L’enigma Obama

par Bernardo Aiello
martedì 3 marzo 2009

Spesso gli uomini politici non dicono quello che pensano, ma raramente non pensano a quello che dicono; ne consegue una certa difficoltà a seguirne l’azione ed il pensiero.
 
Il Presidente degli Stati Uniti non fa eccezione alla regola: dopo aver promesso “il cambiamento” in tutti i lunghi mesi della competizione elettorale, posto appena eletto dinanzi alla più grave crisi finanziaria ed economica mondiale mai registratasi, ha finito per spacciare per “il suo cambiamento” misure economiche certamente imponenti, ma, tutto sommato, poco incisive.
 
Non facciamoci influenzare dall’enormità delle cifre interessate: senza interventi strutturali sulle regole del mercato finanziario mondiale e globale, sempre di “pannicelli caldi” si tratta.
 
A ben riflettere forse Obama non farebbe male a chiedersi come mai un Paese come il nostro, noto per il suo endemico disordine in ogni campo e connotato da una fortissima tendenza all’inefficienza ed all’approssimazione, è risultato uno dei meno toccati dalla metastasi dei titoli tossici.
 
Non è un miracolo divino: è la conseguenza delle due grandi riforme del sistema bancario, quella del 1926 e quella del 1936.
 
Esse, nate in reazione al fallimento di alcuni Istituti di Credito (come quello della Banca Italiana di Sconto avvenuto nel 1921), lungi dal dare al mercato il compito di regolare l’attività del credito, affermarono alcuni importanti principi da seguire, i più significativi dei quali sono i seguenti:
 
1. Il controllo della Banca d’Italia sull’attività di tutte le aziende di credito;
2. L’attribuzione della qualifica di funzioni di interesse pubblico alla raccolta del risparmio ed all’esercizio del credito;
3. La specializzazione temporale degli enti creditizi, distinguendo fra credito a breve termine, credito a medio termine e credito a lungo termine;
4. La separatezza tra banche e industria.
 
Oggi il nostro Paese si gode i frutti di una legislazione lungimirante e straordinariamente efficiente.
 
Temo che tutto questo non sia facile da digerire per gli anglosassoni, da sempre alfieri e paladini del “libero mercato” e della sua “mano invisibile”, che tutto aggiusta e tutto sistema per il meglio.
 
Oggi, che vediamo agire alla grande mani ben visibili e, soprattutto, pubbliche al posto di quella “invisibile” di cui sopra, ci si aspetterebbe un poco di autocritica da parte degli Yankee.
 
Insomma, dalla crisi dei derivati, le tesi di Adam Smith escono decisamente malconce ; ed il solo richiamo di Obama alla “responsabilità” di chi occupa posizioni apicali nel mondo della finanza appare certamente insufficiente come misura strutturale; ivi compresa la limitazione ope legis dello stipendio dei top manager.
 
La domanda, che rimane, è la seguente: Obama ha in mente di giungere per gradi ad affrontare i nodi strutturali del sistema finanziario globale oppure non riesce a liberarsi dalle fisime dei “mercatisti”?
 
Ovviamente noi italiani non possiamo non tifare per la prima ipotesi; anche perché, nel secondo caso, francamente non si vede proprio come si possa raggiungere con successo e stabilmente la fine del tunnel della recessione.


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