (come avviene per piccoli elementi), ma di grosse macchine rotanti che producono correnti sfasate di 90° rispetto alla tensione. Si chiamano condensatori rotanti: le cui potenza e localizzazione devono essere progettate con cura per assicurarne la stabilità. La progettazione delle reti non esige solo che la potenza installata sia adeguata anche per soddisfare domanda futura. Vanno anche previsti i modi citati di rifasare i carichi e la disponibilità di generatori di riserva in grado di entrare rapidamente in funzione.

    Quando grandi potenze vengono trasmesse su grandi distanze (molte centinaia o migliaia di km) conviene trasformare l’energia da corrente alternata in continua ad altissima tensione. che non ha problemi di stabilità. La corrente alternata ad alta tensione viene trasformata in continua mediante tiristor, poi viene trasportata su linee aeree in cavo, anche sottomarino, e all’arrivo trasformata di nuovo in alternata la cui tensione viene abbassata. Sulle linee a corrente continua le perdite di energia sono anche più basse perché ad altissime tensioni l’intensità del campo elettrostatico è talmente elevata che l’aria stessa diventa un conduttore dissipando energia (effetto “corona”). Tale dissipazione è più alta per le linee in alternata perché il valore massimo (da cui dipende l’effetto corona) raggiunto due volte ad ogni ciclo è del 40% più alto del valore efficace.
    Le linee in continua ad altissima tensione sono diffuse in tutto il mondo. In India ce ne sono 3 alla tensione di 500 kV. Sembra, dunque, che la tecnologia indiana sia abbastanza avanzata, anche se non è stata applicata adeguatamente ai problemi di stabilità. Anche la rete della nostra penisola è connessa con linee in continua a Corsica e Sardegna e a Est con la Grecia.

    Gravi guasti e disfunzioni di grandi reti elettriche che servono interi continenti si possono verificare non solo in conseguenza di instabilità. Un rischio raro, ma grave può essere costituito da una tempesta di protoni solari. Nel gennaio 2012 corremmo questo rischio che poi non si materializzò. In Appendice riporto l’articolo che scrissi sull’argomento nel Marzo scorso.

    *  *  *

    Regione

    India

    Italia

    N.America

    Europa

    Asia+Oceania

    Resto del.mondo

    Potenza

    elettrica

     

    140 GW

     

    35GW

     

    1.200 GW

     

    910 GW

     

    1.630 GW

     

     850 GW


    Tabella 1 - Potenza elettrica totale installata per regione (2010)

    Dati in Giga Watt (GW = miliardi di Watt)



    Fonte:

    carbone

    petrolio

    gas

    idroelettrico

    nucleare

    Consumo annuo

    energia MTEP

    278

    156

     62

     25

     5

    Consumo in %

     52%

     30%

     12%

     5%

     1%


    Tabella 2 - India – consumi energia annui per fonte di produzione (2010)

    MTEP = Milioni tonnellate equivalenti di petrolio

    (continua)

  • Di Renzo Riva (---.---.---.83) 12 agosto 2012 16:30
    Renzo Riva

    (continua)

