Più merito e meno sprechi: la riforma dell’Università

par Elia Banelli
sabato 7 novembre 2009

 

 In tempi di profonde crisi ideologiche è difficile distinguere i “rivoluzionari” dai “conservatori”, due categorie divenute negli ultimi anni interscambiabili.

Può accadere dunque che il cambiamento provenga da una forza politica per tradizione più conservatrice, come il centrodestra, e l’atteggiamento “reazionario” da frange sempre più minoritarie “di sinistra”.

La riforma dell’Università che porta la firma del Ministro dell’Istruzione Gelmini può essere modificabile, come avverrà con la necessaria discussione in Parlamento, ma è ridicolo che a pochi minuti dall’approvazione del ddl, l’Unione degli universitari (Udu), organizzazione di sinistra, abbia proclamato subito la mobilitazione, ed il responsabile Scuola del Pdci ripeta la solita solfa “il governo è contro l’università pubblica”…

Persino i ragazzi dell’Onda hanno atteso almeno una settimana per pronunciarsi e la Conferenza dei rettori (Crui) si è riunita solo mercoledì per un esame approfondito della riforma.

Ma loro, gli studenti “de sinistra”, avevano già fissato i paletti, il no preventivo, il rifiuto a prescindere.

Per chi invece voglia analizzare con serenità e senza pregiudizi il nuovo testo proposto dal ministro Gelmini troverà una serie di elementi davvero interessanti e per certi aspetti utili a riformare per il meglio l’università italiana.

Ci sono le norme così dette anti-baroni, come il limite massimo del mandato del rettore fissato a 8 anni, oppure l’obbligo per i docenti di presentarsi negli orari di ricevimento e non delegare, come si fa troppo spesso, ai soli assistenti. L’impegno per i professori sarà stabilito in 1.500 ore annue di cui almeno 350 destinate alla docenza ed al servizio degli studenti.

Gli scatti di carriera inoltre saranno triennali e non più biennali, basati però sulla valutazione del merito e delle capacità professionali e non più solo dell’anzianità, stimolando così il miglioramento della qualità della didattica e della produzione tecnico-scientifica.

Un’altra innovazione importante è il sostanzioso aumento dello stipendio base per i professori appena assunti, che dagli attuali 1.300 salirà a 2.100 euro, accompagnato dall’abbassamento dell’età minima per entrare di ruolo in università, dai 36 ai 30, che contribuirà non poco a svecchiare il sistema attuale.

Novità anche per gli studenti, che potranno “votare” i loro professori, sulla base di questionari che non saranno più sottoposti al solo giudizio interno del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo, come applicato fino ad ora, ma resi disponibili all’esterno e determineranno i criteri di distribuzione delle risorse statali.

L’impegno della riforma è inoltre indirizzato alla creazione di un fondo speciale nazionale per gli studenti più meritevoli, con borse e buoni studio per la copertura delle spese di mantenimento. Infine saranno garantiti qualità standard minimi a livello nazionale per le mense e la casa dello studente.

La riforma del ministro Gelmini contiene numerosi spunti positivi e proposte concrete che puntano ad una migliore efficienza del sistema Università, premiano il merito, riducono gli sprechi e possono contribuire ad un cambio di rotta fondamentale e troppo spesso invocato solo a parole.

Resta da vedere se l’Italia è ancora un paese che si può “riformare” o se per l’ennesima volta caste e castine nostrane bloccheranno qualsiasi ipotesi di cambiamento, come già succede da parte di chi organizza manifestazioni pubbliche senza neanche attendere la normale conclusione dell’iter legislativo. 

E’ spiacevole infine constatare il "plagio" che molti studenti, spesso a loro insaputa, subiscono da una classe di docenti che con la motivazione di facciata della difesa dei loro diritti e dell’istruzione pubblica, in realtà mira solo a tutelare i propri privilegi e le rendite di posizione.


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