Iran attaccato, il mondo trattiene il fiato

par Maddalena Celano
lunedì 16 giugno 2025

Maddalena Celano (Assadakah News) - Era ancora buio fitto, nella notte tra giovedì e venerdì, quando il cielo sopra l’Iran è stato squarciato dal fragore di esplosioni. Non si trattava di esercitazioni né di incursioni isolate. Israele aveva appena dato il via all’operazione “Rising Lion”, una delle più ambiziose e coordinate offensive contro l’Iran degli ultimi anni.

I bersagli non lasciavano spazio a interpretazioni: impianti nucleari, basi militari, laboratori di ricerca e persino residenze riconducibili a ufficiali dell’IRGC e a scienziati nucleari. Una pioggia di fuoco che, secondo fonti internazionali, avrebbe incluso oltre 200 raid aerei coordinati in profondità nel territorio iraniano. L’obiettivo, spiegano da Tel Aviv, era colpire “il cuore del programma nucleare” prima che diventasse irreversibile.

L’Iran, come previsto, ha reagito immediatamente: circa un centinaio di droni sono stati lanciati verso obiettivi israeliani, molti dei quali abbattuti dai sistemi di difesa Iron Dome e Arrow. Ma il segnale era chiaro: l’azione israeliana non sarebbe rimasta senza conseguenze.

L’attacco contro i siti nucleari iraniani, avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 e attribuito a Israele, ha scatenato reazioni durissime da parte delle autorità iraniane, che lo hanno descritto come una provocazione senza precedenti e una vera e propria dichiarazione di guerra.

La guida suprema, Ali Khamenei, ha preso una posizione netta, definendo l’attacco un “crimine” che ha superato ogni “linea rossa”. In un discorso trasmesso in parte dai media di Stato prima del blackout informativo, ha promesso che il “regime sionista” pagherà un prezzo “amaro e doloroso”. Ha inoltre chiesto alle forze armate di prepararsi a una risposta adeguata, senza però fornire dettagli sui tempi o le modalità dell’eventuale ritorsione.

Il Ministero degli Esteri iraniano, attraverso il vice ministro Abbas Araghchi, ha presentato un reclamo ufficiale alle Nazioni Unite, affermando che l’Iran è stato vittima di un’aggressione diretta e che la comunità internazionale ha il dovere di intervenire. Ha parlato apertamente di “dichiarazione di guerra”, invitando il Consiglio di Sicurezza a condannare Israele e a proteggere la sovranità della Repubblica Islamica.

Le Forze Armate iraniane, inclusi i Pasdaran (IRGC), hanno a loro volta promesso rappresaglie. Nonostante la morte del comandante Hossein Salami durante l’attacco, l’IRGC ha dichiarato di essere pronto a rispondere anche immediatamente. In tempi rapidissimi è stato nominato un nuovo comandante, il generale Mohammad Pakpour, segno che Teheran non intende rallentare la sua capacità di reazione.

Sul piano interno, le autorità hanno immediatamente imposto un blackout quasi totale su internet e hanno limitato la diffusione di informazioni attraverso i media nazionali, temendo che la notizia dell’attacco e la morte di alti ufficiali potesse generare disordini o proteste. Sono stati cancellati eventi pubblici e religiosi, compresa la celebrazione dell’Eid al-Ghadir, che in alcune città come Qom si è comunque trasformata in cortei spontanei contro Israele.

In sintesi, l’Iran ha reagito con forza sul piano militare, diplomatico e interno. Tutti i segnali indicano che si sta preparando a una risposta, la cui portata resta però ancora incerta. Il clima è teso e la situazione potrebbe evolvere rapidamente nei prossimi giorni. Dopo l’attacco israeliano ai siti nucleari iraniani, la risposta di Teheran non si è fatta attendere. In un’operazione senza precedenti nella storia recente del conflitto tra i due Paesi, l’Iran ha lanciato una vasta offensiva aerea contro il territorio israeliano, segnando un’escalation clamorosa.

Nelle prime ore del mattino del 13 giugno, centinaia di droni kamikaze – secondo le fonti militari israeliane, oltre cento – sono stati lanciati dall’Iran verso Israele. Alcuni di questi sono partiti direttamente dal territorio iraniano, altri da aree controllate da alleati regionali di Teheran, probabilmente dallo Yemen e dall’Iraq. Il sistema di difesa israeliano ha risposto immediatamente, attivando l’Iron Dome, Arrow e David’s Sling, riuscendo ad abbattere la stragrande maggioranza dei droni prima che potessero raggiungere zone densamente abitate.