    Tutti gli alternatori, che generano elettricità (in centrali idroelettriche, termoelettriche, nucleari) sono interconnessi in parallelo sulla rete. Questo si ottiene sincronizzandoli esattamente con le precisione di 1/50 di secondo. Vanno tutti “al passo” dalla Spagna alla Svezia, dall’Olanda alla Sicilia. Come già accennato, questa assoluta compatibilità di frequenza consente alla domanda, ovunque richiesta, di essere soddisfatta utilizzando energia ovunque prodotta. Le quantità scambiate sono registrate automaticamente e pagate ai fornitori: le tariffe dipendono da domanda e offerta. Il funzionamento globale è semiautomatico. La frequenza è mantenuta rigorosamente costante. Se la domanda di energia tende a diventare eccessiva rispetto alle quantità producibili, gli operatori potranno escludere alcune grosse utenze (creando blackout programmati) o, in alternativa, abbassare leggermente la tensione su tutta una regione diminuendo la potenza erogata (il provvedimento si chiama “brown-out”). Dunque, i vantaggi dell’uso della corrente alternata sono notevoli. 
    Il comportamento delle grandi reti è complesso. Eventi che si verifichino in una parte della rete (interruzioni di circuiti, messe a terra accidentali, sovratensioni, fulmini, etc.) producono perturbazioni che si trasmettono ad altre parti della rete. I conduttori della rete hanno una loro resistenza (misurata in Ohm), ma anche induttanza e capacità. Non approfondisco (questo non è un testo di elettrotecnica), ma questi parametri possono causare la generazione di onde di tensione e corrente sulle linee. Se nelle reti ci fossero solo resistenze, corrente e tensione sarebbero sempre in fase. Con capacità e induttanza la corrente è sfasata rispetto alla tensione e si producono fenomeni di oscillazione L’elettricità alla frequenza di 50 periodi/secondo (o Hertz) ha una lunghezza d’onda di 6000 km. Su linee di trasporto dell’energia molto lunghe (centinaia o migliaia di km) si possono creare perturbazioni che viaggiano, si riflettono, producono dissesti e squilibri. Questi fenomeni sono più gravi se la rete è più estesa – ma la grande estensione è proprio la caratteristica che la rende più utile.. 
    Un’onda di sovratensione, passando; danneggia apparecchiature di controllo, generatori, trasformatori, isolatori. Mette fuori servizio parti della rete, mentre gli apparati di controllo e protezione distaccano altre parti (danneggiate o no). Si perde il parallelo, gli alternatori si fermano – la rete non funziona più. È arduo farla ripartire. Ri-sincronizzare è processo delicato (reso difficile dai guasti dovuti al blackout): può richiedere giorni mentre gli utenti restano al buio.
    L’immane blackout indiano, come anche quello famoso del 1965 in USA, è stato causato da gravi fenomeni di instabilità. Le cause non sono state solo scarsità di energia tali da non poter soddisfare domande eccessive, né guasti accidentali che abbiano interrotto i circuiti.
    (continua)
  • Di Renzo Riva (---.---.---.83) 12 agosto 2012 16:27
    Renzo Riva
    Quando serve cultura tecnica i parolai stiano zitti

    E-mail inviatami dal prof. ing. Roberto Vacca, bontà sua.

    Allego una spiegazione dell’enorme blackout elettrico indiano - il più
    grosso mai avvenuto per numero di persone private dell’elettricità. [MA un
    terzo degli indiani ha sempre il blackout: non hanno affatto l’energia
    elettrica].

    È triste che le cause citate da quotidiani e perfino dall’Economist siano
    state: siccità, squilibrio fra domanda e offerta, interruzioni dovute a
    qualche guasto. Io studiavo i problemi della stabilità delle grandi reti
    elettriche in corrente alternata già 60 anni fa — anche se alla facoltà di
    ingegneria di Roma non venivano ancora insegnate.

    Il pezzo allegato è piuttosto pesante: temo che alcuni lo troveranno ostico
    e lo eviteranno. Non li biasimo. Però li invito a dargli lo stesso una
    letta. Serve a capire che le grandi strutture tecnologiche sono, certo,
    complesse — ma non incomprensibili, né esoteriche. Io, che le capisco un
    po’, ritengo doveroso raccontarle in modo piano.

    Best
    Roberto

    Spiego il grande blackout indiano – e, un po’, anche le reti elettriche –
    di Roberto Vacca – 6 Agosto 2012.

    Seicento milioni di indiani senza energia elettrica per due giorni: un disastro che ha causato distruzioni di ricchezza e di derrate, tragedie personali, ritardi, scomodità, disorganizzazioni a cascata, crollo di reputazioni.
    Però è anche grave che questa emergenza sia stata capita solo da pochi esperti. I giornali hanno parlato di ritardi nel realizzare infrastrutture, squilibri fra domanda e offerta, siccità. Questa ha causato mancanza d’acqua di raffreddamento alle centrali di produzione che si sono fermate (vero) e consumi aumentati delle pompe per irrigazione. Si è parlato di consumi eccessivi da parte di utenti che avrebbero dovuto obbedire a severi razionamenti. Si è parlato di guasti inspiegati, ma un blackout gigante non è causato solo da conduttori interrotti o apparecchiature difettose. Taluno ha sostenuto che la rete indiana è troppo grossa: “Se ne avessero avute tante piccole tutto sarebbe andato bene.” Queste spiegazioni sono parziali e inadeguate. Per capire che cosa sia successo, guardiamo i numeri e ragioniamo su struttura e funzioni delle reti elettriche.

