• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Galileo e Archimede, il perché dell’infinito

Di Geri Steve (---.---.---.210) 8 marzo 2013 12:32

Io sono un matematico, e resto stupito del cumulo di errori storici che trovo in quest’articolo, decisamente anti-scientifico.
La problematica dell’infinito non ha rappresentato affatto un percorso corale e unitario come qui viene rappresentato, ma è stata terreno di scontri che, in termini ben diversi, continuano tutt’ora.

Stupisce che l’autrice citi Frajese trascurando che proprio lui sostenne come il concetto di infinito nella geometria greca fosse quello di un infinito potenziale, totalmente diverso dall’infinito "attuale" del calcolo differenziale: la retta era considerata come un segmento prolungabile. Poi Semerano ci ha illuminato sui nostri fraitendimenti relativi allo " apeiron " greco.

 I paradossi di Achille e la tartaruga e la "morte per punizione divina" del pitagorico che dimostrò la non commensurabilità della diagonale con il lato del quadrato sono chiarissime testimonianze dell’ acceso dibattito già allora esistente fra "aristotelici" e sofisti, fra continuisti e atomisti.

Il raffinato ragionamento della ruota di Aristotele ci testimonia come il dibattito fosse vivissimo ancora nella scolastica, mentre il "programma di Hilbert" per il ventesimo secolo e la sua distruzione da parte di Godel ci testimonia come tutta la problematica sia stata poi sottovalutata nel positivismo e si sia dovuti tornare a rivalutare la relatività della scienza in forme quasi identiche a quelle predicate dai sofisti: il suo teorema non è altro che la traduzione in termini matematici moderni del sofisma dello " Io mento" del cretese, mentre l’analisi non-standard ci riporta proprio al segmento prolungabile ricordatoci da Frajese.

GeriSteve


Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox