Censura web: un test che può fare chiunque

par maurizio carena
martedì 13 gennaio 2009

Quando, alcuni giorni or sono, volli verificare la censura di stato su internet mi recai presso una delle maggiori biblioteche pubbliche del Paese: la biblioteca civica.

Essa è ubicata presso un imponente stabile, su tre piani, con diversi dipendenti, guardaroba, emeroteca, sala bimbi, enormi sale lettura dotate di decine di tavoli, centinaia di sedie, e migliaia di migliaia di tomi a disposizione: ebbene in tutto questo ridondante sapere cartaceo le postazioni per quello telematico sono sei
 
Per raggiungerle si devono salire tre piani e raggiungere l’ultimo livello dell’edificio; scopro che, per tali postazioni internet, non è stato costruito nulla di apposito, né tantomeno è stata operata una qualche ristrutturazione di locali, magari obsoleti, da destinarsi a tal scopo: no, nulla di tutto ciò. Si sono semplicemente piazzati su alcuni tavolini di un settore poco utilizzato della biblioteca dei vecchi pc (completi di un antico mouse con la scorrevolezza di un aratro).

Ma proseguiamo. Mi informano che, per avere l’accesso ad internet, devo registrarmi (fortunatamente non devo recarmi in commissariato ma è un’operazione che posso effettuare presso la biblioteca stessa: come sono fortunato, penso tra me).
 
Quindi mi sottopongo a registrazione.

Ci tengo a sottolineare che tale schedatura è obbligatoria, non per chi accede nei locali, non per chi frequenta l’emeroteca, non per chi chiede in lettura (senza prestito) dei libri, bensì soltanto per chi chiede l’accesso a internet. Me ne sfugge il motivo.

Provo a domandarne il perché, in modo molto vago e affettatamente disinteressato, alla gentile signora che mi sta prendendo le generalità, e mi viene risposto che, periodicamente, "le forze dell’ordine ritirano le liste coi nominativi degli utenti di internet"... Cercando, a questo punto, di dissimulare un certo smarrimento e tentando di capire se sono sveglio o se sto sognando, le domando se conosca, per averle magari viste, le modalità di tale "ritiro". Ero curioso di sapere se la polizia si recava direttamente nei locali della biblioteca per impossessarsi, a intervalli regolari, delle liste (di possibili cyber-terroristi) o se invece fosse compito della struttura pubblica di inviare i dati rastrellati agli agenti, ma tale domanda resterà senza risposta: un elegante personaggio in giacca e papillon, che evidentemente mi aveva udito, si avvicina, mi piazza gli occhi negli occhi e, gentilmente, mi invita ad "uniformarmi al regolamento". Quando gli faccio notare che, lungi da me il non voler seguire il "regolamento", io desideravo solo avere informazioni su una prassi che credevo pubblica e trasparente, mi viene intimato, con voce molto bassa ed altrettanto ferma di "non fare domande" poiché quelle erano "informazioni riservate", e se ne va.

Mi sembra tutto alquanto grottesco.

A questo punto qualcuno potrebbe pensare che mi trovo in Tunisia o in Cina. Nulla di tutto ciò: sono in Italia, nella Biblioteca Civica di Torino centro, anche se le prassi viste finora ricordano ben altre latitudini.

Una cosa è comunque certa: sono ben sveglio, poiché, dopo qualche istante, l’assistente mi chiama per riconsegnarmi carta d’identità e lo speciale tesserino che mi aprirà le meraviglie del web pubblico. Ringrazio e mi reco verso uno dei due pc liberi; circa gli altri quattro, uno è inagibile e tre occupati. Da notare che sono le otto e mezzo del mattino, siamo in periodo di vacanze natalizie, gli studenti sono in vacanza: nonostante questo la saletta internet è praticamente al completo.

Mentre mi accingo ad accendere il pc per navigare un’assistente mi ricorda che ho a disposizione 45 minuti di tempo, poi il computer si scollegherà automaticamente, e io dovrò lasciare il posto "a qualcun altro". Nell’improbabile caso non ci fosse nessun’altro in attesa, potrei domandare una proroga, quantificatami dall’assistente stessa in "dieci o quindici minuti" extra time. Comunque, se anche non ci fosse nessun altro dopo di me, dovrei comunque abbandonare la connessione ad internet ed andarmene...

Sto per mettermi a ridere, perché, evidentemente, si tratta di uno scherzo, ma due paginette di regolamento ("procedure per l’uso delle postazioni internet nelle biblioteche civiche di torinesi") incorniciate sul desk centrale, a pochi metri da me, mi fanno capire che è tutto vero: non solo la registrazione obbligatoria, che finisce in mano alla polizia, ma anche un tempo rigidamente contingentato, nonché l’avvertimento che (punto n.12) in caso di "uso improprio o non conforme alle disposizioni di legge, il personale della biblioteca puo’ interrompere la sessione". Non mi è chiaro quali informazioni mi vietino le leggi italiane, visto che sono maggiorenne e incensurato, almeno potrebbero illuminarmi prima, ma tant’è: forse la cosa non si capisce perche’ non deve essere capita.


