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15 Ott. 2009 | 1 commento | ELDOMO Condividi
In questi ultimi anni circolano molte notizie false su Gesù e Maria Maddalena,
in rete però ci sono anche le notizie vere e storiche, ecco un ottimo silto scientifico:
Maria Maddalena e il codice da Vinci
http://www.christianismus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=91
Ed ecco anche qualche chiarimento.
Meretrice pentita e redenta, seguace di Gesù e poi Santa secondo la tradizione cristiana e recentemente, secondo le controverse teorie di Dan Brown che tanto clamore hanno provocato in ambito cristiano e tra le gerarchie ecclesiastiche, sposa di Cristo col quale avrebbe generato una figlia (Sarah) di Sang Real - sangue reale in lingua francese, vero significato di "Sacro Graal" - e infine capostipite della stirpe dei Merovingi: chi era in realtà Maria Maddalena?
I Vangeli ne parlano in maniera sfuggente. Purtroppo una buona dose di confusione su di lei e sul suo vero ruolo pare sia stata introdotta non dalla Chiesa delle origini ma bensì più tardi, quando, intorno al 590 d.C., Papa Gregorio Magno dichiarò: "Crediamo che questa donna che Luca chiama peccatrice e che Giovanni chiama Maria, sia quella Maria dalla quale - afferma Marco - furono cacciati sette demoni". Si trattava di un’ipotesi personale, non di una certezza, la quale offriva alla Chiesa una forte motivazione per esaltare il gesto di una donna che, resasi conto del proprio peccato, ottenne dal misericordioso figlio di Dio il perdono.
Quanto contenuto nei Vangeli rinvenuti nel I secolo e narrato separatamente da Luca, Marco, Matteo e Giovanni, menziona la Maddalena come pia seguace di Gesù, dal quale era stata liberata da sette demoni; la ripropone sul Calvario e alla sepoltura, testimone della sparizione del corpo fisico di Gesù e privilegiata dall’incontro del Risorto, il quale le affida il compito dell’annuncio del Suo ritorno ai discepoli. Gli evangelisti la citano come facente parte del gruppo di donne che seguiva il Maestro; ma i ruoli che le sono stati attribuiti dalla tradizione successiva sarebbero in realtà riconducibili a due o tre donne diverse, in un’epoca e in un contesto geografico nel quale molte donne portavano il nome di Maria (come la stessa madre di Gesù) e venivano distinte tramite la menzione della provenienza o della parentela. Nel suo caso si tratta di Maria della città di Magdala. A posteriori sbrigativamente identificata con una meretrice probabilmente anche a causa del fatto che era stata liberata da sette demoni, non sarebbe nemmeno stata protagonista dei due episodi evangelici di unzione dei piedi del Signore: il primo compiuto dalla vera meretrice, che ottiene la remissione dei peccati bagnandoli con le proprie lacrime, ungendoli di olio profumato e poi asciugandoli coi lunghi capelli; il secondo invece compiuto da Maria di Betania, sorella di Marta e di Lazzaro.
Dopo aver recato l’annuncio "Ho visto il Signore", Maria di Magdala svanisce dal quarto Vangelo e dal Nuovo Testamento.
Secondo gli studiosi non vi fu mai, nei primi secoli, l’intenzione di screditare la figura della Maddalena e della sua santità; anche la tardiva ipotesi di accostamento alla meretrice compiuta da Papa Gregorio Magno serviva più che altro ad esaltare lo stato di grazia derivato dal pentimento che le consentì il privilegio di essere la prima testimone alla Resurrezione.
Si deve all’insigne umanista e filosofo francese Jacques Lefèvres d’Étaples (meglio conosciuto come Faber Stapulensis, circa 1450-1536), uomo dal temperamento profondamente religioso, il primo organico tentativo di rimettere in discussione il problema dell’identità di Maddalena, di Maria di Betania e della peccatrice come figure distinte, innescando la polemica tra studiosi nota come "questione delle tre Marie".
