Rosarno: i panni dell’altro

par Maria Rosa Panté
lunedì 11 gennaio 2010

A Rosarno è successo qualcosa che doveva accadere.

Riassumo: Rosarno, cittadina calabra, zona agricola, comune sciolto per collusioni con la ‘ndrangheta. Questo il quadro. Ora gli “attori”: cittadini di Rosarno, imprenditori agricoli, criminalità organizzata, migliaia di braccia (clandestine e non) che vengono dall’Africa. Volutamente non ho detto uomini, perché, per chi li fa lavorare 14 ore al giorno con una paga di un euro circa all’ora, questi non sono uomini, ma braccia, appunto.

Queste braccia che, però, sono attaccate a un corpo, a una testa, a un cuore… Sono spesso vessate, oltre che sfruttate, sia dalla criminalità che da buontemponi che fanno tiro a segno su di loro, per esempio con fucili ad aria compressa. Queste braccia vivono, anzi sopravvivono in luoghi di una desolazione infinita, inimmaginabile, alcuni dormono in silos dell’olio abbandonati e senza nemmeno un materasso, sulla nuda terra.

Una volta queste braccia decidono che la misura è colma, non ne possono più e si ribellano. Come possono ribellarsi? Cercano di farsi sentire dalle autorità del paese, ma non il sindaco perché il sindaco non c’è per via della collusione della giunta con la ‘ndrangheta (lo ripeto perché comunque è importante). Come fare per farsi ricevere da un’autorità? Bisogna farsi sentire, gli umiliati e offesi da che mondo è mondo per farsi sentire devono ricorrere al baccano e più sono umiliati più baccano devono fare. Alcuni riescono a farsi udire con la non violenza, ma non tutti ci riescono, la non violenza non è automatica, per lo più si fa baccano anche con forme di violenza spesso sulle cose, talvolta malauguratamente sulle persone (anche le persone sbagliate perché quando una rivolta è innescata è diffide distinguere le mele buone da quelle marce).

Così hanno fatto le braccia a Rosarno.

Si sono ribellate e hanno chiesto protezione e più giustizia, hanno chiesto dignità.

Dubbio: cosa ci fanno così tanti immigrati in quella zona? Ma non c’è disoccupazione italiana? La domanda è provocatoria, nel senso che non auspico certo che queste braccia siano rimandate ai loro paesi, ma mi chiedo come siano arrivati lì data la politica rigorosa del governo e del Ministro Maroni. E poi come mai si dà lavoro a loro e non si pensa prima ai poveri Italiani?

(Che è un ritornello leghista, usato anche contro il Cardinale di Milano, Tettamanzi).

Forse però gli Italiani non lavorerebbero 14 ore per 20 euro al dì (di cui 5 al caporale).

Torniamo al fatto. La risposta dello stato, anzi del governo, distinguo perché lo stato comprende anche me e io non mi riconosco in questo governo, la risposta di questo governo, nella persona del ministro dell’interno leghista Roberto Maroni è stata: “Siamo stati troppo tolleranti coi clandestini”.

Ecco, a parte il fatto che uno dei feriti è un rifugiato del Togo con regolare permesso di soggiorno, la colpa è dei clandestini, chi li sfrutta in fondo fa quello che chiunque in queste condizioni farebbe. C’è uno schiavetto allungo la mano e via…

Ministro Maroni, lo chiedo a lei sia in quanto ministro di questo governo, sia in quanto esponente leghista, dove sono finiti i banchetti che raccoglievano firme per riportare il crocifisso nelle scuole e nei luoghi pubblici? Dove sono finiti i ferventi cristiano-padani che difendevano il crocifisso e la tradizione?

“Bussate e vi sarà aperto”.

Non è Marx, ma il Vangelo!

Ora io me la prendo con la lega e con tutti i suoi accoliti ed elettori, ma la lega è parte di un governo che comunque per pura compravendita le dà la possibilità di esistere. In più a Rosarno non è la lega che sfrutta gli immigrati, clandestini e non.

Mi rendo così conto che il fronte degli sfruttatori è grandissimo. C’è anche chi aiuta, forse la maggior parte: io credo negli esseri umani!

Nonostante ciò con orrore temo che non sappiamo più cosa sia la compassione, nel suo senso più profondo. La compassione è condividere le emozioni con chi soffre (anche con chi gioisce, ma è un pochino più facile), è mettersi nei panni.

Ci vuole un certo sforzo, forse per questo è così diffide esercitarla, forse è qualcosa che sta nel DNA e alcuni poveretti sono malati e non ce l’hanno. O forse la compassione si può anche imparare. Mettiamoci tutti a pensare: io sono un paio di braccia negre, lavoro 14 ore al giorno, dormo sul nudo terreno e mi sparano addosso. Cosa farei?

Io sono una donna stuprata, sono un bambino costretto a lavorare più di un adulto, sono un cane ammazzato per strada, sono una fanciulla costretta alla prostituzione, sono un razzista…

È un esercizio difficile, ma utile ad ampliare la nostra vita, il nostro respiro, la nostra mente e il nostro cuore, moltiplica la nostra vita in mille vite.

Tentiamo di nuovo il gusto della compassione, in quanto esseri viventi, esseri umani e, per chi lo è, in quanto credenti in un Dio.

Così scriveva Edith Stein (ebrea tedesca, convertita al cristianesimo, suora carmelitana, filosofa, morta in un campo di concentramento):

“Il nostro amore umano è la misura del nostro amore per Dio. (…) Per i cristiani non esiste nessun “estraneo”. Si tratta di volta in volta del prossimo che abbiamo davanti a noi e che ha molto bisogno di noi; è indifferente che sia o non sia un parente o che ci piaccia o meno. Che sia più o meno “degno moralmente” di aiuto. L’amore di Cristo non conosce frontiere, non cessa mai, non indietreggia rabbrividendo davanti alle brutture e al sudiciume”

Difficile! Allora facciamo così a ognuno il suo esercizio: chi pensa che sia colpa dei clandestini si immedesimi nella loro vita e pensi a cosa avrebbe fatto nei loro panni.

Chi, come me, crede che le responsabilità siano ben altre, si immedesimi in un leghista, in un caporale della ‘ndrangheta e così via.

Credo che il mio compito sarà più arduo: anche uno schiavista ha orrore dei suoi panni!

 


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