Il sangue di Berlusconi a Milano

par maurizio carena
martedì 15 dicembre 2009

Chi scrive è fermamente contrario alla violenza. Ad ogni tipo di violenza. Per questo, con riferimento all’aggressione subita dal capo del governo del 13 dicembre in piazza a Milano, la prima cosa da fare è condannare l’atto di violenza del 42enne Tartaglia che ha colpito al volto Berlusconi con (pare) un piccolo oggetto usato come arma.
 
E questo pur sapendo che gli spin doctors dell’egoarca sapranno abilmente sfruttare tale evento, per far passare il tycoon da vittima e accomunare surrettiziamente ogni contestatore, ogni cittadino che non voti Berlusconi, per un potenziale pericoloso "terrorista", preparandogli così il terreno per governare un altro ventennio. Dal punto di vista mediatico Feltri & c. sanno che dovrebbero erigere un monumento, in termini di immagine allo "psicolabile attentatore".
 
Epperò. Messo in chiaro che, dal punto di vista umano, la violenza è sempre condannabile, bisognerebbe spingersi un po’ oltre. Non è tollerabile una comunicazione mainstream che, come riporta "Prima Pagina" in onda su RadioTre ieri mattina, non sappia fare altro che profondersi in dolore per il sangue presidenziale e stigmatizzare ogni altra flebile voce fuori dal coro (per esempio DiPietro). Certo, il fatto era accaduto poche ore prima e le notizie erano frammentarie e imprecise. Ma le analisi dovrebbero esserci e andare oltre l’aspetto puramente biologico.
 
Ci viene in mente il Giulio Cesare di Shakespeare e il discorso di Bruto dopo il tirannicidio che suonava più o meno così: ci dispiace di avere sparso il sangue di Cesare da molti punti di vista. Egli era un ottimo generale, un un uomo onesto eccetera eccetera, però volle farsi imperatore, diventare un tiranno, per questo abbiamo dovuto ucciderlo.
 
Quando si fa politica si sa, o si dovrebbe sapere, che si può disporre di moltissimo potere ma si rischia anche molto. Finanche la pelle. E’ la storia che ce lo insegna.
 
E la storia ci ricorda che il diritto di ribellarsi al dispotismo è stato riconosciuto sin dall’antichità più remota a tutt’oggi da uomni di qualsiasi dottrina e di qualsiasi credo. Di più: le città-stato dell’antica Grecia e la repubblica romana non solo ammettevano ma facevano l’apologia della morte violenta dei tiranni.
 
Ora. O non si ha il diritto di pensare che l’egoarca plutocrate monopolista mulimiliardario in odore di mafia sia un tiranno, si abolisce la Costituzione, e l’articolo 21 e diventiamo anche formalmente e non solo sostanzialmente una "democrazia elettorale" come, poniamo, la Russia o la Corea del Nord. Oppure si riconosce tale diritto. Ma allora non si può fare a meno di riconoscere che quando un politico, a capo del sistema, si comporta come Berlusconi, conosciuto in tutto il pianeta per il suo disprezzo per la democrazia e per gli avversari, qualche rischio lo si corre. E’ il rischio storico che da sempre corrono i politici.
 
Del resto, come ci ricorda Noam Chomsky, l’unico freno che hanno i regimi politici è la paura del popolo. Sì, la paura del popolo. Senza di essa cosa frenerebbe i detentori del potere da qualsiasi abuso di cui fossero capaci?
 
L’attacco al "corpo del sovrano" è cosa che accadrà sempre. Categorie politiche come "guerra civile", "rivoluzione", "tirannicidio", esisteranno sempre, alla faccia delle panzane alla Fukuyama e alla sua pretesa "fine della storia".
 
Il sangue che cola sul volto del premier non ci mostra solo fino a che punto sia "amato", al di là della disgustosa oleografia mediatica dei pennivendoli mainstream, che ha ormai ridotto il mestiere di giornalista a quello di cameriere di regime (senza offesa per i camerieri, che appunto non sono giornalisti).
 
Quel sangue ci ricorda che la storia non è finita. Forse non si ripete, ma un po’ si somiglia.
 
