Marx-superstition
par Nereo
martedì 29 dicembre 2009
Questo scritto è basato su appunti antroposofici di Nereo Villa del 1985 (cfr. "Marx").
È fuori di dubbio che tanto le ultime generazioni del passato millennio quanto e soprattutto quelle del nuovo siano assolutamente senza bussola e travolte da relativismo, edonismo e nichilismo: generazioni che sostituendo sempre più i rapporti reali da uomo a uomo con virtuali da nick a nick, scivolano nella “pescitudine”, condizione devitalizzata e confinata nel relativismo di un isolamento senza prospettiva in cui, pur di apparire in qualche modo, ci si abbarbica a trasudati psichismi di idee pre-confezionate e poste sopra ogni altra idea senza verifica alcuna fino a farsi superstizione (quod super stat) e supernoise, cioè baccano di piazza.
Ho trovato nel web il concetto di “pescitudine” giustificato dalle seguenti osservazioni di “pensiero” ittico: “È noto che la memoria dei pesci rossi si esaurisce nel giro di pochi secondi. Dentro la boccia di vetro il pesce rosso inanella un’incessante riscoperta di un habitat artificiale. A parità di oggetto osservato le sue reazioni mutano ad ogni tornata. Accostiamo uno specchio alla superficie della boccia. Il pesce rosso percepisce la sua identità riflessa come un’entità distinta della sua stessa specie. Instaura un rapporto speculare che si rinnova ad ogni passaggio. Pescitudine è la dinamica virtuale di una condizione di vitalità confinata nel relativismo di un isolamento senza prospettiva!” (http://forum.wineuropa.it/forum/read/75.html).
In tal senso sono anni che parlo nel web di una simile “pescitudine”, soprattutto in merito al neomarxismo della dodi&c (acrostico da me inventato per caratterizzare la Marx-superstition delle Confraternite (o Compagnie o Corporativismi Dove Ogni Deficiente Impera), che è una vera e propria nave dei pazzi, navigante nel web dell’apparire secondo un pensiero debole molto simile a quello dei pesci rossi della pescitudine sopra caratterizzata.
Il neomarxismo odierno è comunque anche una di quelle idee pre-confezionate sopra accennate, che impera nelle scuole dell’obbligo e nelle università in cui l’universalità del pensare è divenuta tabù. Questo argomento pertanto è senza dubbio interessante, dato che oggi siamo arrivati al punto in cui sembra scomparso il coraggio di parlarne pensandoci con la propria testa.
Quanto segue è la sintesi di un mio manoscritto del 1985 su Marx ed il marxismo (pubblicato integralmente alla pagina "Marx") scaturito all’indomani della lettura de “Il Capitale” (il testo a cui faccio riferimento è quello delle Edizioni Riunite, Roma 1974, che riporta brani di Marx non presenti in altre edizioni) iniziata come verifica di varie affermazioni del fondatore dell’antroposofia Rudolf Steiner su Karl Marx, stemperate in varie sue conferenze e libri.
Io credo che l’uomo conduca la sua vita secondo il proprio pensare.
Ebbene, già un’affermazione come questa sarebbe stata per Marx una bestemmia. Infatti, credere che l’uomo conduca la sua vita secondo il pensiero, e non viceversa, è pretendere che "il mondo cammini sulla testa, anziché sui piedi". Così Marx esprime la sua idea sulla "mistificazione" della realtà. Per Marx la situazione condiziona interamente il modo di pensare dell’uomo. I rapporti economici e sociali si traducono per lui in dottrine, “mascherandosi”, appunto, di propositi e pretesti ideali.
La critica di Marx dell’ideologia procede da questa impostazione di base. Per lui non è vero che l’uomo nel realizzare la sua libertà è ostacolato da rappresentazioni sbagliate. Crede che lo sia da condizioni di vita opprimenti, e che qualora queste mutassero, muterebbe anche il modo di pensare. Perciò, contro tutti i filosofi del suo tempo (tanto contro gli “speculativi”, quanto contro i “critici”), Marx proclama che l’importante non è interpretare il mondo, bensì cambiarlo. E chi si muove esclusivamente nella sfera delle idee è per lui un “ideologo” (termine a cui Marx dà un significato spregiativo) a cui la società, fondata sulla divisione del lavoro, ha assegnato il compito di “pensare”. Ma il solo pensiero che veramente conti per Marx non è un pensiero puramente conoscitivo e contemplativo, bensì quello che accompagna la prassi, cioè l’azione che modifica le condizioni di vita degli uomini.
Hegel, secondo il quale la filosofia non può “ringiovanire il mondo” ma “soltanto conoscerlo”, è per Marx il supremo rappresentante di un sapere inutilmente contemplativo e/o mistico. E per liberarsi dalle condizioni di vita opprimenti l’uomo secondo Marx non abbisogna di misticismo ma di scienza.
