La bizzarra pretesa italiana di esportare prodotti d’eccellenza

par Francesco Rossolini
lunedì 26 ottobre 2009

 

Ora, senza peccare di campanilismo, l’Italia ha dato prova di possedere veri e propri talenti in tutti i campi della scienza, della letteratura e dell’arte.

Purtroppo però oggigiorno i frutti di questi talenti vanno in larga misura a nazioni come gli USA, il Giappone, la Svizzera, l’Australia e così via. La motivazione è che l’Italia non riesce a trattenere i talenti poiché non offre loro una posizione adeguata dal punto di vista economico, sociale e soprattutto non dà la disponibilità di strumenti di ricerca adeguati, siano essi fondi o laboratori. Questo è un problema non recentissimo e che comunque non trova risposte politiche da almeno quindici anni.

Fatte queste premesse e considerato che oggi un paese come l’Italia non può competere con paesi come la Cina, sul prezzo di realizzazione di prodotti a basso valore aggiunto, ci si chiede quale sia la strategia per rilanciare il sistema paese, uscire dalla crisi e crescere, tutte azioni necessarie per evitare l’altrimenti inevitabile tracollo. Basta esaminare i conti pubblici con lucidità per rendersene conto.

La colpa di tale stato di cose è da attribuire sia alla politica, che mortifica l’istruzione e la ricerca, invece di incentivarle e che riduce i fondi messi a disposizione con continui ed insensati tagli, sia al sistema industriale italiano ben poco lungimirante.

Per quanto riguarda la pubblica istruzione credo ci sia poco da dire, qualsiasi addetto ai lavori, docente, ricercatore, studente, e qualsiasi genitore non del tutto lobotomizzato può toccare con mano l’ultimo devastante disastro provocato dal Ministro Gelmini. Per il Governo Berlusconi ed i suoi Ministri l’istruzione pubblica a tutti i livelli è un’inutile spesa a cui sottrarre anche le ultime sparute risorse.

I nostri industriali, perfettamente in accordo con la politica autodistruttiva del Governo, in larga parte ritengono che la ricerca e lo sviluppo siano un costo da contenere il più possibile, invece di un investimento di primaria importanza. Non si spiegherebbe altrimenti come certi grandi imprenditori, ora sull’orlo del fallimento, abbiano potuto pensare di trattenere i migliori ingegneri e fisici offrendo loro stipendi semplicemente ridicoli o addirittura nulli nel caso degli stage “a tempo indeterminato”.  

Non ci si può poi sorprendere se nei centri commerciali si trovino elettrodomestici solo ed esclusivamente di provenienza estera. L’Italia che possedeva una grande tradizione in quelli che sono i grandi elettrodomestici oggi si vede surclassare da paesi come la Corea del Sud che realizza prodotti anni luce avanti rispetto ai vetusti prodotti italiani. Ed i risultati in Italia si vedono: aziende del comparto chiuse, fallimenti, cassa integrazione e chi più ne ha più ne metta.

Nell’alta tecnologia siamo ancora meno incisivi. Credo sia praticamente impossibile reperire un PC di marca (non assemblato), o un tv a schermo piatto o una fotocamera digitale o uno smartphone, appartenenti a un brand italiano. 

Quale sia questa presunta eccellenza italiana ed in quale campo, risulta di difficile comprensione girovagando in un qualsiasi megastore di elettronica.  

È giunto il momento di finirla di cullarsi sugli allori, di cambiare in toto la stantia classe dirigente italiana, di investire massicciamente in sviluppo, ricerca ed innovazione e di iniziare a produrre ciò che la gente vuole e a farlo bene soprattutto. Conviene che la genialità italiana rimanga in aziende italiane invece di far arricchire esclusivamente le aziende straniere.

L’Italia dovrebbe essere la culla del talento, dove un giovane promettente possa sentirsi lusingato di rimanere e lavorare, e non un orrido “carcere” delle potenzialità senza sbocchi, senza speranze e senza futuro, come il “Bel Paese” si presenta oggi ai giovani brillanti e desiderosi di mettersi in luce. 


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