Nell’apprendere dell’aggressione a Berlusconi mi è tornata immediatamente alla memoria l’aggressione del giornalista iracheno, Muntazaar Al Zaidi, che lanciò le scarpe contro Bush a Baghdad all’inizio di quest’anno. Anche se i mainstream lo condannarono e finì in galera egli fu per molti, specie tra il popolo, un eroe nazionale contro l’imperialismo occidentale. Non pretendo una ferrea analogia, ma i due casi non mi sembrano così slegati. In fondo, anche per il governo fantoccio iracheno sono in programma "libere elezioni" come per il governo fantoccio afghano (se i Quisling sono a libro paga dell’occidente non ci sono problemi per i mainstream).
 
Semmai vi è analogia, essa risiede nella criminalizzazione della protesta.
 
Sia in Iraq che nell’italia del XXI secolo, così come in moltissimi altri posti, chiunque protesti contro il regime viene criminalizzato.
 
Chi frequenta, per esempio, il blog di Piero Ricca, blog già sequestrato (preventivamente) da uomini armati in divisa, su denuncia di Emilio Fede, sa che per il cittadino comune porre semplici domande ad esponenti del sistema comporta il rischio di essere "attenzionati" dalle forze di polizia e di essere schedati e/o arrestati. Questi fatti, però, non sono considerati "notiziabili" da tv e grandi giornali.
 
E chi ha un po’ di memoria si ricorda che il fondatore del Bo.Bi (Boicotta Biscione), Gianfranco Mascia, venne brutalizzato e sodomizzato da ignoti figuri che volevano dare un esempio a chiunque (era il 1994) osasse mettersi efficacemente di traverso all’irresistibile ascesa politica del palazzinaro di Arcore. Nemmeno questa vile aggressione di stampo fascista ebbe un’eco nemmeno lontanamente paragonabile al recente attacco al premier
 
E sono solo alcuni esempi tra i tanti.
 
Quindi. Ribadiamo la solidarietà umana a Silvio Berlusconi. La violenza è SEMPRE condannabile.
 
Eppero’ non possiamo che prendere atto del doppio standard della casta al potere e dei loro corifei (i mainstream). Questo doppio standard, per cui vi sono vittime degne di maggior attenzione e vittime meno o del tutto indegne di attenzione mediatica e stigmatizzazione sociale, è cosa che ci appare altrettanto se non più grave dell’atto in sé.
 
Noi non condanniamo solo la violenza ma crediamo che ogni violenza sia egualmente condannabile. E crediamo che chi non condanna OGNI violenza sia complice, esattamente come gli esecutori, e non abbia titolo per giudicare o peggio condannare gli altri. Anche chi permette la violenza e si gira dall’altra parte è un criminale ed un complice.
 
Noi vorremmo quindi che la veemenza con la quale si condanna la violenza fosse proporzionale alla violenza stessa e NON allo status sociale di chi ne e’ vittima o al suo colore politico.
 
Per questo, nel porgere, per l’ennesima volta, la solidarietà (umana) e gli auguri di una pronta guarigione al capo del governo, del parlamento, delle tv, della principale coalizione politica eccetera, non possiamo dimenticare che quando in questo paese il sangue che scorre è quello dei poveri cristi che noi chiamiamo "clandestini" che lasciamo crepare in mare va tutto bene e ci sono poche righe sui giornali; così come quando le cosiddette "forze dell’ordine" massacrano di botte i detenuti senza processo in galera (penso a Stefano Cucchi) non vediamo usare dai mainstream lo stesso standard valutativo. Il sangue di queste categorie NON merita l’attenzione dei media.
 
Avantieri sera abbiamo visto che il sangue del premier è rosso come quello di tutti gli altri. E ce lo hanno fatto vedere a reti unificate.
 
Eppure il sangue del capo dovrebbe essere uguale a quello dei sudditi. Almeno questo dice la Costituzione nel suo terzo articolo, quello sull’eguaglianza di tutti i cittadini.
 
Speriamo di ricordarcelo e di usare contro la violenza la stessa severità e condanna morale.
 
Contro OGNI violenza.
 
 
 
 
 
 
 
 

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