Purtroppo anche oggi questo modo di pensare fa ancora presa sulla gente disabituata dal tempo di Marx a ragionare. Ecco perché lo pseudopensatore odierno, cioè il portatore di pensiero debole, diffidando del potere del pensare umano di pervenire alla verità, nega nichilisticamente perfino l’esistenza della verità dei fatti, e crede che Marx abbia davvero studiato i fenomeni storici con categorie concrete ed appropriate.
Invece la cosiddetta filosofia di Marx è deficiente di pensiero in quanto non accorgendosi per esempio della differenza fra materia e idea della materia, parla di materia non vedendo che ciò è impossibile, in quanto si può parlare solo di una idea di una cosa sennò si è obbligati a credere che tale idea non esista ma che esista invece quella cosa, cadendo così in ciò che si vorrebbe combattere, il dogmatismo fideistico. Per forza allora che non si riesce mai a debellarlo! Perché lo si vuole debellare senza pensare, ma solo credendo. Chi dunque procede in tal modo, cioè credendo, è un credente nella materia, vale a dire un mistico della materia quindi per nulla filosofico, né scientifico.
La critica del socialismo utopistico è in questi termini la polemica di Marx. Di fronte alla “Filosofia della miseria” (1846) di Proudhon, Marx contrappone infatti lo scritto sulla “Miseria della filosofia” (1847). E questo la dice lunga su coloro che si ostinano a considerare filosofo chi afferma che la filosofia è miseria. Costoro non fanno che difendere l’indifendibile continuando a parlare di lotta al padrone (si legga a questo proposito “Lo sporco capitalista sfruttatore di manodopera” di Walter Block in “Difendere l’indifendibile”, Ed. Liberilibri, 1993).
La storia come lotta di classe è infatti nella visione di Marx l’avvento di una società comunista, che secondo lui avrebbe dovuto vincere le difficoltà della vita dando “a ciascuno secondo il suo bisogno”. Questo fu previsto da Marx sulla base delle contraddizioni interne al sistema capitalistico, l’esasperazione delle quali avrebbe dovuto portare, attraverso guerre, catastrofi, e rivoluzioni armate, alla nascita di una società nuova, in cui l’eliminazione della società privata dei mezzi di produzione non avrebbe comportato soltanto un sistema economici strutturato diversamente, ma, mutando le “strutture” economiche, avrebbe fatto cambiare anche tutte le “sovrastrutture”, e cioè i rapporti sociali, le forme politiche, l’arte, e la moralità!
La “lotta di classe” inevitabile nel sistema capitalistico, avrebbe cessato col venir meno delle classi medesime. Lo Stato, necessario per mantenere stabile una società basata sulla succubanza, secondo Marx sarebbe finito in quanto non più necessario, e con lo Stato sarebbero secondo lui scomparse le lotte fra gli Stati, cioè ogni guerra. Secondo Marx, l’umanità, liberata dal bisogno grazie al suo stesso lavoro, avrebbe vissuto unita e felice. Cecità volontaria dunque, molto simile a quella di chi non vede la contraddizione della barakkopoli obamiana insignita del Nobel per la pace mentre essa fa la guerra su più fronti! Roba da ridere dunque! Ma non per il neomarxista benpensante, cioè non pensante.
Marx studiava dunque l’economia, non tanto perché riteneva che essa avesse qualche “legge” da insegnargli, ma solo per capire quali erano i rapporti economico-sociali che l’economia mascherava sottola veste di leggi eterne! E da questo punto di vista scrisse la “Critica dell’economia politica” (1859), continuata poi da quella che - a torto - fu considerata la sua opera più importante, “Il Capitale” (1885-95).
Già alcuni economisti classici avevano identificato il valore di una merce con la somma del lavoro necessario a produrla. Marx partì da qui per studiare la progressiva formazione del capitale nelle mani di coloro che, acquistando il lavoro altrui, riuscivano a pagarlo meno di quello che valeva, cioè meno del valore che il lavoro immetteva nella merce lavorata. Ciò era possibile, osservava giustamente Marx, in quanto l’offerta sul mercato del lavoro era sovrabbondante. Ed oltretutto, il “proletario” non poteva aspettare a vendere il proprio lavoro, dovendo mantenere se stesso e la sua famiglia. Di qui la “legge bronzea sul salario”, per la quale il lavoratore veniva retribuito col minimo necessario a soddisfare le sue necessità vitali, e tutto il di più - plus valore - che il suo lavoro produceva, era incamerato dallo “sporco capitalista”, vale a dire da chi inizialmente possiede una ricchezza che gli permette di detenere gli strumenti di produzione e di comprare il lavoro altrui.