La "leggenda" dello sbarco nella Francia meridionale della Maddalena e di altre due Marie, episodio che avrebbe dato il nome al piccolo villaggio provenzale Les Saintes Maries de la Mer, cominciò invece a circolare nel IX secolo. Per motivi più prosaici che spirituali, i benedettini dell’Abbazia di Vézelay in Borgona iniziarono ad asserire di custodire il corpo della Santa, allo scopo di ravvivarne il culto e di promuovere così i pellegrinaggi. Nel 1265-67 i monaci nella basilica ormai ribattezzata col nome della Santa organizzarono l’ostensione e la traslazione dei presunti resti della Maddalena, facendo fiorire tutta una letteratura agiografica relativa alla Maddalena e al lancio del suo culto religioso in Francia e in Italia. Ma di lei come sposa di Gesù nessun accenno venne mai fatto se non dalla fine dell’ottocento.
Approfittando della recentissima uscita del volume curato da Mariano Tomatis Dietro il Codice Da Vinci - Antologia critica nella collana "I quaderni del Cicap" n.7, abbiamo intervistato Andrea Nicolotti, il quale nel libro ha trattato la figura della Maddalena in maniera esaustiva. Andrea Nicolotti, laureato in letteratura cristiana antica e dottore di ricerca in storia, è anche curatore del sito www.christianismus.it.
Professor Nicolotti, oltre ai vari svarioni storici compiuti da Dan Brown, pare che, come da lei indicato, il rapporto tra Gesù e la Maddalena ricavato dal Vangelo di Filippo sia in realtà poco conciliabile con la sua autentica dottrina.
"La lettura di qualche isolato passo, estrapolato dal contesto, non permette al lettore di farsi un’idea adeguata delle caratteristiche di quel testo. Si tratta di un’antologia di passi tratti da sermoni, catechesi, o scritti dei seguaci di Valentino, uno gnostico nato in Egitto attorno all’anno 100 d.C. Una prima stesura del testo avvenne probabilmente in Siria, tra il II ed il III secolo, in greco; ma del Vangelo di Filippo ci rimane solo una traduzione in copto che risale al IV secolo. Lo gnosticismo di Valentino si caratterizzava tra l’altro per un infinito disprezzo del mondo creato, elemento che generalmente si esplicitava in un’assoluta condanna della fisicità e nel rifiuto della riproduzione e della sessualità, intesa come impurità. Il Gesù del Vangelo di Filippo non è un Gesù più "umano" di quello dei quattro Vangeli della tradizione, come Brown sembra ritenere: è invece un uomo apparente, un essere fondamentalmente spirituale. Non è certamente una figura che desideri sposarsi e dare origine ad una discendenza di carne "
La frase riferita alla Maddalena "Cristo l’amava più di tutti gli altri discepoli e soleva baciarla spesso sulla bocca", contenuta in quelli che Teabing - il personaggio che nel romanzo impersona lo storico che conosce tutti i retroscena del sacro Graal e delle sue origini - designa come "Rotoli di Nag Hammadi" (in realtà codici in pelle a forma di libro, non papiri arrotolati), ritrovati intorno al 1945 - non sarebbe leggibile, così come non si parlerebbe mai di una "moglie" di Gesù.
"La pagina del manoscritto in cui si dice che Gesù baciava la Maddalena è in parte illeggibile; secondo alcuni studiosi avrebbe potuto esserci scritto "baciare sulla bocca", secondo altri qualcos’altro ("sulla guancia" o "sulla fronte", ad esempio). In ogni caso, il bacio sulla bocca in quel contesto culturale non era un segno di amore carnale, ma un bacio rituale e spirituale che gli Gnostici si scambiavano tra loro. È per questo che in altri testi affini Gesù e la Maddalena baciano gli altri apostoli, indifferentemente. Secondo l’autore del romanzo, poi, il fatto che la Maddalena sia detta "compagna" di Gesù significa, "come ogni esperto di aramaico potrà spiegare", che ne era la moglie. Ma Brown non sa che l’aramaico c’entra col copto ed il greco come l’italiano col cinese, e che il termine koinonos va preferibilmente tradotto "compagna, amica, socia, compartecipe". Per indicare la moglie, il Vangelo di Filippo usa una parola diversa (shime)".
