Report: le promesse mancate sulla sanità, gli indennizzi agli agricoltori, la champions delle poste e la birra trappista

par Aldo Funicelli
lunedì 16 giugno 2025

Vi ricordate del covid? Quando la politica di fronte alle migliaia di morti, all’impreparazione in cui ci siamo trovati con la pandemia, all’assenza di un di posti letto, aveva promesso un cambio nella sanità, col passaggio da una visione ospedalo centrica ad una sanità territoriale. Che fine hanno fatto le case di comunità? E la promessa di ridurre le liste di attesa per esami e visite? E poi l’ospedale covid tirato su in tempi record all’interno della Fiera di Milano, finanziato con donazioni private: che fine hanno fatto quei fondi?

Gli indennizzi agli agricoltori

In caso di alluvione agricoltori vengono indennizzati, almeno sulla carta: è importante, sempre che vogliamo tenere in vita questo settore che sulla carta è tanto caro al governo sovranista e al ministro Lollobrigida, che gli indennizzi siano sostanziosi e immediati.

Ma, come racconterà il servizio di Report, spesso non avviene né una cosa né l’altra, perché esistono casi dove dopo due anni agli agricoltori non è arrivato ancora nulla, “Agricat è stato un fallimento” racconta uno di loro che non si fa problemi a scomodare il mondo politico.
Chi doveva controllare gli indennizzi erogati da questo ente che dipende dal ministero dell’agricoltura?
Secondo Antonio Diomeda – consigliere delegato del centro di assistenza agricola di confagricoltura – “non è un problema di controlli, non c’è la colpa di qualcuno, c’è una norma che va modificata, la cosa grave è se la norma non si modificasse.”
La legge andrebbe modificata in diverse parti: ad esempio in Appennino l’aiuto di Agricat è stata una falsa promessa, agli imprenditori agricoli non arriva nulla, sono in un abbandono totale, anche dopo alluvioni che hanno rovinato interi raccolti.

Un agricoltore colpito da uno di questi alluvioni, Coldiretti ha riportato la risposta di Agricat, ovvero che dagli strumenti satellitari non si vedeva l’acqua stagnante sui terreni (dunque nessun rimborso): ma avere acqua stagnante sarebbe stato impossibile perché, nel caso mostrato dal servizio di Report, il terreno ha una pendenza del 30% a 600 metri sopra il livello del mare, “se ci fosse acqua stagnante sarebbe sommersa tutta la Romagna..”

Insomma, è Agricat che ha stabilito tra i suoi criteri che se non si stagna l’acqua non c’è un danno.

LAB REPORT: PERDITA ASSICURATA – Il balletto degli indennizzi

Di Antonella Cignarale

Collaborazione Evanthia Georganopoulou, Eleonora Numico

 

Per coprire i danni alle coltivazioni causati dalle catastrofi c’è il Fondo Mutualistico Agri-Cat. Nel 2023, anno in cui il fondo Agri-Cat diventa operativo, l’Emilia-Romagna viene travolta da due violente alluvioni nel mese di maggio, i danni stimati sono stati di 8 mld e mezzo. Un duro colpo è stato inferto alle coltivazioni del territorio, rimaste per giorni sott’acqua in pianura e franate in collina e montagna.

A due anni dalla catastrofe Report ha incontrato gli agricoltori che hanno subìto i danni dell’alluvione. Molti credevano che l’intervento del Fondo avrebbe garantito indennizzi rapidi e sostanziosi, ma non è andata così: molte aziende non hanno ancora ricevuto un euro da Agri-Cat. La società che gestisce il fondo, la Agricat srl, oltre non aver brillato per celerità nelle erogazioni, non è stata in grado di individuare al primo colpo tutte le aree agricole danneggiate per calcolarne i danni. Inoltre, il fondo ha una dotazione di 350 milioni di euro ogni anno, il 30% deriva dai contributi versati dalle aziende agricole che ricevono i finanziamenti dalla PAC, ma per le aziende gli indennizzi promessi non coprono neanche i costi delle produzioni perse.

Le promesse mancate sulla sanità pubblica

Secondo i dati della fondazione Gimbe sono 6 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici.

Per capire se questi dati sono veri, servirebbe un confronto coi dati in mano alle regioni: ma non è facile perché, come racconta il professor Cartabellotta “le modalità con cui sono resi pubblici i dati sulle varie piattaforme regionali non sempre corrispondono ai processi che ci stanno dietro”, per esempio perché molte agende non comprendono il privato accreditato, che ci siano le liste di galleggiamento, il fatto che le liste siano chiuse, tutto questo non rende questi dati resi pubblici uno specchio fedele della realtà. Su questo - prosegue il presidente del Gimbe – è chiaro che le regioni hanno le loro responsabilità.

