Obama: un Premio Nobel non ancora guadagnato

par Marina Bernabei
sabato 10 ottobre 2009

Il Premio Nobel per la Pace assegnato al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, rappresenta le speranze e le aspettative che il mondo nutre nei suoi confronti.

Egli ha incarnato fin da subito il desiderio di cambiamento del popolo americano e ha instillato nel resto del mondo la fiducia che egli potesse divenire l’artefice di un ordine mondiale pacifico e multilaterale. Non si può negare che egli abbia preso le distanze dalla politica distruttiva e arrogante dell’amministrazione Bush. Non si può, però, neanche affermare che egli sia riuscito ancora ad imprimere un nuovo corso alla storia e alla politica americana. 

Obama è ancora agli inizi del suo mandato. Egli ha dimostrato di approcciarsi alle problematiche internazionali in maniera ragionevole e cauta. Si è, infatti, fatto portavoce della necessità del dialogo, dell’importanza della multilateralità e delle istituzioni internazionali e del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. E’ un dato di fatto che egli abbia, con il suo nuovo approccio, sconfessato i cardini della dottrina di politica internazionale perseguita dal suo predecessore.

Entrando nel merito delle questioni, si può osservare come “i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e cooperazione tra i popoli” siano embrionali. La scelta di chiudere Guantanamo ha rappresentato un atto di giustizia dovuto e un riconoscimento della violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

La decisione, però, di non perseguire i mandanti di tali crimini ha lasciato un sapore di impunità e di legittimazione di tali azioni. Il ritiro delle truppe dall’Iraq è un’ammissione implicita di una strategia sbagliata e di una guerra insensata. Il modo in cui affronterà lo scenario postbellico, non certo facile in un paese diviso, devastato e lacerato al suo interno, non è ancora delineato.



La volontà di ricondurre la guerra afghana ad una missione Nato e di fare “gioco di squadra” è un evidente testimonianza del ruolo affidato da Obama al multilateralismo. La mancata ricerca di una soluzione alternativa all’utilizzo della forza nel risolvere il problema del terrorismo e l’ennesimo dubbio su rafforzare o meno il contingente afghano, mostra come le categorie di analisi e di azione non siano fondate su basi nuove. 

La promozione del dialogo in Medio Oriente e gli incontri con i rappresentanti di Israele e la Palestina sono un’attestazione dell’esigenza di favorire il processo di pace e raggiungere una soluzione condivisa.

Le dichiarazioni di Netanyahu, la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania e il diniego americano verso qualsiasi condanna verso Israele, rivelano come il percorso sia ancora lungo e tortuoso.

Il discorso del Cairo supera quel clima di intolleranza e di odio reciproco tra America ed Islam alimentato negli ultimi anni, ma non ci dice nulla sulla politica statunitense nei confronti dell’Iran, soprattutto se gli Stati Uniti sono legittimati ad intervenire contro “gli estremisti violenti che pongono un serio rischio alla sicurezza”.

Io spero che Obama riesca veramente ad incarnare quel cambiamento che da lui ci si aspetta, ma al momento il Premio Nobel per la Pace non se l’è ancora guadagnato.


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