La violenza degli ominicchi e dei quaquaraquĆ 

par politik risiko
mercoledì 16 dicembre 2009

Fino a mezz’ora prima dell’aggressione il Cavaliere, dal palco di Piazza del Duomo, sbraitava come suo solito contro le toghe rosse e i comunisti che – prima del suo intervento – stavano per trasformare l’Italia in uno “stato di polizia tributaria”. Poi lo si è visto accasciarsi a terra e poco dopo cercare di issarsi sopra le guardie del corpo per guardare verso la folla.
 
In quel momento, e per la prima volta da quando ho memoria, è apparso debole: un uomo anziano spaventato. Non è stato edificante, ma ancor peggio è quello che è venuto dopo: bastava dare la notizia e deplorare il gesto di un idiota squilibrato. E invece ci si è lanciati in edizioni speciali e approfondimenti che hanno occupato i palinsesti. Tutti contro tutti. Tutti con elmetto in testa, calunnie in bocca e cellulari in mano pronti ad avvisare i legali per le querele di rito (Travaglio e Casini contro Sallusti, il Pdl contro Travaglio e Di Pietro).
 
Nel fragore dell’avvenimento è stato detto l’indicibile. Il più indecente è stato proprio Alessandro Sallusti – condirettore del Giornale negli ultimi tempi molto di moda nei salotti tv – che ha accusato Travaglio, Santoro, Casini e Di Pietro, ma anche il resto dell’opposizione e il resto della stampa, di essere i mandanti morali del tentato omicidio del Premier. Sallusti è riuscito addirittura – peraltro senza vergognarsi – a scomodare il buon nome del commissario Luigi Calabresi ammazzato nel 1972 da terroristi di estrema sinistra.
 
Un pazzo squilibrato ha tirato una statuetta in faccia al Presidente del Consiglio, che fortunatamente ha riportato solo una frattura del setto nasale e qualche escoriazione. Il responsabile è stato individuato e sarà processato per direttissima. Questo − e soltanto questo – avrebbe dovuto dire una stampa responsabile e al servizio del cittadino, questo e soltanto questo avrebbe dovuto dire una classe politica veramente interessata al bene del Paese, aspettando la guarigione del Capo del Governo per tornare a combattere la battaglia politica. E invece Sallusti, Minzolini e gli altri si sono lanciati in pieno dentro la polemica con sette, otto servizi in apertura di telegiornale dove la frase “frutto del clima d’odio” veniva ripetuta in un loop addomesticato e perverso.
 
Di Pietro non è riuscito neanche questa volta a frenare gli impulsi primitivi che lo governano, dovendo aggiungere la solita frase in italiano approssimativo che gli farà guadagnare lo 0,5% alle prossime elezioni − mentre a Berlusconi farà guadagnare il 5% − ma lo trascinerà nel baratro una volta che il Cavaliere uscirà di scena, lasciandolo nudo a confrontarsi con la pochezza di un progetto politico costruito sul nulla.
 
L’impasse è evidente: si ragiona per teoremi già scritti, da una parte e dall’altra; e quando ci sono i teoremi precostituiti, le frasi fatte e la demagogia non c’è spazio né per i fatti e né per il confronto. Ancora una volta l’Italietta continua a non volersi guardare allo specchio, per paura di scoprirsi più vuota e demenziale di quel che crede. Preferisce starsene in un angolo, abbandonata alla mercé dei produttori dell’infinitesimo teatrino mediatico, l’ennesimo osceno spettacolo di questo Paese alla deriva.

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