    La rete dell’energia elettrica indiana non è gigantesca. I dati in Tabella 1 mostrano che la rete europea e quella nord-americana la superano di un ordine di grandezza. Conviene realizzare reti molto grandi perché sono in grado di soddisfare la domanda di elettricità ovunque si manifesti e ovunque venga generata l’energia per soddisfarla. Un grande sistema strutturato a rete è una ricchezza enorme – come la rete stradale estesa su oltre 100.000 km che connetteva ogni regione e città dell’Impero Romano.
    Conviene molto che la rete sia a corrente alternata – che varia secondo un diagramma sinusoidale da un massimo positivo a un massimo negativo 50 volte al secondo in Europa, nella metà orientale del Giappone e in India (60 volte/secondo in Nord America e nella metà occidentale del Giappone). Il vantaggio è che il voltaggio si può alzare e abbassare – mediante trasformatori.
    Gli alternatori (mossi da motori idraulici o termici) producono energia elettrica alla tensione di circa 10.000 Volt (10 kV). Questa è troppo alta per essere usata nelle industrie. In casa usiamo 220 Volt e stiamo bene attenti a non toccare fili in tensione. Se il tuo corpo è attraversato da una corrente maggiore di 0,1 Ampere, puoi morire. [E’ la stessa intensità di corrente che passa in una lampadina a incandescenza da 25 Watt].
    L’energia elettrica va fornita anche a utenti molto lontani. Quando passa in un cavo elettrico di rame, sviluppa calore e, quindi, si perde energia. Questo spreco è proporzionale al quadrato della corrente moltiplicato per la resistenza del conduttore in cui fluisce. Per limitarlo nelle linee di trasporto di energia a grande distanza, si innalza il voltaggio (detto anche “tensione”) e,quindi, si abbassa la corrente. [La potenza elettrica è uguale al prodotto tensione per corrente]. Le linee elettriche di trasporto funzionano a 60, 220, 380, 780 kV [780.000 Volt]. Alimentano trasformatori che gradatamente abbassano la tensione a valori utilizzabili con basso rischio.
    (continua)
  • Di Renzo Riva (---.---.---.42) 12 agosto 2012 00:51
    Renzo Riva

    Chi sale in automobile implicitamente accetta e si espone al rischio di essere fra i candidati all’obitorio per il fatto che negli ultimo vent’anni sono morte sulle strade italiane circa 140’000 persone; per non parlare poi degli oltre 450’000 feriti di cui 250’000 con danni permanenti e ridotta capacità residua al lavoro.

    Se gli operai che lavorano all’ILVA e le loro famiglie ritengono che l’esposizione al rischio sia maggiore di quella di salire in automobile e non intendano accettarlo, devono solo invitare i loro congiunti a licenziarsi e insieme a sottoscrivere tutte le denunce rivolte alla magistratura per la chiusura dell’ILVA.

    Tertium non datur

    Da "il Giornale" del giorno 27 Luglio 2012 con strillo in prima pagina e articolo a pagina 5.

    INQUINAMENTO ALL’ILVA
    Quei sigilli assurdi 15 anni dopo i fatti
    di Franco Battaglia