Così per avere dati reali il ministero della salute ha mandato i NAS a fine 2024 ad indagare sulle regioni: 3000 ispezioni in ambulatori Cup e uffici Asl. Report è venuta in possesso di un documento esclusivo dove i Nas scrivono che nel 27% dei casi ci sono evidenti criticità a partire dallo sforamento del tempo di ricovero o tempo di visita massimo previsto sulla ricetta. Poi ci sono 184 strutture che avevano le liste non accessibili (le agende chiuse, cosa vietata), errori nelle priorità delle prenotazioni e irregolarità nell’attività di intramoenia.

In Lombardia, a Brescia, si sforano di 42 giorni i tempi per visite urgenti in dermatologia invece che 72 ore; a Cremona ci sono ritardi su tutte le prime visite di endocrinologia, dermatologia e gastroenterologia ma anche per colonscopia ed ecodoppler. A Milano poi i Nas segnalano che alcuni pazienti visitati in intramoenia (libera professione) da medici interni sarebbero poi stati agevolati illecitamente per saltare la lista d’attesa. Il segnale dal sistema è chiaro: se paghi passi davanti a tutti.

“C’è un quadro sicuramente molto migliore a quello che ho letto delle altre regioni italiane” commenta a Report l’assessore al Welfare Bertolaso: ma sulle liste di attesa la Lombardia, la regione dell’eccellenza, siamo al “mal comune mezzo gaudio”.

Il problema delle liste d’attesa è un dramma per molti italiani, costretti a rinunciare alle cure: così importante da meritare uno spazio persino nel discorso di fine del presidente Mattarella, perché qui c’è di mezzo la vita delle persone.

Report racconterà la storia di Ilaria De Piscopo, insegnante precaria che ha dovuto rinunciare proprio alle cure perché priva delle risorse necessarie per farvi fronte. Ilaria, nel gennaio di quest’anno, nel corso di una visita a Nocera da un otorino a pagamento, scopre di avere un polipo alla corda vocale destra e le è stato dunque detto che doveva operarsi.

“Abbiamo chiesto i tempi e mi è stato detto che c’erano un paio d’anni perché la lista d’attesa è lunghissima..” ha raccontato l’insegnante a Report.

Questi due anni erano un’attesa che non poteva essere accettata, perché Ilaria non riusciva a parlare né a respirare: così il medico le propose un’alternativa, quella dell’intramoenia, ovvero pagarsi di tasca sua l’operazione per un costo da 4500 euro.

“Per me 4500 euro sono tantissimi per un qualcosa che potrei comunque fare in ospedale” il commento di Ilaria.

Report è andata a verificare i veri tempi di attesa e anziché due anni erano 14 mesi, comunque tanti: il messaggio che passa da vicende come queste è devastante, se il paziente paga può fare quello che vuole. Anche sulla cifra dell’intervento i conti non tornano.

C’è poi il tema delle case di comunità: dovevano essere finanziate dal pnrr, dove però il legislatore si è dimenticato di metterci dentro medici e infermieri.

Sono state inaugurate in pompa magna qui in Lombardia dall’allora assessora Moratti, ma erano ancora i tempi delle elezioni regionali.

Com’è andata a finire? Report ha visitato la nuova casa di comunità di Cernusco sul Naviglio, era previsto fosse finanziata coi fondi del pnrr in un edificio nuovo di zecca. Ma poi i fondi sono stati dirottati altrove e, senza i fondi della regione, è stata riadattata la vecchia sede del medico di guardia. Avrebbero dovuto essere strutture aperte tutto il giorno, per snellire il carico sugli ospedali e i pronto soccorso, ma alla fine in assenza di personale, sono strutture che spesso devono rimanere chiuse.

Dunque, la promessa di un potenziamento della sanità territoriale, una delle lezioni da imparare dopo il covid, non è stata mantenuta. E nemmeno si sono potenziati gli ospedali pubblici: Report racconterà la vicenda del Sacco di Milano che ha perso completamente il reparto di cardiochirurgia e la terapia intensiva.

Ne parla il direttore responsabile di cardiologia Maurizio Viecca: “quando una cardiologia non ha più la spalla della cardiochirurgia, ovviamente ne risente, soprattutto l’emodinamica. Per esempio per legge ci vuole presente un’equipe cardiochirurgica che interviene in caso di complicazioni ..”

