La religione a nord del futuro di Ivan Illich

par Damiano Mazzotti
sabato 19 dicembre 2009

"I fiumi a nord del futuro" è il titolo del "testamento intellettuale" del prete-filosofo Ivan Illich. Le testimonianze sono state raccolte dal giornalista canadese David Cayley (www.quodlibet.it, 2009).

Nella recensione di oggi devo assolutamente chiarire che il testamento morale e intellettuale dell’intellettuale è talmente vasto “che ha aperto molti più sentieri di quelli che poteva personalmente esplorare fino in fondo, e in questo senso il libro è un lascito per chi è interessato a sviluppare e approfondire le molte idee che in queste pagine Illich ha appena abbozzato” (David Cayley, Introduzione, p. 26). Del resto la tesi fondamentale dello storico eclettico prende in esame l’istituzionalizzazione e la burocratizzazione del messaggio d’amore rivoluzionario di Gesù. Illich afferma: “Così, insieme a questa nuova capacità di darsi liberamente, è apparsa la possibilità di esercitare un potere totalmente nuovo: il potere di quanti organizzano la religione cristiana, usandone la vocazione per reclamare la propria superiorità come istituzione sociale; tale è il potere rivendicato prima dalla Chiesa e poi dalle molte istituzioni secolari generate su quel modello. Ovunque io cerchi le radici della modernità, le trovo nei tentativi della Chiesa di istituzionalizzare, legittimare e gestire la vocazione cristiana” (p. 31). Anche il concetto di Europa come standardizzazione di tutte le nazioni deriva da questo tipo di cultura e di approccio mentale: l’idea di piena libertà e di unità nella diversità resta solo un mito o un miraggio.

Nella parabola del buon Samaritano Gesù rende limpido il nuovo concetto di peccato: “per il Nuovo Testamento il peccato non è un’ingiustizia morale, ma un voltarsi da un’altra parte, o una mancanza… il Samaritano rappresenta un rapporto libero e perciò vulnerabile e fragile, ma sempre capace di guarire” (p. 38). La parabola glorifica la nuova responsabile relazione individuale al di fuori degli schemi imposti dall’etnia, dalla religione e oggi anche dalla burocrazia: “Gesù insegnava ai Farisei che la relazione che era venuto ad annunciare loro, la più completamente umana, non è quella aspettata, richiesta, o dovuta; può essere solo una libera creazione tra due persone, che non può verificarsi se non arriva qualcosa a me attraverso l’altro, da parte dell’altro, nella sua presenza corporea. [La relazione] esiste perché noi l’abbiamo deciso. Questo è quello che il Maestro intende per comportarsi da prossimo… è divenuto quasi impossibile, per chi si occupa di etica o morale, ragionare in termini di relazione e non di regole” (p. 36). In sostanza, se vogliamo attualizzare la metafora, proviamo a pensare a un palestinese che soccorre un israeliano ferito.

La rete di relazioni umane è fatta di individui particolari e unici e non un gruppo di persone unitesi sulla base di una qualche importante proprietà condivisa. La corruzione avviene quando la Chiesa comincia a rispondere al fallimento e all’inadeguatezza di una motivazione basata su un senso di mutua appartenenza, erigendo un sistema. "Quel sistema comprende un codice, o insieme di regole, una serie di ammaestramenti finalizzati all’interiorizzazione di quelle regole e un sistema di organizzazioni razionalmente costruite – burocrazie pubbliche o private, università, scuole – volte a mettere in atto ciò che le regole richiedono. Tutto ciò diventa una seconda natura per noi; ci abituiamo a decentrarci dalla nostra esperienza vissuta, incarnata, per diventare soggetti disciplinati” (Charles Taylor, filosofo, Prefazione), normalizzati e vincolati alle gerarchie del potere.

Il vero messaggio del Vangelo è l’importanza della relazione di empatia e di amore al fine di raggiungere la verità, la libertà, l’uguaglianza e la piena dignità di tutti gli esseri umani. Infatti il principale messaggio intellettuale di Gesù è questo: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Vangelo secondo Giovanni). Tutto ciò ha portato alla rivoluzione copernicana del matrimonio attraverso il libero consenso: “il matrimonio è strappato dal nesso familiare e comunitario in cui prima era inserito” (p. 75).

