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Marina Serafini

Dottore in filosofia e dottore in scienze della formazione, ho conseguito diversi master e corsi di specializzazione in comunicazione, formazione, selezione del personale e project management. Affascinata dal mondo del web marketing e dello storytelling management. Da anni impegnata nella gestione di Risorse Umane, in area didattica e nel problem solving aziendale. Mi piace dire qualcosa parlando di altro, mi piace parlare dell'uomo...
 

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  • Primo articolo venerdì 08 Agosto 2016
  • Moderatore da domenica 09 Settembre 2016
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Ultimi commenti

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 1 gennaio 2020 01:03
    Marina Serafini

    Carissimo, la ringrazio dell’articolo: é sempre un piacere incontrarla nei suoi scritti! La paura é un tema che suscita in me riflessioni strane. Quando ero una bambina provavo paura. La provavo continuamente. Avevo paura di non essere ascoltata, avevo paura di non essere creduta, avevo paura di non essere amata. Avevo paura di essere esclusa. Poi ho avuto paura di non essere capace, e quindi di non essere rispettata. Ho avuto paura, durante la mia adolescenza, di non riuscire a sopravvivere alla crudeltà dei miei simili. E cosí ho lottato, ho convogliato le mie energie, sempre, fino allo stremo. Puntavo la mia direzione e correvo. Fino a quando, senza nemmeno farci caso, la curiosità ha prevalso, mi ha posseduta come uno spirito divino, e ha lasciato che l’orrido timore svanisse via. Correre nel mondo mi ha consentito di accogliere e scoprire molte cose, molte situazioni, anche su di me, e finalmente il mondo si é aperto, un mondo che amo e che odio, che mi affascina e mi stupisce. Un mondo che a volte rifiuto e vorrei vederlo sparire: il mondo condotto da quelli che si dicono esseri umani. Da anni ritengo che la paura sia solo un cavallo di troia, innestato nel nostro animo per scopi di dominio e prevaricazione. E ogni volta che qualcuno dichiara di provare paura ripeto con ostinazione che non bisogna "provare paura", ma sbrigarsi a cercare soluzioni. Eccola che torna, la curiosità, madrina di quel fare creativo che é in nuce in ognuno di noi, e che spesso rimane celato. Posso dunque provare tristezza per gli effetti nefasti di qualcosa che potrebbe accadere, oppure la rabbia, o un senso di frustrazione. Ma la paura cos’è? Non avere il coraggio di vedere che cosa accadrà. A questo, a mio avviso, si riducono la paura del futuro, la paura dell’altro, la paura della morte. Disabilitazione e pigrizia, fors’anche e prevalentemente, direi, scarsa stima di sé e ignoranza del proprio potenziale. Rimane però qualcosa, a strisciare sul fondo, che turba le mie sicurezze, ed é che il disgusto - e con esso il rifiuto - tolgano linfa a questa mia volontà di cercare. Se questo accadesse, non saprei più dirmi perché sono finita quaggiù, e di questo, lo ammetto, di questo ho un po’ di timore....

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 29 dicembre 2019 23:02
    Marina Serafini

    Carissimo, le mie parole mirano al rilancio per continuare un dialogo che con te - azzardo anch’io l’utilizzo del tu - é sempre fruttuoso e gradito, e sono davvero lieta che questo aspetto sia stato colto. Dunque: Absit iniuria verbis! Temo che alla tua domanda iniziale sia difficile dare una risposta univoca, temo che noi umani siamo vittime di forze diverse che ci spingono e ci contraggono, e ci distorcono in modo che puó è al contempo non può trovare giustificazione. Oggi riflettevo sulle tue parole mentre vedevo un film interessante: La morte e la fanciulla. Una donna vittima di abusi riesce a smascherare il suo aguzzino e a farlo confessare. Egli non é pentito, tutt’altro. E nel suo discorso egli espone l motivi che lo hanno portato a godere dei propri soprusi. Motivi morbosi, motivi che consentivano ad un uomo qualunque di sentirti potente, per via di una situazione particolare. La vittima decide infine di lasciarlo andare, lo libera e lo lascia lì, senza ucciderlo - a differenza delle originarie intenzioni. Eccomi dunque venire a te: il giudizio non può venire da fuori, arriva da dentro ed incombe su ognuno attraverso la propria esistenza. Tu sai ciò che sei e in questo la vita giudica l’individuo in un modo che non é contestabile, perché il giudizio sta nella consapevolezza interiore. Un saluto

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 29 dicembre 2019 00:44
    Marina Serafini

    Carissimo, la convivenza in mondi diversi tra generazioni vicine é una drammatica realtà, lo diviene nel momento in cui i confini tra i mondi rendono altro il linguaggio e difficile la trasmissione. Wittgenstein parlava di giochi linguistici, del fatto che non é mai assolutamente chiuso il confine e che l’uomo, in quanto tale, aderisce sempre ad una qualche dimensione comune che consente il passaggio. Da un gioco linguistico ad un altro, da una forma di vita ad un’altra. La responsabilità della pedagogia, oggi come ieri, deve restare quella di educare l’individuo al pensiero critico, che é di fondamentale importanza da sempre e per sempre, tanto più in un mondo che trasmette informazioni a iosa e in velocità. La responsabilità dei filosofi sta nello sforzarsi di trovare il passaggio, di entrare in quei nuovi giochi linguistici per consentire la propria e l’altrui evoluzione. Il futuro diverso dal passati a nello stesso sentiero dell’umanità, una umanità sempre in divenire. Un caro saluto.

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 27 dicembre 2019 23:07
    Marina Serafini

    La incontrerò in un pensiero: studiando, incuriosita, il modo di danzare di culture diverse, ho compreso infine che noi tutti danziamo in ogni azione che compiamo quando siamo concentrati e seriamente impegnati. Quando siamo unitari a noi stessi e con il nostro momento. E la danza é l’espressione del nostro vivere autentico.. Un saluto

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 27 dicembre 2019 22:54
    Marina Serafini

    Carissimo, mi domando se questo estremo relativismo non spinga poco prudentemente verso una inazione paralizzante. Non giudico, ergo rispetto tutti, ergo...Cosa e come faccio? E’ vero: l’uomo si é sempre beato, ieri come oggi, di abbracciare scenari violenti e crudeli, quasi che il dolore degli altri riuscisse a esorcizzare, sostituire o vendicare il proprio, quasi che attestare la crudeltà del vivere possa rendere tollerabile la propria, darle un senso che sia possibile accettare.... Niente é normale e tutto é normale... Ma ripartiamo dalla nostra esistenza, quella di ogni individuo. Mi sovviene una riflessione, una accusa in realtà, enunciata dal protagonista di Joker - l’ultimo film di Phillips - , una frase banale ma anche davvero realistica: prendi un malato di mente solitario e lascialo in balia di una società che lo abbandona..E cosa ottieni? Ottieni la in-distinzione del bene dal male, ottieni che non puoi più giudicare perché i valori diventano etichette confuse. Concordo: il valore può essere una imposizione, un modo per soggiogare. Cosa non lo é? Ma non darsi dei valori, non darsi delle sponde rende tutto troppo indistinto. E in un quadro infinitamente aperto l’occhio si perde e finisce col non saper più cogliere... Un azzardo, dunque, un ideale regolativo, o una mera provocazione?

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