La tesi secondo cui Sacro Graal sarebbe in realtà il Sang Real, nel libro viene rafforzata dall’ipotesi che la stirpe reale avrebbe un’origine non solo paterna - cioè Gesù Cristo della stirpe di Davide discendente di Salomone, re dei giudei - ma anche materna, in quanto Maria Maddalena proveniva dalla Casa di Beniamino. Cosa può dirci in proposito?
"La provenienza dalla Casa di Beniamino è completamente inventata, e non compare in nessuna fonte antica, né canonica né apocrifa"
Un’ultima domanda: la Maddalena non sarebbe mai giunta in Provenza, e la tradizione più antica la collocherebbe in tutt’altri luoghi, negli ultimi anni della sua vita.
"Prima del secolo X non vi è traccia alcuna di qualche luogo di culto in occidente dedicato alla Maddalena. La tradizione più antica riteneva che il corpo della santa fosse stato conservato prima a Efeso, poi a Costantinopoli; proprio a Efeso, si credeva, la Maddalena aveva terminato la sua esistenza terrena, vivendo accanto a Maria e a Giovanni.
Per quanto riguarda le successive leggende nate sulla figura della Maddalena chiediamo lumi a Mario Arturo Iannaccone, studioso di Nuovi Movimenti Religiosi e mitologie moderne, autore di numerosi testi tra i quali la partecipazione al già citato quaderno del Cicap.
Dottor Iannaccone, lei sta lavorando ad un libro dedicato alla figura moderna di Maria Maddalena. Conterrà qualcosa di utile per comprendere il successo del Codice da Vinci?
"Ne sono certo. Ho studiato il femminismo neopagano, detto anche "spiritualità della dea", di cui il Codice è una specie di manifesto e la Maddalena una specie di figura-chiave. Il libro s’intitolerà Maria Maddalena e la dea dell’ombra e uscirà a breve".
Quando nasce questa idea della Maddalena sposa di Gesù?
"In pratica, nasce nella "controcultura" parigina di fine Ottocento formata da artisti contestatori, spesso impegnati nell’occultismo, che volevano scuotere le convenzioni. Per esempio, nel 1888 fu rappresentata a Parigi l’opera L’amante du Christ scritta da Darzens e l’amante era naturalmente la Maddalena".
Perché la Maddalena?
"E’ una figura chiave. La più vicina a Gesù. Dunque, "aggiustare" lo status della Maddalena significava, per riflesso, "aggiustare" anche la figura di Gesù. Nel 1896 fu pubblicato il Vangelo di Maria (Maddalena), un apocrifo importante che rafforzò il femminismo. Nei quadri, nei romanzi, la Maddalena divenne una femme fatale. Lawrence, autore de L’amante di Lady Chatterley, scrisse un racconto sulla Maddalena e Gesù intitolato Il risorto, pieno di doppi sensi."
Brown paragona la coppa del Graal al grembo della Maddalena. Possibile che questo paragone non sia mai affiorato prima?
"No, è idea moderna con una precisa origine Fu elaborata dalla più celebre società magica dei primi del Novecento, l’Alba Dorata, che aveva sedi a Parigi e Londra. Ben frequentata, molto chic, le sue dottrine s’ispiravano alla gnosi. Sosteneva che ogni aspetto maschile andava bilanciato con uno femminile, il "femminino sacro". Gli adepti inventarono meditazioni collegando la femminità al Graal dove appare un’Iside che dice "Io sono la coppa del Graal, io porto il sangue regale"."
E gli studiosi del cristianesimo antico, i biblisti, che ruolo hanno avuto?
"Sono arrivati molto dopo. L’interesse è montato quando è iniziata la caccia all’apocrifo più clamoroso, una caccia che ha costruito carriere importanti. Arrivò il Sessantotto, i Jesus Freaks, Jesus Christ Superstar. E nel 1970 due libri: Gesù era sposato? di Phipps, che coinvolgeva la Maddalena. E Il mortale segreto dei templari dell’occultista Ambelain per il quale la sposa di Gesù non era la Maddalena ma Salomé. E il matrimonio era conosciuto dai Templari. Ovviamente. Ambelain e Phipps ispirarono 25 anni fa Il Santo Graal di Baigent e soci…
…gli ispiratori di Brown. Che conclusione possiamo trarre dell’immagine della Maddalena presentata nel Codice?
