Cosa lasceremo in erdità ai nostri figli?

par Emilia Urso Anfuso
giovedì 19 novembre 2009

Una Società come la nostra, compressa a tutto tondo nel dover vivere il presente senza alcuna probabilità di un domani, rischia di non riflettere sul futuro dei propri figli. C’è stata un’epoca – neppure troppo remota – in cui tutte le energie di una famiglia erano tese alla costruzione, in ogni senso.

Costruzione di uno status, di case, di risparmi, di storia familiare. Pian piano, l’immagine della famiglia che accudisce, protegge e fonda radici, ha dovuto in qualche modo cedere il passo a valori diversi, a tempi differenti. Ad una visione dell’esistenza, fondata più sull’attimo presente che sul futuro.

Poco tempo per pensare ai figli. Nessuna possibilità di concretizzare un ipotetico futuro. Nulla che consenta la chiara e netta determinazione di una continuità. Oggi si morde il tempo a casaccio e si corre verso orizzonti sempre più oscuri ed ignoti.

Cosa lasceremo di questa storia dei nostri giorni ai nostri figli? Chi spiegherà loro, con dovizia di particolari ed argomentazioni logiche, perché l’ambiente è andato a catafascio. Perché non hanno diritto a lavorare? Perché c’è una distinzione troppo netta e lontana, fra chi gestisce la nazione e chi – ormai – ne subisce le conseguenze? Ed ancora, perché non siamo oggi in grado di spiegar loro il futuro che potrebbe già delinearsi, e le scelte di cui in qualche modo siamo artefici e vittime?

Chi darà loro la mano per condurli verso la vita? Chi gli assicurerà di che vivere? Chi potrà confermar loro che una scossa di terremoto non ucciderà i loro figli? Chi di noi potrà garantire che non moriranno di lavoro, di droga, di qualche nuovo virus, di un incidente ferroviario, di spazzatura e diossina, di malattia rara per cui non si è mai speso troppo denaro per tentarne la cura?

Chi gli dirà: “Tranquillo, ci siamo noi a proteggerti”, quando non ci saremo più? Noi, che non siamo riusciti a proteggerli in vita. Dal vuoto interiore. Dalla noia. Dall’avere troppo o troppo poco. Dal non trovare un motivo per vivere. Dal sapere con certezza – questo si! – che non c’è speranza di un futuro migliore, perché nessuno ne sta parlando, di come avere un futuro migliore.

Chi allontanerà i nostri figli dalla droga, ultima spiaggia per anime disperate che non hanno coraggio sufficiente per vivere in una civiltà troppo contraddittoria e contraria ad ogni forma di equità e dignità umana.

Come e chi spiegherà loro, quale sia il vero concetto di sicurezza, quando questo concetto, noi stessi, l’abbiamo totalmente ribaltato, confondendolo con l’intolleranza razziale, mentre ogni attimo qualcuno muore senza un vero motivo.

Noi adulti di oggi, siamo già le vittime di carnefici del nostro passato. La generazione precedente che ha sognato troppo. Soffermandosi su idealismi che hanno prodotto solo l’accesso alla mancanza di sogni di oggi.

Noi stessi, reduci di errori su errori, in tempi in cui – comunque – esisteva almeno la voglia di partecipare alla vita comune.

Oggi, nemmeno questo. Nessuna possibilità. In ogni senso. Crediamo forse di riempire i buchi con un’escalation inconsulta di acquisti, aspettative irraggiungibili o raggiungibili, a costo del sangue.

Non abbiamo nulla da lasciare ai nostri figli. Se non l’immagine consunta di una generazione – la nostra – che ha voluto guardare altrove, mentre altri palesemente agivano per portarci alla realtà di oggi e di domani, che sarà sicuramente peggiore.

A meno che, i nostri figli non saranno in grado – soli e senza alcuna formazione – di bloccare un processo che parla di qualunquismo, assenteismo sociale, caparbia volontà di non partecipare attivamente alle questioni comuni.

Ed allora, saremo figli dei nostri figli. Che avranno salvato la nostra memoria. Ed il loro futuro.


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