Giustizia: la tempesta è passata

par bravebasset
mercoledì 16 dicembre 2009

Le toghe respirano un’aria più serena. L’armistizio con il Cavaliere sembra consolidarsi: a noi il potere, a lui l’impunità. Il rischio maggiore, se non l’unico, ormai può dirsi evitato. Il C.S.M. non sarà riformato e il potere di controllo sui novemila magistrati italiani, attribuito all’organo di autogoverno dalla Costituzione ma di fatto conquistato dalla lobby associativa, è ormai tale da non temere nessun attacco e nessun richiamo. Neppure quello del Capo dello Stato che lo presiede.
 
L’ultimo invito al rispetto reciproco tra le istituzioni non si è sottratto a velate critiche di coloro che, senza attendere i proclami ex cathedra dei leaders associativi, hanno definito “inconsueta” l’iniziativa del Capo dello Stato, affrettandosi a precisare che è stato sempre il Cavaliere ad attaccare le toghe che, a loro volta, si sono sempre limitate a respingere le accuse.
 
Il processo breve? Si può contestare ad oltranza. Un buon argomento per continuare ad alimentare il conflitto con il Cavaliere, ma senza acrimonia. Ci penserà l’amico ed ex collega Tonino a fare tutto il possibile. La gestione del potere continua.
 
Le toghe hanno dimostrato che il Parlamento non è in grado di modificare alcunché dell’assetto organizzativo della magistratura, ed il Cavaliere con la sua straripante maggioranza, alla fine della legislatura, avrà dimostrato la sua incapacità di governare e di varare qualsiasi riforma. Lui prima o poi dovrà ritirarsi, se non altro per motivi di età, ma le toghe, no. Si rinnoveranno e si alterneranno ai posti di comando pronti a premiare coloro che sono in grado di far cadere i governi e di dettare le agende delle più alte cariche dello Stato.
 
In fondo in fondo, negli uffici giudiziari, una limatina alla mole incontrollabile dei processi pendenti non dispiace poi più di tanto. La morte prematura di qualche processo destinato comunque ad una miserevole fine non creerà alcun trauma. L’importante è che tutto rimanga come prima.
 
Ed ecco che ciascuno nel suo piccolo si cimenta ad accreditarsi, all’interno, ma soprattutto all’esterno, come il più meritevole tra coloro che aspirano ad occupare quelle poltrone che nel manuale Cencelli valgono talvolta più di quelle ministeriali. C’è chi si dedica a ripulire uffici e istituzioni, eliminando con grande clamore, ma con altrettanta prudenza, qualche mela marcia. Altri hanno scoperto i “cold case” e riesumato cadaveri dagli archivi, trovando a distanza di decenni elementi probatori (più o meno inconsistenti) in grado di riempire pagine di quotidiani a corto di notizie. Altri ancora si limitano ad accaparrarsi questo o quell’incarico giudiziario che, all’occorrenza, potrà essere speso come capacità professionale meritevole di essere apprezzata rispetto all’attività giudiziaria pura e semplice, ossia di quell’attività anonima e faticosa che si esaurisce nel rendere giustizia ai cittadini.

Insomma, la montagna del Cavaliere, attorniata dai Ghedini e dagli Alfano, non è riuscita a partorire che una misera prescrizione processuale che metterà pochi eletti al riparo da una di quelle condanne non definitive in genere dissolte dal tempo prescrizionale ordinario. Ora la faccia scura di Palamara non compare più sul piccolo schermo e, anzi, tra i corridoi del tribunale sembra essere tornata più serena e più sorniona.
 
Fonte: Sal, Agenzia Fuoritutto

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