Gabbie salariali. Ma non esistono già?

par Ezio Petrillo
giovedì 6 agosto 2009

Gli antichi vizi leghisti legati all’anti-meridionalismo di rimarcare barriere divisorie (già esistenti) tra le due metà del Paese.

Gabbia salariale è un termine molto originale. Un rafforzativo, oserei dire. Il concetto di costrizione, in “gabbia salariale” è quello che prevale su tutto. La gabbia, le sbarre, il ferro, la sopportazione, l’umiliazione. Il salario come vincolo al denaro, unica via di uscita per la sopravvivenza. Mescolate i due termini e avrete di fronte l’immagine del Mezzogiorno d’Italia. Chissà, forse per questo Calderoli, per infiammare un Agosto non ancora entrato nel vivo, ha voluto affrescare di belle proposte il panorama politico nostrano. Ci mancavano le polemiche tra Nord e Sud del Paese.

L’anti-meridionalismo sembrava acqua passata, roba sepolta sul fondo del Po dal lontano 1996, quando la minaccia di secessione di Bossi e company, si tramutò nel simpatico rituale dell’ampolla riempita alla sorgente del fiume più lungo d’Italia. Poi ci fu il tempo delle alleanze con Berlusconi, della convenienza nell’abbandonare certi temi per non inimicarsi il prezioso elettorato meridionale, e così il bersaglio delle invettive leghiste si tramutò dal tipico napoletano furbacchione e nullafacente all’immigrato “clandestino”. Oggi, dopo anni e anni di silenzio, la questione meridionale sembra essere tornata alla ribalta. E per questione meridionale, ovviamente, non si intende un tavolo di studio e di analisi per comprendere le arretratezze strutturali del Sud. Si tratta di decidere se istituire una nuova pseudo Cassa del Mezzogiorno, se mandare fondi pronti a finire nelle tasche di pochi (vedi Fondi Europei, ricostruzione post-terremoto Irpinia, Salerno-Reggio), se insomma continuare a considerare il meridione un serbatoio di manodopera a basso costo per il Nord, oppure fare qualcosa affinchè i treni della speranza in direzione Milano siano un giorno meno affollati.

Le gabbie salariali sono l’ultima provocazione di chi non conosce la verità. La realtà è che le differenze di retribuzione territoriali già esistono, eccome. Provate a chiedere lo stipendio di una commessa che lavora in un negozio del Sud, e comparatelo con quello di una dipendente di un esercizio commerciale del settentrione. E le differenze coinvolgono anche professionisti. Giornalisti, avvocati, architetti. Tutti sottopagati al meridione, tutti che vedono la propria busta paga aumentare non appena si trasferiscono al di sopra del Tevere. In base a questo ordine sociale che prevede condizioni di salario differenti per chi lavora al Sud, è normale che i prezzi dei beni di largo consumo scendano. Dati ufficiali dicono che le differenze sfiorano il 16%. Certo. Si optasse per un’uniformità di listino probabilmente molte attività commerciali al meridione fallirebbero in due minuti. Il mercato è fatto di domanda e offerta. Anche i bambini lo sanno. Come se non bastasse, poi, Calderoli non ha considerato evidentemente quanto i suoi conterranei pagano di RC auto, rispetto ad esempio ai napoletani. Ci sono dei casi in cui le differenze di tariffe assicurative superano il 60-70%. E l’assicurazione di un’autovettura forse conta di più sul bilancio familiare rispetto ad un pacco di pasta. O no? Forse l’obiettivo leghista è quello di istituzionalizzare una realtà che di fatto già esisteva ed esiste, ma che non aveva ancora in sé quello stigma inferiorizzante che si porta dietro la parola gabbia salariale. Questione di etichette.

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