    ■ Quello dell’Ilva appare essere l’ennesimo caso di montatura mediatica, reso possibile da una magistratura coi paraocchi, da un governo che brilla per dilettantismo e da un mondo ambientalista che ancora una volta rivela la propria vera natura: quella del racket che, pari a quello della mafia impone il proprio pizzo ovunque vi sia un’attività produttiva.
    Cominciamo con la magistratura. Secondo la quale «gli impianti dell’Ilva producono emissioni nocive (...)
    (...oltrei limiti, concretizzatesi in eccessi significativi di mortalità per tutte le cause*: tra il 1995 e il 2002 un eccesso di mortalità del 10-15%, specifica la rivista di Epidemiologia e Prevenzione. Farei sommessamente notare che: primo, ciò che il magistrato ha chiamato eccesso significativo appare piuttosto essere entro la normale variabilità statistica; secondo, l’epidemiologia che ha osservato quell’eccesso, nulla dice sulle cause, men che meno che siano firmate Ilva. Ma come, direte, scie emissioni nocive sono state oltre i limiti? Ci arrivo fra poco. Il pressappochismo della magistratura è confermato dalle mani che mette avanti lo stesso procuratore generale a Lecce, che ha candidamente dichiarato: «Dobbiamo chiarire se il sequestro che abbiamo disposto ha una valenza scientifica, storica e legale». Senza tema di essere smentito me la sento di rispondere sulla valenza scientifica: zero.
    Probabilmente la valenza legale c’è. La Regione Puglia, infatti, si vanta di avere fissato i limiti più restrittivi al mondo sulle emissioni di diossina, prevedendo, nel caso di superamento, proprio l’arresto degli impianti. Se c’è allora un vero colpevole per il provvedimento della magistratura è proprio la Regione Puglia che imponendo limiti inutilmente (e dannosamente) restrittivi mette fuori-legge anche la più virtuosa delle aziende. Come risulta agli atti essere l’Ilva: secondo i dati Arpa, nel corso di tutto il 2011 ha emesso meno di 10 g di diossine. Nell’immaginario collettivo la diossina è uno dei tanti mali dei mali. In realtà, come per ogni altro agente, è la dose che ne stabilisce la dannosità.
    In particolare, molti agenti che sono dannosi oltre una certa dose, risultano benefici al di sotto di altra dose, e la diossina non fa eccezione: gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato una diminuzione di tutti i tipi di cancro con l’aumento della dose di esposizione alla diossina sino ad una certa soglia, oltre la quale, aumentando ancora la dose, si osserva l’aumento dei tumori al fegato. Si chiama effetto ormetico, ed è esso a rendere dannosa la norma ultra restrittiva di cui sì vanta il presidente Vendola.
    Il più incompetente di tutti si sta rivelando il governo dei sedicenti tecnici. Il quale, non sapendo cosa fare, si è affrettato a stipulare un protocollo d’intesa per le bonifiche del territorio. Bonifiche da cosa non è dato sapere: anche ora senza tema di essere smentito, direi che non v’è nulla da bonificare. Quella delle bonifiche dei siti inquinati è una tanto pleonastica quanto lucrosa attività cui sono dediti quelli del racket ambientale (cioè gli ambientalisti). Per ora, il governo sedicente tecnico li ha gratificati con 336 milioni, ma il racket del pizzo non s’accontenta mai. Il presidente dei Verdi ha subito messo le mani avanti lamentando che 336 milioni sono una risorsa «irrisoria», e Vendola gli ha fatto subito eco chiarendo «sono solo l’apertura di un ciclo che avrà risorse molto più cospicue».
    Allora, non è con la magistratura - che difetta di nozioni di statistica - che se la debbono avere a male i lavoratori, ma col proprio presidente di Regione, coi Verdi, col governo sedicente tecnico. Con tutti coloro che oggi si coprono solo di ridicolo plaudendo la magistratura e, allo stesso tempo, solidarizzando con gli operai.
    Con tutti coloro, insomma, che hanno predisposto quanto serve per creare l’allarme sociale per giustificare le inutili, ma pur succulente, «bonifiche» da non-si-sa-cosa. 


    Di un altro giornalista e sempre sulla stessa pagina.

    L’ITALIA MALATA
    Che assurdità fermare l’Ilva per i veleni di quindici anni fa
    Vendola doppiogiochista: sia con gli operai e coi pm, ma è colpa della sua giunta se la fabbrica è stata sigillata, Non c’è allarme diossina, la bonifica non serve più

    DUE CITTÀ. UNA PROTESTA
    Gli operai dell’Uva hanno paralizzato la città di Taranto con blocchi stradali per tutto il giorno e hanno manifestato a Genova con un presidio in prefettura II destino dei due stabilimenti è strettamente collegato nell’altoforno di Taranto viene prodotto l’acciaio che a Genova viene poi lavorato a freddo.

    Mandi

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