Il caso Balotelli

par carlo aragonese
domenica 13 dicembre 2009

Della serie: noi ce la cantiamo noi ce la suoniamo.

Noi italiani sappiamo come smussare gli angoli di un qualsiasi muro. Il muro del razzismo è di quelli indissolubili, difficile da abbattere. Ma noi, come dicevo, sappiamo come abbattere un muro. Smussando gli angoli, a colpi di ipocrisie. E con le ipocrisie, si sa, viene facile abbattere qualsiasi muro. Ma nel caso Balotelli mi sa che siamo riusciti ad abbattere soltanto il muro della vergogna: quel muro eretto per contenere il mare maleodorante e fetido dell’xenofobo, che, una volta straripato, ci ha letteralmente ricoperto di fango.

 

Perché a parte i cori, i buu e il vai a raccogliere banane dei soliti razzisti da stadio (direi perlopiù imbecilli loro, e di quelli allo stato brado), di chi ha ricevuto un’educazione psichedelica, abbiamo il discriminare dell’intellettuale di turno, del professionista della parola, di chi sa fare razzismo in modo sotterraneo, sapendo ben ponderare gli aggettivi, contenere gli scandali. La specie più pericolosa. Così i cori del razzista da stadio per costoro diventano un vai a lavorare come i tuoi compari immigrati, oppure oh ma questo ragazzo con quel suo atteggiamento irretisce; così i buu del razzista da stadio diventano un oh, ma questo qua è un arrogante e strafottente; così il vai a raccogliere banane diventa un ma in fondo questo ragazzo non è mica un vero italiano.

E talmente ce la sappiamo raccontare (che non siamo mica razzisti), che ci diciamo sommessamente che non è il colore della pelle a condizionarci nei commenti verso Balotelli: no, perché un italiano razzista non s’è mai visto, nemmeno sulla luna. Nemmeno quegli italiani che hanno usato i gas in Etiopia erano razzisti, giurerebbero alcuni. Erano dei condottieri valorosi, ammetterebbero altri.

Ma il perseverare razzista degli italiani nei confronti del povero Balotelli ha raggiunto la sua fase acuta: non gli perdonano nemmeno di aver segnato un gol da antologia nella partita contro il Rubin. Questi italiani non razzisti, emeriti buontemponi come li definisce qualcuno, questi professionisti della parola, uomini di cultura e perciò autorevoli a sentenziare a ogni piè sospinto, ci raccontano cosa sia razzismo e cosa non lo sia. E incredibilmente, colui che è parte lesa, diventa parte che offende. Persino il suo allenatore non gli perdona nulla, a Balotelli: addirittura lo sgrida dopo aver fatto quel gol su punizione che garantisce alla squadra la qualificazione al turno successivo della Champions. La colpa, si sa, è sempre di Balotelli, forse perché non c’è nessuno capace di difenderlo dalle bestie da stadio, perché è davvero un ragazzo timido, fragile, perché non sa rispondere picche a quei signori professionisti della parola, rispondere come farebbe per esempio un signor Panucci: antipatico per antonomasia, ma che non ha certo peli sulla lingua e non le manda a dire: le dice punto sul becco. Perché di personaggi antipatici nel mondo del calcio è pieno: Balotelli è però un antipatico negro, e i negri, antipatici o non, al massimo – dicono quei signori che si definiscono non razzisti – sono buoni solo per andare a raccogliere banane.


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