Ma non è finita lì. Poche ore dopo, una nuova ondata di missili balistici ha puntato verso Israele, con obiettivi dichiarati in città come Tel Aviv, Haifa e persino Gerusalemme. Le sirene hanno risuonato in gran parte del paese, e migliaia di civili si sono rifugiati nei bunker. Anche in questo caso, la maggior parte dei razzi è stata intercettata, ma alcuni hanno provocato danni minori a infrastrutture civili e molta paura tra la popolazione. Fortunatamente, almeno finora, non sono stati segnalati morti, ma il messaggio iraniano è stato chiaro: la risposta non sarà simbolica, sarà proporzionata.

Le autorità iraniane hanno definito questa offensiva come parte dell’"Operazione Punizione Severa", spiegando che si tratta di una risposta diretta all’“aggressione sionista” che, pochi giorni fa, ha colpito i cuori pulsanti del programma nucleare iraniano e ucciso alti ufficiali militari. Il nuovo comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Mohammad Pakpour, ha dichiarato che Israele “non sarà più un rifugio sicuro” e che Teheran “è pronta a continuare l’offensiva se necessario”.

Sul piano internazionale, la comunità globale sta osservando con estrema preoccupazione. Gli Stati Uniti hanno invitato alla de-escalation, mentre Paesi europei come Francia, Germania e Italia hanno condannato l’attacco israeliano, ma chiedono ora con forza che entrambe le parti fermino la spirale militare. L’ONU ha convocato una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza per discutere del rischio di un conflitto su larga scala in Medio Oriente.

In sintesi, la reazione iraniana è stata potente, organizzata e, soprattutto, visibilmente pensata per colpire sia sul piano militare che simbolico. L’Iran ha mostrato di avere capacità offensive rilevanti e, per ora, la sua offensiva non ha causato vittime in Israele, ma ha messo in chiaro che la Repubblica Islamica è pronta a rispondere colpo su colpo.

 

Diplomazia in allarme: la voce della comunità internazionale

Nel giro di poche ore, le reazioni si sono moltiplicate. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha rotto il silenzio attraverso una nota del suo portavoce, Farhan Haq: "Il Segretario generale è profondamente preoccupato per l’escalation militare in Medio Oriente. Invita entrambe le parti alla massima moderazione. La regione – ha aggiunto – non può permettersi un nuovo conflitto su larga scala".

Guterres ha sottolineato anche il tempismo drammatico di questo attacco: proprio mentre erano in corso colloqui riservati tra Iran e Stati Uniti sul programma nucleare di Teheran, l’offensiva israeliana rischia di compromettere mesi di pazienti mediazioni.

Dura e precisa anche la reazione dell’Oman, uno dei pochi paesi della regione che mantiene un dialogo attivo con tutte le parti in causa. Da Mascate, il governo ha definito l’azione israeliana “una pericolosa escalation” e ha accusato apertamente Tel Aviv di voler sabotare gli sforzi diplomatici in corso. "Chiediamo alla comunità internazionale – si legge nella dichiarazione ufficiale – di prendere posizione contro questa deriva pericolosa".

 

La posizione di Assadakah News: “Un attacco brutale, con il coinvolgimento degli USA”

Non si è fatta attendere la risposta di Assadakah News, la voce ufficiale dell’associazione Assadakah. In un comunicato diffuso sul proprio sito nella tarda mattinata di venerdì, l’organizzazione ha condannato “senza riserve” l’operazione Rising Lion, definendola “un attacco militare brutale e inaccettabile”.

Assadakah punta il dito non solo contro Israele, ma anche contro gli Stati Uniti, che – a loro dire – “non possono essere considerati estranei alla pianificazione e alla copertura politica dell’aggressione”. La dichiarazione prosegue sottolineando i rischi per la stabilità del Medio Oriente e invoca l’intervento della comunità internazionale “per porre fine a una spirale che rischia di travolgere l’intera regione”.

Israele risponde: “Non vogliamo la guerra, ma non possiamo aspettare”

Da parte israeliana, il messaggio è stato altrettanto netto. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha parlato pubblicamente nel primo pomeriggio, spiegando che l’Iran rappresentava “una minaccia esistenziale” e che l’attacco aveva l’unico scopo di prevenire “una catastrofe molto più grande”.

“Non vogliamo la guerra – ha dichiarato – ma non possiamo restare immobili mentre un regime apertamente ostile si avvicina alla bomba atomica. Agire ora è un dovere, non una scelta.”

 

Sulla soglia dell’abisso

Con i droni ancora in volo e le sirene antiaeree che echeggiano su entrambi i fronti, il mondo assiste con crescente preoccupazione. L’Operazione Rising Lion, lungi dall’essere un’azione isolata, potrebbe innescare una spirale incontrollabile. La linea tra deterrenza e guerra aperta è ormai sottile come una lama. E le prossime ore potrebbero essere decisive.

Nel frattempo, in molti, da Guterres all’Oman fino ad Assadakah News, chiedono una sola cosa: fermarsi. Prima che il ruggito del leone diventi il lamento di un’intera regione in fiamme.

 

 


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