Anche Illich viveva malamente l’ambiguità della trasformazione storica della parola di Gesù e una volta affermò: “non posso fare a meno della tradizione, ma devo riconoscere che la sua istituzionalizzazione è alla radice di una male più profondo di ogni altro male io possa aver conosciuto con occhi e mente non assistiti” (p. 21). Ad esempio “Una volta che si è obbligato il peccatore a ricercare l’assoluzione giuridica di un crimine, il suo pentimento e la sua speranza nella misericordia divina diventano questioni secondarie” (p. 82). Inoltre le disquisizioni di Illich prendono in esame anche “il mistero del male” espresso dall’apostolo Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, dove parla di “apocalisse”, cioè la fine del tempo e del mondo, che però potrebbe significare semplicemente la fine di un certo tempo e di un certo mondo, e forse la fine della Chiesa Cattolica d’Occidente che potrebbe integrarsi in un’unica Chiesa Cristiana o addirittura in una grande religione monoteista insieme a quella ebraica oppure islamica. E’ quindi il significato letterale di “disvelamento e rivelazione” che abolirà la religione così come la conosciamo, e ci mostrerà la vera spiritualità, che non è il “tentativo di mettere al posto dell’opera di Dio una costruzione umana, sostituendo alla realtà divina che si dà e si manifesta per noi nella rivelazione, un’immagine di Dio prodotta dall’arbitrio e dalla fantasia degli uomini” (Karl Barth, Dogmatica ecclesiale, 1969). Forse Dio sta riservando un posto agli esseri umani nel suo futuro da “Apoteosi”.

Secondo Illich nel nuovo testamento c’è una condotta personale e morale che va oltre a tutti i confini culturali e religiosi; c’è la fede “nella parola incarnata sacrificata sulla croce” (p. 272). E “l’attitudine critica è uno dei modi in cui l’amore cristiano per la Chiesa può crescere” (p. 239). Infatti la questione planetaria sollevata da Gesù è quella relativa al potere. Quando Gesù si reca a meditare nel deserto e riceve la “grande offerta del potere” da parte del tentatore (Satana), il Maestro risponde: “Adorerai solo Dio, non il potere” (p. 87). Quindi ricollegando questa questione alla parabola del buon Samaritano si evince che la vera lotta che ogni individuo di questa terra deve portare avanti, è la lotta contro i vincoli e le ipocrisie delle gerarchie e della propria cultura. Non dimentichiamo che Illich considerava lo sviluppo imposto dal capitalismo “come una guerra alla sussistenza, che avrebbe sostituito una tollerabile assenza di merci e servizi con una condizione molto più penosa, da lui definita povertà modernizzata” (Cayley, p. 238). "Così uno dei tratti più tipici della modernità è stata la perdita del sentimento di gratuità” (p. 226). La morale monetaria sta sostituendo ogni condotta etica umana. Le relazioni commerciali e le relazioni familiari sono oramai inserite in un grande sistema di regole di condotta “morali” di dare e avere.

Per quanto riguarda gli aspetti personali della sua filosofia storica riporto questo passaggio molto significativo: “La certezza di poter fare a meno di qualcosa è uno dei modi più efficaci per convincersi di essere liberi, quale che sia il nostro gradino nella scala intellettuale e emotiva. I limiti autoimposti forniscono una base e una preparazione per discutere di cosa possiamo fare a meno come gruppo di amici o di vicini… A molte persone che soffrono di grandi paure e di un senso di impotenza e di alienazione, la rinuncia offre un modo molto semplice per tornare a un sé che si ponga al di sopra delle costrizioni del mondo. Nell’antichità la tirannia si esercitava su persone che ancora sapevano come mantenersi in vita. Potevano perdere i mezzi di sussistenza ed essere resi schiavi, ma non potevano essere resi bisognosi… poi cominciò a generarsi l’uomo bisognoso, colui che deve organizzare una società la cui principale funzione è soddisfare i bisogni umani – e i bisogni sono molto più crudeli dei tiranni” (p. 91). Pensiamo ai nostri bisogni tirannici di salute per cui non capiamo che “un medico deve abbandonare il capezzale di una persona per la quale non può fare più nulla; che esiste un momento in cui l’equilibrio non può più essere ristabilito e un tempo in cui la natura rompe il contratto di guarigione” (p. 118).