Nell’era di Marx si facevano sentire soprattutto disordini in tutta l’Europa, causati dalla confusione in cui certe rivendicazioni sociali erano svisate. Ed anche lo sviluppo dello “Stato moderno” aveva generato amministrazioni che non regolavano solo cose e processi di produzione, ma anche uomini che vi lavoravano. In tale contesto, l’economia aveva preso forme tali per cui divenne necessario che la sua produzione la piantasse di governare gli uomini. Nel riconoscere questa necessità vi è senz’altro il merito di Marx e di Engels. Ma anche se non vi fossero stati costoro vi sarebbero stati altri a vedere quella necessità. Ciò che voglio dire è che se il mio “padrone” è un bastardo, io non ho bisogno di oppormi a lui in base a quello che ha scritto qualcuno. Mi oppongo a lui perché semplicemente perché egli è un bastardo, e lo posso dimostrare perché lo percepisco. Punto! Infatti gli oggetti di percezione, cioè le cose evidenti, non hanno di certo bisogno di un ministero dell’evidenza! Altrimenti che faccio se il cartello stradale non mi indica la curva? Tiro diritto?
Marx ed Engels fecero semplicemente notare dialetticamente come il capitale ed il lavoro umano erano attivi nella sfera economica, sentendo - giustamente - che la vita umana avrebbe dovuto superare le forme dell’attività capitalistica e lavorativa di allora. Infatti il capitale era allora divenuto la base per esercitare potere sulla forza lavoro, e serviva non solo all’amministrazione di cose e a dirigere processi di produzione, ma dava direttive per governare gli stessi uomini! Da ciò, Marx ed Engels non poterono che dedurre la necessità di allontanare dal giro dell’economia il governo sugli uomini, e questa deduzione era giusta. Infatti gli uomini non vanno considerati come accessori delle cose e/o dei processi di produzione, e pertanto da amministrare con quelli! Ma non ci vuole di certo una gran mente per accorgersi che l’essere umano non è una cosa o un Fantozzi o una merdaccia!
Tale problema dunque non avrebbe mai potuto restare nascosto. Ma Marx ed Engels cedettero di poterlo risolvere col mero estromettere il governo sugli uomini dal processo economico. Immane stupidità intellettualistica questa, dato che nei loro intenti lasciavano sussistere la nuova amministrazione economica depurata, ma pur sempre derivante dallo Stato! Insomma non riconobbero che nel governare gli uomini era - è e sempre sarà - implicito anche il regolarne i reciproci rapporti, i quali non possono restare non regolati, e neanche si regolano da sé quando non vengano più regolati dalle esigenze della vita economica.
Ovviamente non videro nemmeno che nel capitale era ed è - e sempre sarà - nascosta la sorgente delle forze atte ad amministrare le cose ed a dirigere i processi di produzione, dato che, tramite il capitale, era, è - e sempre sarà - lo spirito umano a dirigere la vita economica: lo spirito umano, vale a dire l’io, che l’odierna pescitudine della dodi&c ha in abominio!
Se però nell’amministrare le cose e nel dirigere i rami della produzione non si coltiva l’io umano, il quale procede da sempre nuove creazioni esistenziali e che è da sempre apportatore di forze nuove soprattutto in campo economico, la vita economica incomincia ad irrigidirsi per poi decadere del tutto!
È dunque giusto ciò che Marx ed Engels non potevano non vedere, cioè che amministrare l’economia non avrebbe dovuto significare un governo sull’uomo, e che il capitale ad essa necessario non avrebbe dovuto padroneggiare l’io umano, cioè l’io umano che da sempre, a partire dal capo umano, genera capitale. Ma divenne funesta la loro credenza, consistente nella fede nel fatto che i reciproci rapporti umani regolati dai governi, così come la vita economica diretta dallo spirito umano, avrebbero potuto stabilirsi da sé quando non fossero più proceduti dall’amministrazione economica.
Queste due eccelse menti avevano ragione quando esigevano “le riforme” della vita economica, ma il punto di vista da cui le richiedevano era unilaterale, esattamente come lo quello dei politici di oggi che sento parlare di riforme da più di mezzo secolo. Non videro, come i politicastri di oggi continuano a non vedere o a far finta di non vedere, che la vita economica può diventare libera solo se accanto ad essa si articoli una libera vita giuridica ed una libera “coltivazione” dello spirito o della luce (coltura o cultura significa etimologicamente culto di ur che significa in ebraico luce)! Solo così è pensabile una ripresa dell’economia.
La richiesta di una vita economica nella quale siano esclusivamente amministrate cose e guidati processi di produzione non potrà mai essere appagata finché verrà sollevata di per sé, cioè unilateralmente. Chi fa questo, pretende di creare una vita economica che da un lato espella da sé ciò che finora ha portato in grembo come necessità della propria sussistenza, e che dall’altro debba paradossalmente sussistere!