"La presunta Maddalena dell’Ultima Cena è in realtà Giovanni. Lei guardi il Giovanni della Deposizione di Raffaello: sembra una donna.. Direi che bisogna guardare al Codice non come ad un libro di "rivelazioni" ma come ad un fenomeno di costume. C’è però un punto che non è ancora stato notato: l’ossessione per una figura "che è uomo ma potrebbe essere donna" riflette l’interesse per l’androgino che è tipico della "spiritualità della dea". E non è un caso: il Codice infatti è un libro di propaganda della "spiritualità della dea".
© Loredana Pennati
http://www.renneslechateau.it/rennes-le-chateau.php?sezione=studi&id=art_pennati
Eldomo
Mamma Gianna ha aspettato che Martin Fortunato tornasse da scuola. "Lo sai che lavoro fa papà ?", ha subito chiesto al bambino. "Perché papà è ferito?" , chiede Martin appoggiando lo zaino in camera sua. "E’ successa una cosa, la più brutta. Papà è morto", risponde mamma. Martin ha sette anni e anche ieri è andato a scuola. Il figlio del colonnello della Folgore è convinto che "è stato il diavolo cattivo a portasi via" il suo papà.
Il piccolo è entrato in classe alla seconda ora. La sua scuola ha una bandiera listata a lutto. "L’attività continua regolarmente - spiega la maestra dell’elementare di Siena. E il preside Oliviero Appolloni dice: "Cerchiamo nell’ordinario la risposta per accompagnare il bambino in questa fase così difficile".
dal nostro inviato Mihele Concina
LUBRIANO (Viterbo) - E’ cresciuto in un paradiso, per andare a morire in un inferno, a 26 anni. Giandomenico Pistonami, caporal maggiore della Folgore, uno dei sei caduti di ieri in Afghanistan, veniva da questo paese che pare una cartolina. L’Umbria a trecento metri, mille abitanti che si conoscono tutti dalla nascita, un panorama da togliere il fiato su Civita di Bagnoregio, sulla rupe e sui calanchi, colline profumate di funghi e terra smossa.
Giandomenico se n’era andato a diciott’anni, per il servizio militare. Una vita che gli era piaciuta: aveva firmato come volontario, poi era passato al reggimento di paracadutisti stanziato a Siena. Aveva anche tentato la carriera da sottufficiale, ma alla selezione per la Scuola marescialli non era passato. Due anni fa aveva già accettato una missione pericolosa, in Libano. Quella in Afghanistan era cominciata a maggio, nei giorni del suo compleanno; e non è finita più.
Il paese, adesso, si pigia tutto -taciturno, a braccia conserte- nel portico della casa in aperta campagna dove vivono Franco e Annarita Pistonami. Un muretto di tufo nudo, tegole, un vialetto. Dettagli ben fatti, incastri precisi, la mano di chi se ne intende: Franco è operaio in una piccola azienda edile, Annarita si occupa del loro pezzetto di terra, vigne e olivi giovani. Se ne stanno in un angolo, rigidi, quasi catatonici, accolgono cortesi ma assenti i mormorii di condoglianza. Sanno che fra qualche giorno resteranno soli, per sempre: Giandomenico era il loro unico figlio.
A consolarli meglio di tutti è una ragazza magra, con gli occhi azzurri e un caschetto di capelli neri. Abbraccia Annarita più che può, la sostiene, cerca di fare anche un po’ la padrona di casa. Si chiama Zueca, da quattro anni erano per lei i sorrisi migliori di quel soldato che -dicono tutti- sprigionava allegria. Alla prima licenza dovevano stabilire definitivamente la data delle nozze; nel 2011, pensavano. A tenerla in piedi, almeno per ora, è una fede profonda. A Lubriano è tradizione che i giovani del paese si occupino per un anno, volontariamente, della manutenzione del santuario della Madonna del Poggio. Zueca ha mantenuto l’incombenza per tre anni.
