Il Cavaliere ricattato?

par morias
martedì 1 dicembre 2009

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi torna ad attaccare il gruppo Repubblica - L’espresso, in seguito ad un articolo pubblicato il 28 novembre a firma Giuseppe D’Avanzo e Attilio Bolzoni con il quale si chiede di far luce sull’effettiva proprietà azionaria delle holding che controllano la Fininvest.

Nell’articolo sul quotidiano Repubblica i due autori, senza molti giri di parole, suppongono che una parte della proprietà azionaria delle holding che controllano la Fininvest siano mafiose.
 
D’avanzo e Bolzoni scrivono: "Molte testimonianze di personaggi o consulenti che hanno lavorato come interni al gruppo riferiscono che sono di Berlusconi non meno dell’80% delle azioni delle holding [che controllano Fininvest]. Sull’altro 20% ci si può ancora sbizzarrire... Sembra di poter dire che il peso del ricatto della famiglia di Brancaccio contro Berlusconi può esercitarsi proprio tra le nebbie di quel 20%" - poi l’articolo prosegue - "Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte..."
 
Da qualche giorno il Presidente del Consiglio si autoproclama paladino della lotta alla mafia. Sono su tutti i giornali le sue dichiarazioini con le quali ci ricorda come il suo governo sia stato l’unico che abbia inferto i colpi più duri alle organizzazioni criminali, con arresti e inasprimenti delle pene per i mafiosi. Il Cavaliere rivendica il suo ruolo nella costituzione di uno dei maggiori gruppi imprenditoriali del Paese, e anche la figlia Marina rivendica il pieno controllo della proprietà di Mediaset, estranea a qualsivoglia forma di complicità con affari illeciti.
 
Ci sembra strano però che tutta questa foga antimafia il Cavaliere l’abbia scoperta a seguito della notizia pubblicata dal suo "Giornale", diretto da Vittorio Feltri, che nei giorni passati ha ipotizzato una sua iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Firenze in merito agli attentati mafiosi del 1993.
 
Il Presidente del Consiglio si è sempre lamentato del fatto che le notizie giudiziarie che lo riguardassero fossero diffuse dalla "stampa comunista di sinistra". Per una volta è il giornale di proprietà della sua stessa famiglia a metterlo in guardia su un eventuale pericolo, anche se la Procura fiorentina ha prontamente smentito.
 
Oppure tutta questa baraonda fa parte di un preciso disegno politico-giudiziario. Forse il Cavaliere teme l’avvicinarsi della data del 4 dicembre. E non la teme per la fissazione della prima udienza a Milano del processo Mills che lo vede inquisito per corruzione, dato che per quella data i suoi avvocati/parlamentari hanno sollevato il legittimo impedimento (è previsto per quel giorno un Consiglio dei Ministri).
 
Forse il Presidente del Consiglio sta mettendo le mani avanti in vista delle rivelazioni che il 4 dicembre potrebbe fare il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, che potrebbero coinvolgerlo in una delle più buie pagine della nostra storia repubblicana. Le stragi mafiose del 1993.
 
Naturalmente non in qualità di mandante, non vogliamo nemmeno pensarlo, ma come ispiratore di un partito politico (Forza Italia) che si è proposto come interlocutore delle famiglie siciliane dopo che queste avevano perso i loro punti di riferimenti a causa del tracollo del vecchio sistema partitico come conseguenza di "Tangentopoli".
 
Intanto Marcello Dell’Utri, ospite di Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz’ora, rivendica l’amicizia con l’eroe Vittorio Mangano, stalliere (?) di Arcore, ed invoca una regolamentazione dei pentiti e del reato di concorso esterno in associazione mafiosa (non previsto dal codice penale).
 
Mentre i processi che lo vedono coinvolto a Milano sono "aggiustabili" per via delle proposte di legge avanzate dai suoi fidi avvocati/parlamentari, il processo che maggiormente teme, il Cavaliere, è quello proprio a Dell’Utri a Palermo, nel quale, comunque sia, i giudici di primo grado hanno messo nero su bianco un suo, indiretto, coinvolgimento.
 
Per Natale la Corte d’Appello dovrebbe giungere alla sentenza.
 
Nella sentenza della Corte d’Assise che ha condannato il senatore del Pdl a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa si legge:
 
<<Gli elementi probatori emersi dall’indagine dibattimentale espletata hanno consentito di far luce:
sulla posizione assunta da Marcello Dell’Utri nei confronti di esponenti di ’cosa nostra’, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e a Cinà), sul ruolo ricoperto dallo stesso nell’attività di costante mediazione tra quel sodalizio criminoso..., e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo FININVEST;
 
sulla funzione di ’garanzia’ svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fosserooggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l’assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore...;
 
sugli ulteriori rapporti dell’imputato con ’cosa nostra’... consentendo, anche grazie a Cinà, che ’cosa nostra’ percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall’azienda milanese facente capo a Silvio Berlusconi, intervenendo nei momentio di crisi tra l’organizzazione mafiosa e il gruppo FININVEST ..., chiedendo al Mangano ed ottenendo favori dallo stesso e promettendo appoggio in campo politico e giudiziario.
 
Queste condotte sono rimaste pienamente ed inconfutabilmente provate da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche ed ambientali di conversazioni tra lo stesso Dell’Utri e Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà ed anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia...>>.
 
Infine vogliamo ricordare l’impegno del governo di Silvio Berlusconi nello scioglimento del comune di Fondi, come richiesto per due volte dal Prefetto di Latina, per infiltrazioni mafiose, la candidatura alla Regione Campania del sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e l’emendamento alla finanziaria del senatore Maurizio Saia che permette di vendere dopo 90 giorni i beni confiscati alla mafia. Senza però scordare lo "scudo fiscale" - tutti provvedimenti che ai mafiosi di certo non saranno piaciuti (?).
 
 
 

Leggi l'articolo completo e i commenti