La questione petrolifero-energetica in rapporto al collasso globale

par gastaldo.paolo
venerdì 4 dicembre 2009

L’aumento della pressione sull’ambiente deriva direttamente dalla crescita della popolazione mondiale, associata al rapido sviluppo delle tecnologie, che permettono di sfruttare le risorse del pianeta su una scala mai conosciuta prima.

 

 

All’inizio del 20° secolo la popolazione mondiale era circa di 1miliardo e 500 milioni di persone, fino agli anni ’70 circa il 40% consumava petrolio, il che ben marcava la differenza tra nord e sud del mondo: un fenomeno legato alle società più ricche ed avanzate tra l’occidente euroatlantico e l’est europeo-sovietico. Dagli anni ’60 agli anni ’80, gli USA sono stati i primi produttori mondiali di petrolio, arrivando a una produzione di picco che sfiorò i 10 milioni di barili al giorno. Ancora oggi gli Stati Uniti, che costituiscono il 4.5% della popolazione mondiale, consumano una quantità di energia pari al 25% del totale globale.

Nel mondo, oggi, ci sono circa 700 milioni di veicoli circolanti, con percentuali maggiori di concentrazione nella fascia ovviamente più evoluta: USA, Europa, Emirati Arabi, Giappone, Corea. La domanda di omologazione agli standard di vita occidentali di grandi Paesi come Cina, India e altri, sia asiatici che africani, può portare nel prossimo decennio a una crescita del numero di automobili circolanti di oltre 1 miliardo e 400 milioni, il che renderebbe insostenibile il soddisfacimento di questa nuova domanda, facendo schizzare alle stelle il prezzo del barile e portando attorno al 2020 - 2050 la domanda di produzione di barili al giorno nel mondo dai circa 30 milioni attuali a 250 milioni, facendo implodere tutto il sistema col rischio di far esaurire la materia prima.

Come da studi acclarati, i geologi indicano sempre stime di picco nella resa estrattiva del petrolio: in USA questo picco è stato raggiunto da tempo. Dall’11 Settembre 2001 a oggi, la decrescente produzione americana per ipersfruttamento del proprio continente è alla base delle scelte della politica estera americana.

La super potenza, preoccupata della crescita e della domanda energetica asiatica a seguito della globalizzazione e dell’eutrofica crescita del PIL di Cina e India, decise di intraprendere azioni militari e guerre preventive sia in Afghanistan che in Iraq, basandosi sul fatto che la maggior quota ancora estraibile si trova nel quadrante mediorientale e nel bacino del Caspio. Da lì l’esigenza di creare avamposti e controllare militarmente e geopoliticamente le due gigantesche potenze emergenti, considerando il fatto che il petrolio estratto nel Mare del Nord potrebbe decrescere.

Cina e India sono i Paesi più sovrappopolati del pianeta: da soli raggiungono i 2 miliardi e 500 milioni di abitanti, su un totale globale (2009) di 6 miliardi e 700 milioni. La popolazione più ricca e “occidentale”, comprendendo per stili di vita simili USA, Europa, Russia e Giappone, supera di poco il miliardo, meno di 1/6 della popolazione globale. Esistono, dunque, due fattori differenziali di crescita ben distinti, tra le popolazioni più ricche e quelle più povere dei Paesi in via di sviluppo.

La questione iraniana e le pressioni occidentali, soprattutto angloamericane, s’inseriscono in questa ottica del controllo e dell’accaparramento di nuovi giacimenti da esplorare in quel Paese. Ciò spiega l’interesse crescente verso un’ingerenza sulle scelte di governo discutibili ma interne a quel Paese, caratterizzato da una classe dirigente confessionale, autoritaria e teocratica ma indipendente dall’occidente e ad esso politicamente avverso, fattore che viene usato come pretesto per una nuova invasione possibile.

Petrolio e CO2, impronta ecologica e concause del disastro globale in atto

E’ evidente che se già la fiammata dei prezzi a 150 $ dollari al barile del 2008 si sente ancor oggi, nonostante la crisi recessiva in atto, su quel miliardo di popolazione povera del pianeta che la FAO indica in condizioni estreme di miseria (ciò è dovuto al parossistico aumento dei prezzi di materie prime come frumento e cereali) è chiaro che una ripresa del PIL globale che si basi sulle stesse variabili fin qui seguite come lo spostamento della ricchezza monetaria globale verso le èlites dei ricchissimi padroni globalizzatori, circa l’1% della popolazione mondiale, con enormi risorse esclusive e private, giacenti nei paradisi fiscali del mondo; unito a

lla crescita demografica e all’aumento della domanda energetica, che non è solo quella dei motori a scoppio, che l’aumento del parco automoblistico globale implicherebbe, ma anche i fattori collaterali, legati alle produzioni di questi beni che incrementerebbero la già insostenibile produzione di CO2 in atmosfera, causa dell’aumento delle temperature medie mondiali, con già visibili e riscontrabili effetti conseguenti,

porta la questione ambientale a non essere più considerabile solo come “fisima e litania di studiosi pessimisti e Cassandre" ma scientifica realtà di un futuro imminente, prossimo e devastante.

