Craxi e la Seconda Repubblica (cronache dal fronte)

par Pietro Orsatti
martedì 19 gennaio 2010

Se c’è qualcosa di buono nel dibattito (sono in fase ottimista così definisco una rissa un dibattito) sul decennale della morte di Bettino Craxi, è rintracciabile nel aver riesumato il famoso intervento dell’allora leader del Psi alla camera dei Deputati in cui ammettendo che il suo partito viveva del finanziamento illecito spiegava che questa prassi apparteneva a tutti i partiti ed era sistemica sin dopo la fase Costituente del 1947/48. Un intervento del 1992, se non ricordo male.
 
Ovviamente non parliamo, e non parlava allora Craxi, di quei partiti sotto il 5% che erano all’opposizione, ma deile organizzazioni che pesavano, determinavano, facevano appunto sistema. Non era una novità. Perfino un galantuomo come Riccardo Lombardi, risultato poi del tutto estraneo, era stato tirato dentro una delle prime grosse inchieste che cercavano di contrastare il finanziamento illegale alla politica. Sto parlando dello scandalo petroli del 1982. Si sapeva, si intuiva, si sospettava.
 
Craxi, forse anche proprio per quell’intervento alla camera di denuncia e di assunzione di responsabiltà, fu il leader politico che più pagò in termini personali e umani. Altri pagarono, certo, perfino con la vita come nel caso del suicidio di Raul Gardini, altri ancora furono appena sfiorati, molti si riorganizzarono per garantire continuità al sistema. Ma il simbolo negativo della stagione di Tangentopoli, che lo si voglia o no, è e rimane il leader del Psi.

Personalmente sono uno di quelli che ritiene che Bettino Craxi mori da latitante. Rifiutando il processo, espatriando, si pose in una condizione di assoluto svantaggio, danneggiando enormemente la sua residua credibilità e autorevolezza. E fornendo, invece, un’ottima copertura a tutti quelli che senza modificare la reale, e non formale, prassi dell’illegalità come fonte di finanziamento della politica si apprestavano a riempire i vuoti del vecchio sistema avviando una presunta Seconda Repubblica identica nella sostanza alla Prima nella continuità dell’esercizio dei poteri reali.

Poi, a dieci anni di distanza, un pezzo della politica, di quel centrodestra forzaitaliota figlio della stagione degli allori craxiani e poi del crollo del leader e del disfacimento di un’identità autonoma socialista, ha deciso di riappropiarsi dell’icona craxiana per ridare lustro a una leadership, quella di Berlusconi, che ormai mostra crepe che nessun lifting chirurgico o mediatico potrà più nascondere. Nonostante Craxi e Berlusconi siano stati uniti non solo da un viscerale anticomunismo, ma anche da una lunga amicizia personale e da un ripetuto scambio di favori ampiamente documentato, penso che se oggi Craxi fosse vivo avrebbe enormi difficoltà a schierarsi per Silvio. Perché nonostamte i tanti errori, le illegalità da lui stesso ammesse, Craxi fu, perfino nel male, una persona “seria”, un politico coerente nel suo percorso. Un partito e una politica fatti di viscere e umori, di un padrone e di tanti sottoposti, di un aziendalismo brianzolo trasformato in ideologia che vuole a tutti i costi sostituirsi alla democrazia, non avrebbero fatto per Craxi. Di quel Craxi, tanto per intenderci, che ci piace ricordare mentre diceva no a Reagan sulla vicenda di Sigonella e che contemporaneamente diceva si alla trattativa nel caso del rapimento Moro.

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