Una rapida occhiata al regolamento mi permette altresi’ di leggere che (punto n. 2) "l’uso delle postazioni di navigazione in internet... è libero e gratuito"... libero e gratuito....mi sembra un caso di esilarante umorismo involontario: prima ti schedano, poi ti cronometrano, nel frattempo ti segnalano alla polizia...ma ti dicono che sei libero. Trovo che ci vuole un notevole sprezzo del ridicolo per definire "libera" una tale prassi, tanto costrittiva e vessatoria da commentarsi da sé.
 
E poi, torno a domandarmi, perche’ questo doppio standard?

Perche’ tutte queste difficolta’,? Difficolta’ che non esistono se io avessi, poniamo, domandato un qualsiasi libro? E’ cosi’ che lo stato incoraggia l’uso dell’informazione planetaria alla velocita’ della luce? Sembrerebbe piuttosto che ne abbia il terrore.

Ma finalmente inizio la mia, seppur breve, navigazione nel web, ignaro del fatto che il bello (si fa per dire) deve ancora venire.

Scopro che non posso tenere acceso il telefono, nemmeno in vibrocall. Apprendo che non posso effettuare download, cosi’ come l’audio e’ disattivato (cuffie non sono disponibili), cosi’ come non posso stampare alcunché (a dire il vero, manca proprio la periferica che servirebbe allo scopo, quindi non si pone nemmeno il problema) e non posso fermare i minuti concessimi: se dovessi assentarmi per, poniamo, utilizzare i servizi (igienici, sia chiaro, gli unici a quanto pare utilizzabili contestualmente a internet), cio’ andrebbe a decurtare l’esiguo tempo a mia disposizione senza recupero alcuno.

Mi domando perche’ ai mainstream media lo stato regala milioni di euro (contributi all’editoria), mentre a chi desidera informarsi autonomamente riserva invece un trattamento come questo (palla al piede e cronometro), ma forse la domanda contiene gia’ la risposta....



Ma torniamo a noi: ora sto navigando qua e la, sembra che tutto funzioni, a parte il mouse, un pregevole pezzo di modernariato del secolo scorso, col quale bisogna entrare in empatia con pazienti colpetti, attese e reiterati trascinamenti, invariabilmente troppo lunghi o troppo corti (Murphy docet). E dopo pochi minuti faccio l’amara scoperta: internet è sottoposta a censura. La rete della biblioteca è sotto il controllo di WEBSENSE, un software di filtraggio leader mondiale nel settore: suoi sono per esempio, i supporti tecnologici alle censure di regimi come lo Yemen e gli Emirati Arabi (naturalmente coi piu’ nobili motivi).

Da sottolineare che non ho cercato siti porno, bensi’ cose come Tor (censurata l’home page!) e ho proseguito con Anonimouse (il noto proxy) e il videogioco Operazione Pretofilia: tutto censurato.

Allora ho provato a digitare su Google la parola "free proxy server" e, come volevasi dimostrare, uno per uno, erano tutti inibiti: non appena cliccavo sopra mi appariva la finestra della censura di WEBSENSE che mi avvertiva del filtraggio.

Inoltre non c’era un segnale di avviso circa informazioni "non consentite" ma semplicemente mi si vietava la pagina richiesta, ovvero il livello massimo di censura che tali software mettono a disposizione.

Al termine della sessione mi avvicinai quindi al desk dell’assistente per domandarle come mai non fosse esplicitamente notificato agli utenti il filtraggio effettuato su internet, ma lei, a suo dire, non sapeva neppure dell’esistenza di tale censura. Quindi era anche inutile domandare se la censura si avvalesse di una listra di parole proibite, piuttosto che un blocco a livello di server (tutte le biblioteche del Piemonte usano il server CSI): era censurato anche il fatto che ci fosse la censura. (Esilarante, la Cina verrà a lezione di censura da noi).

All’uscita della biblioteca ho domandato ad alcuni ragazzi di passaggio se fossero al corrente del filtraggio in atto sui terminali: nessuno ne sapeva nulla, anche perche’ tutti usavano il proprio pc, di casa o portatile.
 
Concludendo:

La mia ipotesi di partenza era stata pienamente corroborata: in Italia la censura di stato su internet è capillare, tecnologica, organizzata nei particolari, abilmente dissimulata, ignorata dai mainstream media.

Il potere a parole dice che l’uso di internet è "libero"...

Poi nei fatti:

 1 obbligo di registrazione
 2 fortissime limitazioni temporali
 3  censura (non dichiarata)

Credo che, per esempio, il "caro leader" nod coreano, i generali sudanesi, la satrapia birmana, sarebbero tutti assolutamente d’accordo con un servizio pubblico internet cosi’ strutturato. Non avrebbero nulla da eccepire.

Eppero’.

Non si capisce come mai, al di là della retorica di facciata, tutta la classe politica e comunque il potere in generale, abbiano il terrore che la gente possa informarsi o comunque possa fare liberamente uso del web.

Una legislazione punitiva, unita ad una coscienza civile non abituata, per non dire aliena, ai diritti civili, una gerontocrazia politica con pochi eguali al mondo, un panorama (dis)informativo delegato ad una tv ignorante, becera e ripetitiva. Solo cosi’ si puo’ tentare di spiegare perché si è a questo punto.

Nel disinteresse generale.

Si’, perche’ uno puo’ sempre dire: "Ma chi se ne frega degli altri, tanto io ho il mio di pc, e vado dove voglio". Ed è questa musica per le orecchie di ogni regime, perché la gente divisa, atomizzata, egoista, è estremamente facile da soggiogare. Come mostra la storia.


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