La cardiochirugia del Sacco viene chiusa ufficialmente nel 2022 per trasferirla al Policlinico di Milano: “l’assessore Moratti, con la scusa dei trapianti portò la cardiochirurgia al Policlinico ma lì i trapianti non li hanno mai fatti, quindi è stata una scusa patetica ..”

Al Policlinico nemmeno c’era un primario – continua il racconto del dottor Viecca – “è stato fatto un concorso, poi il risultato di questo concorso non andava bene, per cui adesso lo rifaranno”. Dopo tre anni dal trasferimento il primario ancora manca e così la terapia intensiva cardiochirurgica è sparita: al Sacco una volta si facevano tre interventi al giorno e oggi al Policlinico se ne fa uno solo al giorno, al Sacco c’erano 30 posti letto mentre al Policlinico ce ne sono solo 12, “qualcuno dovrebbe spiegarmi perché la cardiochirurgia è stata trasferita, funzionava bene, aveva un’esperienza trentennale..” si chiede oggi il dottor Viecca.
La risposta sta a pochi km di distanza: poco distante dal sacco sempre nel 2022 apre il Galeazzi Sant’Ambrogio, il nuovo polo ospedaliero del gruppo privato San Donato: di fatto si è voluto favorire tramite una scelta della regione Lombardia, un privato che, nel nuovo ospedale, ha fatto dentro la la cardiologia, la cardiochirurgia e l’ortopedia.

La scheda del servizio: LA LUNGA E VIGILE ATTESA

di Giulio Valesini, Lidia Galeazzo e Cataldo Ciccolella

Collaborazione Alessia Pelagaggi

 

Nel 2024 quasi 6 milioni di pazienti hanno rinunciato a prestazioni sanitarie a causa di lunghe liste di attesa o per motivi economici. Anni di tagli alla sanità e fuga di medici e infermieri prima, poi il Covid che ha bloccato ospedali e ambulatori. È ormai esperienza comune chiamare il centralino regionale e sentirsi offrire una colonscopia o un ecocardiogramma per l'anno successivo. Cosa stanno facendo le Regioni per risolvere il problema? E che risultati ha ottenuto il Ministro della Salute Orazio Schillaci con la sua legge per abbattere le attese? Report ha indagato sul campo per scoprire qual è la situazione reale.

 

La vicenda dell’ospedale Covid in Fiera.

Nei giorni di marzo 2020 il covid fa chiudere l’Italia così, nei padiglioni della Fiera di Milano, si decide di allestire un nuovo ospedale covid sotto la supervisione di Guido Bertolaso.

I primi quattro moduli vengono inaugurati dall’arcivescovo Delpini il 31 marzo 2020. Un ospedale di altissima qualità – così veniva presentato dal presidente Fontana. Pazzali, il presidente della fondazione Fiera lo presentava come un miracolo, abbiamo fatto in 10 giorni quello che normalmente si fa in un anno. Bertolaso logiava l’allestimento di 250 letti per terapia intensiva “una grande struttura dotata tra l’altro di tutti quei servizi diagnostici per un centro di questo livello..”

Per realizzare questo ospedale furono raccolti in donazioni oltre 25 ml di euro: tra i donatori c’era anche lo studio dell’avvocato La Scala che contribuì con 10mila euro.

Ecco, che ne è stato di quelle donazioni? Quanti letti in terapia intensiva sono stati effettivamente comprati? Nessuno ci ha mai detto niente – commenta oggi l’avvocato – e soprattutto nessuno ci ha detto che fine ha fatto l’investimento.

A giugno 2023 è stata firmata una convenzione per trasferire i beni dell’ex ospedale a Gallarate in un ex deposito dell’aeronautica militare dove la regione Lombardia vuole realizzare il nuovo hub per le emergenze sanitarie.

Quell’ospedale non esiste più – racconta oggi l’assessore Bertolaso -è stato trasferito, ma rimane orgoiglioso di quesll’ospedfale che è stato chiamato come lui “Bertolaso hospital”.

Lì sono stati ricoverati 538 pazienti, su 221 posti letti iniziali ne sono stati realizzati solo 157: dove sono oggi questi letti? Sono stoccati in alcuni depositi in attesa del completamento del grande centro da realizzare a Gallarate, spiega Bertolaso alla giornalista di Report.

Riuscirà Claudia Di Pasquale a visitare l’hub di Gallarate come promesso da Bertolaso?

Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano ha pubblicato un’anticipazione del servizio:

L’ospedale Covid alla Fiera: dopo 5 anni tutto nei depositi

di Alessandro Mantovani

 

Sulle tracce dei letti e degli strumenti dell’“Astronave” milanese di Bertolaso, costati 14,5 mln. Terapie intensive: 40% dei fondi non spesi

Ricordate, quando il Covid travolse la Lombardia nel 2020, l’ospedale tirato su di corsa in due padiglioni della Fiera di Milano? Fu un’idea di Guido Bertolaso, oggi assessore regionale al Welfare. Lo chiamavano “l’astronave”. Molti clinici non condividevano la scelta di separare le terapie intensive dagli altri reparti e di dividere medici e infermieri su diverse strutture. Passò alla storia per un costo enorme a fronte di appena 538 pazienti ricoverati tra l’autunno 2020 e il 2022: dovevano essere 400 letti, poi 300, poi 221 e alla fine 157. Secondo i rendiconti oggi disponibili spesero 14 milioni e mezzo su 25 milioni di donazioni, senza contare i costi del personale.

Report stasera su Rai3 ci racconta che (brutta) fine ha fatto gran parte delle attrezzature comprate allora e passate alla Fondazione del Policlinico di Milano, che sta costruendo un nuovo ospedale: “Verranno quasi tutte riutilizzate in parte, quelle che si può”, assicurano. Ma a tre anni dalla chiusura dell’“astronave” stanno per lo più nel magazzini, in particolare a Gallarate in un ex deposito dell’Aeronautica già usato per le vaccinazioni Covid e destinato – pare nel 2028 – a diventare un hub per le emergenze sanitarie. Alcuni letti non si capisce dove siano. Ci sono poi monitor, ventilatori polmonari, flussimetri, umidificatori, generatori per caschi cpap: “Hanno bisogno di temperature basse, di manutenzione e di essere attivati periodicamente – dice Maria Rozza, consigliere Pd in Lombardia – È chiaro che le temperature d’estate sono a 50 gradi e d’inverno magari sottozero”. Altri letti comprati allora non potevano essere utilizzati perché privi del marchio Ce: sono al vecchio Sant’Anna di Como, chiuso.

 

La scheda del servizio: AD OSPEDAL DONATO…

di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Giulia Sabella

 

Sono passati cinque anni dallo scoppio dell'emergenza Covid, la regione più colpita allora è stata la Lombardia. Qui per far fronte alla pandemia fu allestito in pochi giorni un ospedale Covid all'interno della Fiera, grazie alle donazioni di tante imprese e cittadini. Ma che fine hanno fatto tutti i letti, le apparecchiature e le attrezzature acquistate in quelle drammatiche settimane?

 

All’interno delle Poste

Ecco a cosa serve l’informazione libera e indipendente: a raccontare storie, come quelle che verranno mostrate stasera, su dei brutti comportamenti dentro il mondo di Poste Italiane.
Dei consulenti finanziari all’interno di Poste avrebbero concesso prestiti concessi a clienti senza i necessari requisiti, in cambio di finanziamenti fittizi per lavori di ristrutturazione.

Certo i clienti non dovevano fare questi lavori – racconta a Report un ex consulente finanziario di Poste a Report: “molte volte erano ignari del tipo di prestito che veniva loro proposto e cosa succedeva? Puntualmente i nostri responsabili creavano ad hoc dei preventivi non veritieri , non fatti dalle aziende, da caricare nelle pratiche..”

I preventivi non erano veri, erano preventivi falsi forniti dai responsabili commerciali di zona in maggior parte.
Tra i consulenti – continua il servizio – giravano dei moduli per preventivi per ristrutturazioni edili pre impostati dove bastava modificare il saldo finale in base al prestito chiesto dal cliente.

Preventivi nei quali la stessa ditta, che avrebbe dovuto provvedere alla ristrutturazione è completamente all’oscuro: Report è andata a sentire i responsabili di queste aziende che sono rimasti sgomenti di fronte a queste carte, dei documenti totalmente fasulli.

Oltre ai finti finanziamenti, una sorta di storno (per non dire pizzo) sui prestiti erogati, ci sono altre storie emerse dalle tante segnalazioni arrivate alla redazione di Report: un altro ex consulente finanziario racconta di aver convito un cliente (che aveva bisogno di denaro) alla cessione del quinto sullo stipendio piuttosto che riscattare la vecchia polizza. Il quinto dello stipendio garantisce un tasso di interesse anche del 10% mentre il riscatto della polizza avrebbe tolto soldi a Poste italiane.

