Il posto fisso di Tremonti e la crisi. Che cosa insegnano i suicidi di France Telecom

par Virginia Visani
mercoledì 21 ottobre 2009

L’altroieri il Ministro Tremonti ha scoperto l’acqua calda. Ha detto che crede nel “posto fisso” di lavoro, cioè crede che il contratto di lavoro a tempo indeterminato sia meglio della mobilità. Bella scoperta, si potrebbe non troppo educatamente osservare, se non fosse che proprio adesso (e non tanto al tempo dell’approvazione della Legge Biagi che sancisce la mobilità) ci si accorge come la precarietà, la paura di essere lasciati a casa, in cassa integrazione o addirittura licenziati è uno spettro più tangibile che mai. 

E neppure nei Paesi a noi più prossimi, come ad esempio la Francia, la situazione non è migliore, anzi. Chi scrive vuole ricordare i 25 suicidi nel giro di due anni a Telecom France. Il venticinquesimo è accaduto proprio la scorsa settimana quando un dipendente di France Telecom, da un mese in malattia su consiglio del medico curante, si è impiccato nella sua casa di Lannion, cittadina della Bretagna.
 
I sindacati dell’azienda francese che si sono riuniti proprio ieri 20 ottobre, hanno sollecitato il management a discutere e porre un rimedio allo spinoso problema dello “stress da lavoro”. Dove per “stress” si intendono i ritmi di lavoro divenuti non soltanto umanamente insostenibili, ma anche logoranti in quanto continuamente sottoposti al ricatto psicologico della minaccia di licenziamento.
 
Sono due mesi che gli stessi sindacati sollecitano l’azienda a una riorganizzazione, una volta per tutte, che comporti la modifica dei contenuti e delle condizioni di lavoro. In risposta i giorni scorsi l’azienda, nella persona del suo direttore Didier Lombard, pare abbia ribadito che i dipendenti sono molto amati, anzi sbagliano a pensare che non li si ami più. Però, spiega ancora il dirigente, “i nostri dipendenti sbagliano quando investono tutto nel proprio lavoro e del lavoro hanno l’idea che sia come una grande famiglia dalla quale ci si aspetta anche affetto e riconoscimento.
 
Ma come? Viene da chiedersi, non è forse valsa fino ad ieri, e ancora oggi in certi luoghi di lavoro, la valorizzazione dell’azienda come una famiglia? Viene il dubbio che questa concezione sia buona nei momenti di elevata produttività, quando cioè il lavoratore è invogliato anche affettivamente a trascorrere più tempo in azienda, a fare gli straordinari, a spendersi il più possibile.
 
Ma poi, in tempi di magra, lo si colpevolizza perché ama talmente troppo il suo posto di lavoro da rinunciare ad una propria vita privata. E tale cambiamento di indirizzo riguarda pure molte nostre aziende e quasi tutti i Paesi colpiti dalla crisi economica .
 
L’azienda più colpita dai suicidi dei suoi dipendenti, France Telecom, ha inviato a tutti un questionario: una cinquantina di domande di ordine generale sul carico di lavoro e relativo riconoscimento, sul senso stesso del lavoro e sulla personale autonomia. A queste seguono poi altre 120 domande più specifiche che dovrebbero servire a capire quanto pesano la dislocazione e la mobilità nonché la considerazione che ciascuno ha della figura del capo: se sia anch’egli sottoposto alle pressioni del management o se al contrario disponga di una relativa autonomia.
 
Ci ri-pensi dunque il Ministro Tremonti. O quanto meno voglia spiegare meglio il suo pensiero che appare decisamente un po’ “fuori moda”.
 

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