La necessaria liberalizzazione dei servizi idrici

par Elia Banelli
sabato 21 novembre 2009

C’è grande differenza tra "privatizzare l’acqua", spettro agitato dalla disinformazione di massa, e aprire al mercato la gestione del servizio idrico. 

L’Italia, purtroppo, è ostaggio da tempo di due blocchi contrapposti: da una parte il berlusconismo imperante, con tutte le conseguenze negative che comporta (personalizzazione della politica, leggi pubbliche che obbediscono a poche esigenze private, pretesa di impunità, tentazione di dominio monopolistico negli affari), dall’altra una consistente fetta di "ayatollah della conservazione", annidati tra le associazioni, i partiti e la società civile, che contrastano ogni tentativo di riformare il nostro ingessato sistema produttivo.
 
Dall’università allo snellimento della spesa pubblica, dalla modernizzazione infrastrutturale alla liberalizzazione dei servizi idrici locali, è un continuo boicotaggio e tentativo di condizionare le decisioni del governo di turno per lasciare che tutto rimanga com’è, ovvero scadente e poco competitivo in confronto agli altri paesi occidentali avanzati. 
 
Sul decreto Ronchi approvato alla Camera, che liberalizza la gestione dei servizi idrici locali, tante sciocchezze condite da propaganda spicciola si sono udite negli ultimi giorni.
 
Dal leader dell’Idv Antonio Di Pietro che addirittura paventa scenari apocalittici, con i poveri che non potendo pagarsi un bicchiere d’acqua sono destinati a morire di sete, fino a coloro che si ostinano a parlare di "privatizzazione" dell’acqua come un fenomeno che possa accadere realmente.
 
C’è poco interesse, da parte di chi fa opposizione "a prescindere", a rappresentare la realtà in maniera concreta e senza pregiudizi ideologici di alcun tipo. 
 
Il primo punto da chiarire è che l’acqua resterà un bene "di esclusiva proprietà pubblica", come recita il testo della legge Ronchi, dove si specifica inoltre che spetta alle istituzioni garantire "universalità e accessibilità al servizio". Questo significa che nessuno potrà privatizzare le fonti o le sorgenti. Crolla dunque una delle principali critiche mosse al decreto. 
 
A partire dal 2011 ci saranno le gare per gli appalti, che riguardano esclusivamente la "gestione della distribuzione dell’acqua" nelle diverse realtà territoriali. Si parla dunque di "gestione e distribuzione del servizio idrico" non di "privatizzazione e mercificazione dell’acqua". La differenza tra "proprietà" e "delega in gestione" dovrebbe essere chiara ai più.
 
La liberalizzazione del settore consentirà alle aziende private di concorrere alla distribuzione dell’acqua (un emendamento della Lega prevede inoltre l’ingresso in deroga dei comuni più "virtuosi" che riescano a garantire tariffe basse e livelli alti di efficienza del servizio). 
 
Deroghe a parte le gare prevedono bandi pubblici aperti a tutti gli operatori e potranno concorrere anche gruppi internazionali. Nei prossimi mesi sarà ratificato il regolamento attuativo per bilanciare le esigenze di mercato (dunque delle società private) con la salvaguardia della natura pubblica del servizio. 
 
E’ prevista l’istituzione di un Authority ad hoc per il controllo dell’acqua o, in alternativa (se ci fossero resistenze nella stessa maggioranza) la creazione di una sezione specifica all’interno dell’Authority per l’energia ed il gas.
 
Chi si dimostra strenuo difensore della "gestione pubblica" dell’acqua dovrebbe ricordare la disastrosa situazione dell’acquedotto pugliese, con perdite quantificate nel 2006 fino al 50,3%, o di realtà come quella della Basilicata.
 
Si dà troppo per scontato che il pubblico sia efficiente e buono ed il privato ladro e opportunista. Una società privata che perdesse la metà dell’acqua sarebbe destinata ad un sicuro fallimento e non credo che questo rientri tra gli obiettivi strategici di un imprenditore. Lo Stato o l’Ente pubblico può sempre ammortizzare le perdite spalmandole sul debito pubblico o scaricandone i costi sui cittadini. 
 
In molte regioni, inoltre, esistono da tempo società miste pubblico-private per la gestione delle retri idriche senza che vi siano sollevazioni popolari. In molti casi (ad Arezzo o in Umbria) la qualità del servizio è rimasto simile o è addirittura migliorato.
 
Si parla anche con eccessiva sicumera di un inevitabile "aumento dei prezzi" (in Italia sono comunque tra i più bassi d’Europa), senza considerare che l’aumento del costo dell’acqua (sempre che avvenga nei fatti) può anche avere effetti positivi: indurre i consumatori ad un uso più moderato, evitando così gli sprechi.
 
Dispiace prendere atto della foga degli "ayatollah della conservazione" che tra manifestazioni di protesta, strilli di piazza e sui blog, ipotesi di referendum abrogrativi, difendono il poco efficiente monopolio pubblico nell’erogazione del servizio idrico e pretendono di bloccare una riforma utile per liberalizzare il sistema di gestione delle risorse (dopo la fondamentale apertura alla concorrenza sul mercato energetico). 

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