I paesani hanno poca voglia di parlare. Solo una donna, uscendo, pronuncia un breve elogio funebre: «Giandomenico era un angelo, Dio lo protegga».
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22104&sez=HOME_INITALIA&npl=&desc_sez=
*Roberto Valente, aveva ottenuto da pochi giorni il trasferimento in Campania
NAPOLI (18 settembre) - Aveva sorriso e scherzato con gli amici di sempre. Aveva dato a tutti appuntamento per gli inizi di novembre, quando sarebbe dovuto tornare da Kabul. Contento perché, dopo undici anni, era riuscito ad ottenere il trasferimento in una sede militare nella sua regione, la Campania. Vicino casa. In un giorno, la gioia si è trasformata in tragedia.
Roberto Valente tornerà a Napoli in una bara avvolta dal tricolore. Morto, insieme con cinque suoi commilitoni, nell’agguato talebano in Afghanistan. La giovane moglie, Stefania Giannattasio, continua a ripetere stordita di essere fiera del suo Roberto. Del suo paracadutista di poche parole, che aveva scelto molto presto la vita militare. Aveva vent’anni, Roberto Valente, quando decise di arruolarsi. In tasca un diploma dell’istituto tecnico, il desiderio di guadagnare anche dopo aver perso il padre. Roberto divenne soldato per professione, in quella brigata «Garibaldi» a Caserta sempre tra le prime nelle missioni di pace all’estero. Con la «Garibaldi» partecipò alla missione «Riace» contro la criminalità organizzata in Calabria, poi in Albania con le forze multinazionali. Tre anni di prime esperienze tra il 1994 e il 1997. A Napoli, il suo quartiere era Fuorigrotta, la sua casa in quella via Consalvo che sale verso via Manzoni e arriva al Vomero.
«Era un ragazzo buono, che aveva fatto tanti sacrifici», dicono gli amici che aveva salutato appena tre giorni fa. Aveva voluto una cena, con quelli che conosceva da sempre in una pizzeria del quartiere. Dopo 15 giorni di licenza a casa, sarebbe tornato a Kabul. Stefania, che aveva conosciuto tempo fa, non gli faceva pesare la distanza. Ogni missione era preoccupata, ma sapeva che lui lo faceva per assicurare un futuro migliore al loro figlio, per guadagnare di più. Da lontano, Roberto si sforzava di rasserenare i familiari. «Ci sentiamo appena arrivo, state tranquilli che tornerò; io devo tornare», aveva detto alla partenza da Napoli salutando la moglie e la mamma.
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22109&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=
*Antonio Fortunato, il papà: avevo paura per lui
SIENA (18 settembre) - La processione verso la palazzina di Badesse l’apre uno sconosciuto che porta un gran mazzo di fiori bianchi a Gianna, una vedova di 32 anni. Il suo bambino, Martin, di anni ne ha sei e ha cominciato la scuola l’altroieri. Non ce l’ha accompagnato il babbo, però: lui, Antonio Fortunato, accompagnava dei soldati, era il tenente che li comandava, a diecimila chilometri dal borghetto toscano dove rivedeva qualcosa del paese natio, Lagonegro, tanto più a Sud, nell’Appennino lucano.
Il tenente, lo chiamavano tutti, commilitoni e vicini di casa che ora spendono le parole più struggenti per lui. Arriva Valentino Bruno, qui in via Togliatti. E’ il sindaco di sinistra di Monteriggioni, capoluogo di Badesse, che rende omaggio all’uomo della Folgore e ricorda come grazie all’appoggio dei militari il Comune avesse recuperato un terreno abbandonato al confine col territorio di Siena. Arrivano le dolenti mogli di ufficiali, sottufficiali e soldati della caserma ”Bandini” e tentano di consolare Gianna Passeri, ormai priva di lacrime. Sale nell’appartamento un assessore regionale, poi una psicologa. «E’ successa una brutta cosa al tuo papà» sussurra a Martin, e lo accarezza. Si trattiene due ore in casa, ore lunghissime. Poi dalla Basilicata arrivano i genitori del tenente. Straziato il papà Domenico: «Eravamo terrorizzati ogni volta che partiva». L’altro figlio Alessandro lo abbraccio: «Ma era la sua ragione di vita».
