Irlanda: sì al Trattato di Lisbona. Gli euroscettici ammettono la sconfitta

par Sergio Bagnoli
martedì 6 ottobre 2009

Ormai solamente Repubblica Ceca e Polonia si oppongono all’applicazione del Trattato di Lisbona che dovrebbe rendere più agile e snella l’Unione europea avvicinandola ai suoi cittadini

Pochi giorni fa anche Richard Green portavoce del Coir, l’assemblamento delle forze politiche euroscettiche che si opponevano alla ratifica del Trattato di Lisbona, ha ammesso in Irlanda la sconfitta, affermando alla stampa gaelica che“ Al referendum sullo strumento giuridico escogitato per poter far funzionare in maniera rapida ed agile l’Unione europea hanno vinto con un discreto margine i si”.“Una grande vittoria che dimostra come gli euroscettici avessero torto.

Se non ci fosse stata l’Unione europea infatti oggi l’Irlanda patirebbe in maniera gravissima gli effetti della crisi economica globale che, si spera, sia in via di dissolvimento” ha invece chiosato il ministro degli esteri di Dublino, Michael Martin il cui governo aveva scommesso tutta la sua credibilità sul grado di maturità del popolo irlandese che lo scorso anno invece, rifacendosi alla necessità di tutelare le peculiarità culturali dell’isola di San Patrizio, bocciò impietosamente il Trattato.

All’avvenuto calpestio dell’identità nazionale fa invece riferimento Green ma le sue ormai sono poco più che recriminazioni naturali nell’anima di ogni sconfitto dopo un referendum dell’importanza di questo. A Bruxelles invece tutti, a partire dal neo- confermato Presidente della Commissione Manuel Barroso, hanno stappato le bottiglie di champagne dopo che il sì in terra d’Irlanda, dando la vittoria allo schieramento dei favorevoli ad una sempre più stretta integrazione europea. N



on che nel giro di un anno gli irlandesi si siano trasformati da un popolo di Euroscettici in una comunità di Euroentusiasti, tutt’altro: per buona parte dei 570 milioni di cittadini dell’Unione europea Bruxelles rimane ancora troppo lontana e troppo prigioniera della burocrazia per prendere il posto, nei loro cuori, delle ventisette singole diverse identità nazionali ma quantomeno un punto di partenza è stato fissato.

Ora affinché l’Unione europea si trasformi in quel sogno vagheggiato da Alcide De Gasperi, Robert Shumann e Konrad Adenauer negli anni cinquanta, la Commissione ed il Parlamento europeo dovranno lavorare per risolvere concretamente i bisogni dei cittadini dei ventisette stati membri. Certamente l’eccellente politica con cui l’Europa è riuscita a fronteggiare i disastrosi effetti della crisi economica globale che lentamente, per fortuna, si sta attenuando e che ha colpito duro specialmente in quelle nazioni che fino a ieri registravano tassi di crescita annui molto alti, affrancandosi da una secolare povertà, ha indotto, assai più degli appelli dei partiti di governo, gli irlandesi a sposare il Trattato di Lisbona. Si può quindi affermare con tranquillità che il si dei gaelici al Trattato sia stato più un matrimonio d’interessi che d’amore, ma tant’è.

Ora dopo che anche la Germania, previa la modifica legislativa richiesta dalla Corte Costituzionale, con la deliberazione a stragrande maggioranza del Bundesrat ha ratificato definitivamente il trattato di Lisbona, solamente la Repubblica Ceca e la Polonia rimangono le “ pecore nere” d’Europa, quei paesi cioè che, per inconfessabili egoismi nazionali, sono ancora riluttanti a ratificarlo sopratutto per responsabilità diretta dei loro Capi di Stato, Vaclav Klaus a Praga e Lech Kaczinski a Varsavia. Sarebbe ora che l’Unione europea, rafforzata anche dal voto irlandese, pensi seriamente ora ad applicare nei confronti delle due nazioni dell’ex Patto di Varsavia dure sanzioni.


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