Di fatto si è consigliato ad un cliente di poste di indebitarsi, un consiglio che non guarda all’interesse del cliente ma solo al profitto dell’azienda.

Nella chat dove l’ex consulente presentava questa storia si responsabili commerciali i commenti ricevuti erano tutti positivi, dalla referente protezione al referente finanziamenti fino alla referente commerciale che invita il consulente a vendere al cliente altri prodotti..

Il gioco che si fa alle spalle dei clienti lo si comprende meglio da un’altra chat dove un consulente spiega di aver venduto 5000 euro di BTP, ma siccome sui BTP i margini di Poste sono minori rispetto ai suoi prodotti i referenti del consulente non sono contenti: è intervenuta subito la referente commerciale che scrive in chat con la faccina allarmata “ancora BTP”?

Altro consulente e altri 75mila euro in BTP e ancora una volta la responsabile che li ammonisce, state facendo troppi BTP e pochi prodotti di Poste, “basta coi BTP” scrive la responsabile, “devono essere esclusi dalla champions e ora dobbiamo compensare con la raccolta che deve superare di almeno l’80% i BTP sottoscritti”..

Esiste effettivamente una sorta di champions, una competizione tra gli analisti che vendono prodotti finanziari ai clienti, all’interno delle filiali di Poste: vince chi vende più prodotti di Poste italiane, chi si distingue va a Roma a festeggiare la vittoria..

E i clienti cosa ne pensano?

E la magistratura?

La scheda del servizio: LA CHAMPIONS DI POSTE

di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

 

Dopo la puntata del marzo scorso su Poste Italiane, la redazione di Report è stata invasa da decine di segnalazioni da parte di alcuni dipendenti. Un vero e proprio vaso di pandora, per raccontare cosa non va nella loro azienda. Nel frattempo, in Veneto qualcosa si è mosso. A marzo scorso la Guardia di Finanza è andata negli uffici postali della provincia di Belluno, quelli raccontati nella precedente puntata dedicata a Poste Italiane. Questa volta, però, non abbiamo parlato soltanto con i portalettere: siamo stati contattati da un gruppo di oltre 100 consulenti postali che hanno raccontato quali prodotti devono piazzare ai clienti. Inoltre, Report ha scoperto, con documenti esclusivi, come vengono erogati prestiti a chi non ha le garanzie adatte: attraverso la presentazione di preventivi di lavori di ristrutturazione che però non vengono mai fatti.

 

Le birre di Abbazia

Bernardo Iovene torna ad occuparsi di birra dopo il servizio di settimana scorsa: dopo le birre artigianali vere e quelle fintamente artigianali, ora tocca alle birre prodotte nelle abbazie, le birre prodotte dai monaci dell’ordine di Trappa.

Come quella prodotta in Belgio dai monaci trappisti di Notre Dame de Scourmont: qui i monaci producono birra da 150 anni, la Chimay, ma l’abate chiarisce subito che quello che conta per loro è la vita monastica, poi la birra e quello che possono fare grazie alla vendita di questa birra.

I ricavi vanno in parte all’abbazia, alla comunità monastica, una parte ad una associazione di solidarietà ad altre comunità monastiche per assistenza sociale e medica in Belgio e in tutto il mondo, in particolare in Africa. Poi una terza parte va ad una fondazione che si occupa dei comuni nella regione dell’abbazia.

I monaci bevono la loro birra? Solo durante le feste religiose o quando ci sono ospiti, ammette l’abate.

La produzione della birra all’interno delle mura è affidata a dei laici sotto il controllo di don Damien, l’abate: Alessandro Bonin, l’export manager di Chimmay ha accompagnato Iovene nella zona di produzione, gli ingredienti della birra, come il lievito, lo stesso da 70 anni, che viene trattato come una ampolla santa nei laboratori, la forma delle cellule viene controllata continuamente, che deve essere un po’ allungata a fagiolo.

La scheda del servizio: ORA ET BEVI BIRRA

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

 

Le birre Leffe e Grimbergen si definiscono birre di abbazia, in realtà sono prodotte da 2 multinazionali, AB-inBev per la Leffe e Carlsberg per la birra Grimbergen. Le trappiste invece sono vere birre d’abbazia, e hanno regole precise: produzione in abbazia, controllo dei monaci e ricavi destinati alla beneficenza. La troupe di Report è stata in due abbazie trappiste in Belgio e ha verificato tutte le attività di beneficenza finanziate con i proventi della birra. Infine, con i maggiori esperti del settore Report ha fatto un confronto tra le birre d’abbazia prodotte dalle multinazionali e le birre trappiste.

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


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