«Era un angelo, sempre pronto ad aiutare tutti qui nel condominio. Bravo, davvero bravo. E anche Matteo», aggiunge piangendo l’anziana signora Rosa, ricordando il ”suo” tenente e il giovane sardo Mureddu che viveva qui a pochi metri. Anche lui ammazzato a Kabul. «Prima della missione il tenente mi aveva confidato che stavolta non aveva voglia di partire.» Che se lo sentisse? O, più semplicemente, non gli andava di lasciare soli i suoi cari per tanto tempo, ancora una volta.
Al bar ”Bomber”, proprio sotto la palazzina di mattoni a vista, ricordano benissimo quel soldato tutto d’un pezzo ma cordiale, quando passeggiava con il suo bambino e scendeva a prendergli un gelato. Mesi fa, perché il tenente Fortunato era in Afghanistan da maggio e sarebbe dovuto rientrare in Italia in novembre, dal suo bimbo e da Gianna, insegnante precaria in un istituto tecnico di Siena. Avvicinarsi è impossibile. Carabinieri e soldati della Folgore, e non solo del 186° reggimento, formano un cordone di protezione attorno alla casa del loro ufficiale. Tenente Antonio Fortunato. ”Presente!” rispondono in silenzio. Il frastuono delle esplosioni ce l’hanno dentro.
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22107&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=
*Massimiliano Randino, era tornato in anticipo per la sua prima missione
NOCERA SUPERIORE (Salerno) (18 settembre) - Non doveva essere a Kabul, Massimiliano Randino. Tornato a Nocera Superiore per una licenza da dodici giorni, aveva fissato il rientro in Afghanistan domenica prossima. Poi l’improvviso cambio di programma: mercoledì scorso zaino pronto e via in aereo. Neanche il tempo di atterrare, ieri, e il trentaduenne era subito pronto per la prima, sospirata, missione in prima linea. «È morto da eroe, è morto da eroe servendo la Patria» ripete ora inconsolabile sua madre Anna D’Amato.
Poco dopo mezzogiorno un telefono con chiamata satellitare proveniente dall’altra parte del mondo è squillato in via Pucciano. «Mamma, c’è stato un attentato, ma non sono coinvolta». Maria, 24 anni, parà della Folgore proprio come Massimiliano, amica e dirimpettaia nell’Agro, non era per nulla spaventata. A Kabul da luglio sapeva che il commilitone caporale maggiore al cui matrimonio aveva partecipato quattro anni fa, era lontano, al sicuro in Italia.
E quel corpo straziato è rimasto a lungo senza identità preciso. «M. R. nato a Pagani» prima informazione, poi consultazioni a Cava de’ Tirreni dove i Randino hanno vissuto fino al 1992, infine Nocera Superiore. È toccato al sindaco Gaetano Montalbano contattare la famiglia. E quando il telefono è squillato in casa Trotta è sceso il gelo. Mario, 63 anni, ex imbianchino, Anna 58 anni, ex impiegata all’Ericson, Vincenzo, 77 anni, padre della moglie di Massimiliano, si sono sentiti morire. La forza di chiamare l’altro figlio, Roberto, 21 anni, al corso per diventare vigile del fuoco. Ancora un telefono che squilla, ma a Sesto Fiorentino, nella città dove il parà si era trasferito nel 2005 con un urlo: «Voglio morire» della moglie Pasqualina, originaria di Angri, un matrimonio senza figli forse come scelta per il tipo di vita di Massimiliano.
ORISTANO (18 settembre) - Matteo Mureddu, a maggio, emozionato, con un filo di voce, aveva confidato alla madre: «Stai tranquilla, questa è la mia ultima missione in Afghanistan. Eppoi, tutti insieme, pensiamo al matrimonio. Con Alessandra, abbiamo deciso la data: il 13 giugno».