Questo non è altro che un vero esempio pratico di “pescitudine” politica! Quando la ritrovo nel web - e la ritrovo ad ogni pié sospinto - e vengo accusato di non conoscere l’opera di Marx mi viene in mente un fatto personale molto comico che voglio raccontare come conclusione, dato che credo occorra comportarsi da birichini con cretini, convinti di essere neogiacobini della legalità o del marxismo politicamente corretto.
Dunque avvenne che un giorno, scrissi in un forum Internet il seguente post: Fin dalla nascita le grandi banche, agghindate di denominazioni nazionali, non sono state che società di speculatori che si affiancavano ai governi e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipare loro denaro. Quindi l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche, il cui sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto per cento, contemporaneamente era autorizzata dal Parlamento a battere moneta con lo stesso capitale tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa, diventasse la moneta con la quale la banca stessa faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano per averne in restituzione di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua verso la nazione, fino all’ultimo centesimo che aveva dato.
Immediatamente mi rispondeva con parole di fuoco un sedicente esperto dell’opera di Marx, dicendo che si trattava della solita “plutocrazia” di stampo mussoliniano, e che ciò non c’entrava nulla con Marx, che era l’argomento che si stava trattando, appunto, nel forum.
Cos’era successo in realtà?
Era successo che costui era caduto nella trappola che avevo teso alla sua “pescitudine”, dato che non si era minimamente accorto che le parole di quel post, alle quali egli si era opposto con tanta veemenza, non erano mie, ma dello stesso Marx! Infatti le avevo riportate “copiaincollandole” esattamente da “Il Capitale” (Marx, op. cit. pp. 817-818)!
Questo fatto mi ispirò poi la creazione di un neologismo oggi molto usato nel web. Si tratta del termine “mentecattocomunismo” - che divenne poi l’omonima canzone , cover di “Stai lontana da me” di Adriano Celentano (ascoltabile e prelevabile alla pag. http://www.nereovilla.it/audio.htm ) - con cui indicavo, appunto, un mix fra l’essere mentecatti, cattolici e comunisti, tutte qualità senz’altro appartenenti, credo, alla pescitudine di chi oramai ha perso la sinderesi, cioè la facoltà di discernimento.
Marx aveva senz’altro capito, infatti, ciò che comunisti fan finta oggi di non capire e che i “mentecattocomunisti”, o l’infinita marea di “pescivendoli” supernoise (http://www.padovanews.it/content/view/53802/88889088/) della dodi-filosofia, non possono neanche più capire! Infatti egli si era onestamente accorto del tremendo e subdolo sistema di sfruttamento, di espropriazione, e di alienazione del valore del lavoro, costruito dai banchieri attraverso il monopolio dell’emissione monetaria (denaro creato dal nulla senza alcuna copertura aurea). E difatti scrisse a proposito della banca d’Inghilterra: “mentre le sue banconote hanno credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato, e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato” (ibid. pag. 635.).
Oggi invece la pescitudine dei “compagni”, e/o dei comunisti di lusso che siedono in Parlamento a ventimila euro al mese ufficiali, nelle università, o nelle fondazioni bancarie, ecc., sembra non capire ciò. Invece i rari che lo capiscono non lo hanno mai voluto insegnare agli “oppressi”, come Marx aveva almeno fatto, anche se in modo antifilosofico e antiscientifico in quanto privo di una minima chiave epistemologia. È chiaro che attraverso tale modo non epistemologico di procedere le idee non possono mutare di un pelo la realtà che le costituisce, e che quindi tutto si fa affinché tutto rimanga come prima, esattamente come oggi, secondo il classico stile gattopardiano di partiti, governi, sindacati, e chierici traditori, tutti collaboranti col potere bancario, che li sovvenziona, per proteggere questo sistema malato e tenere le classi più deboli, i lavoratori dipendenti, i disoccupati, sottoccupati, precari, ecc., nella convinzione che il loro sfruttatore, antagonista, ed avversario sia perennemente “il padrone”, o l’imprenditore, vale a dire colui che è ancora capace di idea creativa! Come se non vi fossero mai stati imprenditori come Olivetti, o come se non esistesse Giorgio Fidenato, della cui amicizia sarò sempre onorato!
È dunque ovvio che chi procede in tal modo, cioè spensieratamente nella pescitudine, genera solo supernoise, super baccano, per poi essere muto come un pesce, appunto, di fronte al sistema statalistico-bancario piglia tutto, che da secoli costruisce una perfetta facciata partitica di solidarismo, socialismo, comunismo e nazionalismo per camuffare il proprio business truffaldino.