Tutti questi bisogni tendono a creare delle enormi istituzioni, che tendono a superare una soglia oltre la quale diventano controproducenti e malefiche. Il linguaggio si trasforma in linguaggio politico, strumentale e manipolatorio che può realizzare solo discorsi preformati e preordinati in sistema gerarchico. Nella scuola la superbia pedagogica arriva a “credere che l’uomo possa fare ciò che Dio non può, cioè manipolare gli altri per la propria salvezza” (p. 248), e vuole creare un monopolio delle forme di conoscenza che parcellizza il sapere in parchi artificiali sempre più ristretti che depotenzia le capacità di comprensione, le competenze e le intuizioni della gente comune, riducendo le possibilità di incontro tra utente e professionista. Questo si riflette anche nella concezione dei concetti di bene e valore: il vero bene “è ciò che, in una determinata situazione, è appropriato in modo unico e incomparabile; risponde a quella certa scala, mostra quella certa proporzione; è adeguato, e i sensi sanno riconoscere tale adeguatezza, proprio come sanno riconoscere quel che è fuori sintonia. I valori, d’altra parte sono una moneta universale senza un luogo appropriato o un limite intrinseco; classificano e comparano tutte le cose secondo la loro utilità e scarsità relativa… I valori minano il senso della debita proporzione e ad esso sostituiscono un calcolo economico” (Cayley, 264).

Nel libro c’è anche un interessante saggio di David, l’unico giornalista che aveva instaurato un vero rapporto di amicizia con Illich. Cayley sintetizza magistralmente la vita intellettuale di Illich, riuscendo ad esprimere il pensiero del grande maestro in modo più limpido e scorrevole, evitando i toni più polemici e sarcastici di Illich che possono urtare gli animi più suscettibili, e che io invece apprezzo molto, poiché lo considero l’unico modo per risvegliare le coscienze più pigre. Dopotutto “Illich voleva difendere quel che restava dell’autodeterminazione della gente, ripristinare il dialogo faccia a faccia in parole non predefinite da consiglieri professionisti, e fare dell’espansione della libertà – e non della crescita dei servizi – il criterio del progresso sociale” (Cayley, p. 249). Illich aveva semplicemente constatato il continuare dell’avverarsi del tradimento del cristianesimo e quindi della profezia che Gesù fece al “padre della chiesa”: “Pietro, prima che il gallo canti, tu mi tradirai tre volte”. Il “teologo pentito” affermò che gli uomini religiosi cristiani cercano il peccato in tutti i luoghi sbagliati e raffigurò il suo pensiero nella “vignetta del preservativo e del missile”, dopodiché rinunciò ai suoi incarichi e alla carriera ecclesiastica.

Illich amava la verità e per incontrare “la verità entro l’orizzonte di un “noi” che è davvero un “io” plurale, un “noi” che è arbitrario, unico, che emerge lentamente, che non può essere in alcun modo classificato, è necessario innanzitutto lasciar cadere un certo numero di convenzioni accademiche – estremamente vischiose e tenaci – prodotte dall’università, fra cui l’organizzazione della conoscenza in discipline specialistiche ed esclusive” (p. 141). Cosa del resto non facile: il grande chirurgo e scienziato Henri Laborit, che ha fondato la psicofarmacologia, riteneva che per far acquisire uno spirito interdisciplinare ad un’equipe di lavoro servissero quattro anni (Claude Grenié, Conversazioni con Henri Laborit, www.eleuthera.it, 1997; Alain Resnais, Mon oncle d’Amérique, film, 1978). E ora mi sembra giusto chiudere con una delle classiche affermazioni provocatorie di Illich: “All’inferno il futuro! È un idolo mangiatore di uomini. Le istituzioni hanno un futuro… ma le persone non hanno futuro; le persone hanno solo speranza” (p. 26).

 Nota – Illich considerava l’apprendimento di una lingua “una delle poche occasioni in cui un adulto può vivere una profonda esperienza di povertà, di debolezza e di dipendenza dalla buona volontà di un altro” (p. 237). Il titolo del libro è tratto dalla poesia scritta da Paul Celan nel 1967. Il poeta rumeno di madrelingua tedesca nacque nel 1920 e dal 1941 al 1943 fu internato in alcuni campi di lavoro nazisti (si suicidò nel1970). Celan era un autore molto caro a Illich.

Nei fiumi a nord del futuro

getto la rete, che tu

esitando aggravi

con ombre scritte

da pietre.


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