Alle 12.40, ora di Kabul, tutti i sogni sono stati spazzati via. Quelli del parà Matteo Mureddu, 26 anni, compiuti il 7 agosto, della madre Greca, del padre Augusto e anche di Alessandra Fiori, la fidanzata del caporalmaggiore della Folgore. Sogni dilaniati, fatti a pezzi dall’autobomba esplosa in mezzo ai due gipponi “Lince” sulla strada per l’aeroporto. Molto lontano, troppo, dalla casa in fondo alla strada intitolata a Papa Giovanni, ultima via di Solarussa, paese della provincia di Oristano, duemila abitanti e sulle guide turistiche conosciuta per una Vernaccia che profuma di ginepro. Qui è nato Matteo Mureddu, in una villetta tirata su dal padre allevatore, con il soldi del latte e della lana del suo piccolo gregge. Ma anche con gli ingaggi all’estero dei due figli militari di carriera nella Folgore, Stefano, il primogenito, e Matteo, l’ultimo nato.
«I miei due gioielli», ha detto in cucina la madre al comandante generale dell’Esercito, Sandro Santroni, che ieri si è presentato con la tremenda notizia. «Uno dei miei gioielli mi è stato strappato via dal grembo in un paese straniero», ha aggiunto prima di accasciarsi tra le braccia di Grazia, la secondogenita. Il resto di una maledetta giornata è andata avanti tra le lacrime, con il padre che dice: «Perché quella in Afghanistan la chiamano ancora missione di pace?». Amarezza e dolore, insieme. Con due figli soldati, nella casa di Solarussa la paura non è rimasta mai fuori dalle mura. Stefano, 38 anni, anche lui paracadutista della Folgore, e Matteo erano spesso in missione all’estero.
La vittima era già stato nei Balcani, nel 2005, e due anni dopo in Libano. Ma dopo l’Afghanistan, il rientro era previsto a ottobre, il paracadutista voleva pensare soltanto al matrimonio. A sposare Alessandra Fiori, 30 anni, nata in un paese vicino ma conosciuta a Siena, dove i due avevano messo su casa.
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22106&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=
*Davide Ricchiuto, il sogno: dare la vita per la patria
LECCE (18 settembre) - «Il mio sogno è quello di morire per la Patria». Parole gravi, confidate a qualche amico, forse dette con un pizzico di scaramanzia per esorcizzare i pericoli dei giorni vissuti in missione. Parole che accompagneranno per sempre Davide Ricchiuto, il caporal maggiore di 27 anni morto in Afghanistan. Era partito da Tiggiano, piccolo paese del Salento di tremila anime, per bisogno di lavoro, ma quello che aveva trovato nell’Esercito gli piaceva: prima il servizio di leva e poi in ferma permanente presso il 186esimo Reggimento Paracadutisti della Folgore, di stanza a Siena, con alle spalle altre due missioni delicate: Kosovo e Libano. Davide Ricchiuto era autista, era giunto in Afghanistan il 6 maggio scorso e da allora non era più tornato in Italia.
L’ultima volta che Ricchiuto aveva visto la sua famiglia a Tiggiano era stata la scorsa Pasqua. I familiari lo attendevano a casa anche per fine agosto, ma poiché a Kabul si era verificata una carenza di autisti nell’Esercito la licenza non gli era stata più accordata. Gli amici dicono di lui che «è morto da eroe». La morte del militare è giunta in casa Ricchiuto, in via Genova, poco prima delle 14 con una telefonata. Poco dopo il generale Carmelo Cutropia, comandante della Scuola di Cavalleria di Lecce, e il cappellano militare hanno raggiunto la famiglia per incontrare la madre e la sorella del caporal maggiore. Il padre stava rincasando dalla vicina Casarano dove lavora come operaio edile, quando ha scorto le auto dell’Esercito. Gli è bastato poco per avere anch’egli la conferma che uno dei morti di Kabul era proprio il figlio. Corre verso casa ma sulla soglia si accascia per un malore
Subito dopo è stato il sindaco di Tiggiano, Ippazio Antonio Morciano, a portare le sue condoglianze, poco dopo tutto il paese. «E’ morto da eroe», dicono gli amici con i quali Daniele Ricchiuto era in contatto via e-mail o attraverso i gruppi dei social network, uno spazio di incontro che è diventato un luogo della memoria e del rimpianto.
http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=22105&sez=HOME_INITALIA&npl=N&desc_sez=
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