Le buone norme, in quattro essenziali punti, per una politica globale futura auspicabile

che, ovviamente, la miopia e brevimiranza delle classi dirigenti occidentali non adotteranno con la necessaria incisività sono:

  1. La riconversione energetica verso fonti di approvvigionamento sostenibili e rinnovabili ad emissioni pari a zero con rottamazione progressiva dei veicoli dotati di motore a scoppio a favore di altri dotati di celle a combustibile ad idrogeno e motori elettrici; l’incremento degli investimenti pubblici nella ricerca e nella sperimentazione circa l’implementazione e l’ottimizzazione delle rese in base al conto energetico dei singoli Paesi e della loro collocazione geografica e bioclimatica. L’estensione e la diffusione di queste tecnologie nelle aree più povere del pianeta portano ad avere produzioni ed economie locali sostenbili, meno inquinanti ed ecodistruttive per l’ambiente.

  2. La riconversione agricola verso la coltivazione biologica intensiva e sostenibile, per incrementare le rese di cereali e latticini, adatti all’alimentazione umana ed animale; la riduzione, quindi, delle produzioni di carne e dell’ipersfruttamento ittico marino, fattori parossistici dell’impronta ecologica che questo tipo di allevamenti, spesso dopati da sostanze letali ed anabolizzanti, comportano come effetti indotti sulla salute umana, essendo intensivi e su scala iperindustriale, riavvicinando le produzioni ai consumi, riducendo il peso delle intermediazioni finanziarie che fanno lievitare i costi del cibo globalizzato e di pessima qualità, impoverendo i coltivatori locali diretti (processi induttori oltre che di disequilibrio ecologico anche di spinte inflazionistiche).

  3. La

    riconversione energetica volta a contenere lo spreco energetico degli edifici occidentali nei grandi complessi urbani e metropolitani, energivori e sbilanciati nella conservazione del calore, sia in fase di riscaldamento che raffreddamento, il che implica anche il governo sostenibile del ciclo dei rifiuti nel loro recupero e la raccolta differenziata.
  4. La

    riconversione del sistema economico fiscale globale, ristabilendo di nuovo la priorità pianificatoria ed ordinatrice degli Stati e delle confederazioni di Stati di fronte allo strapotere di banche e multinazionali private verso la fine del neoliberismo, introducendo regole fiscali globali verso un’utile ridistribuzione di risorse finanziarie verso le classi salariate del pianeta, unica premessa per una ricrescita sostenibile ed ecocompatibile. Sono necessari investimenti per realizzare un piano energetico ambientale globale credibile che superi le empasse prima indicate, cercando di evitare catastrofi annunciate, investendo nei settori prima descritti per la salute fisica e morale degli abitanti del pianeta, introducendo una Carta Internazionale dei Diritti del Lavoro per prevenire lo sfruttamento senza regole del Sud del mondo, riformando gli effetti nefasti della globalizzazione, evitando ad esempio scenari futuri che il crescere dell’effetto serra da CO2 potrebbero implicare come guerre dell’acqua e tentativi di privatizzazione a livello globale che renderebbero speculativa anche la distribuzione di un bene essenziale, carestie da fame e milioni di morti per indigenza, guerra e malattie, collasso dell’offerta energetica per incremento di domanda, in un modello di sviluppo che se perseguito così com’è stato fino ad oggi può essere a breve distruttivo per il mondo intero.

E’ evidente che sugli standard di qualità circa il futuro del mondo, enormi responsabilità ricadono in primis sugli Stati Uniti d’America, la principale potenza militare ed economico-energivora del pianeta.

Obama potrà essere utile all’umanità, quindi, se riuscirà a riconvertire, oltre che il modello di sviluppo, anche la politica USA, oggi ancora incentrata sull’accanita difesa degli interessi privatistici dell’apparato oligarchico-militar-consumistico delle sue più grandi multinazionali, verso la pace mondiale e la sua società civile interna, improntando l’azione della superpotenza come Paese guida verso le traiettorie descritte nei quattro punti prima indicati.

Ma gli scenari di una nuova guerra verso l’Iran, da più analisti internazionali confermata in seguito a studi strategici, fanno pensare che la linea USA sulla geopolitica non si discosti di molto da quella tracciata da George Bush.

Né la nostra federazione europea, altro imponente consesso di nazioni civili ed avanzate, pare mostrare idee e progetti incisivi, nella mediocrità e opacità complessiva della sua classe politica tendenzialmente burocratica e sempre sottomessa ai diktat americani, inglesi e delle loro multinazionali, leader finanziari e globali.


Fonte: Il sogno che continua





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