Congo. La guerra si combatte per il coltan e cassiterite materiale indispensabile per P.C. e cellulari

par Dino Brancia
venerdì 21 agosto 2009

Lo sfruttamento indiscriminato dei Paesi del “terzo Mondo” per l’estrazione di “materie prime indispensabili per il funzionamenti di computer”, da parte delle multinazionali, è, ancora una volta, denunciato dal Rapporto dell’Ong Global Witness.

Quando si tratta dei paesi cosiddetti “poveri”, i riflettori dei media sono sempre spenti: al viaggio del Segretario di Stato Americano in Congo, infatti, sono state dedicate poche righe, e non su tutti i giornali.

Eppure l’occidente, e le multinazionali occidentali, hanno una pesantissima responsabilità rispetto alle guerre e alle persecuzioni che ogni giorno si consumano nei paesi “poveri”. Le multinazionali, infatti, continuano a sfruttare le risorse naturali di questi paesi, senza pagarne il giusto prezzo, tanto che più che di scambio commerciale si dovrebbe parlare di furto, e per far ciò alimentano guerre civili. Le instabilità politiche, infatti, favoriscono i regimi militari e le dittature, che spesso reggono i paesi “poveri”, e questo consente uno sfruttamento indiscriminato e a costo zero delle risorse naturali di cui i paesi “poveri” sono ricchissimi e di cui l’occidente ha estremo bisogno.

Dopo lo sfruttamento delle miniere diamantifere, alimentando guerre e persecuzioni, si aggiungono nuovi minerali come il coltan e cassiterite, materie prime importantissime che, dopo determinati trattamenti, diventano componenti indispensabili per i nostri Personal Computer e cellulari.


La Repubblica Democratica del Congo ha il sottosuolo ricco di queste materie prime, ed è il motivo per cui in Congo da anni si combatte una durissima guerra civile che ha più volte coinvolto i paesi confinanti, nell’indifferenza totale della politica internazionale e dei media in modo particolare.
In un rapporto dell’organizzazione non governativa www.globalwitness.org pubblicato nei giorni scorsi si pone l’attenzione sulle multinazionali e il coinvolgimento di circa 240 imprese, che avrebbero intrattenuto rapporti commerciali con gruppi della guerriglia e parte dell’esercito Congolese dedite a traffici illeciti, acquistando materie prime provenienti dalle miniere controllate dai combattenti per finanziare acquisti di armi e continuare ad aggravare la violenza nel paese. In alcune miniere, dove i ribelli sono più violenti, denuncia il rapporto, si obbligano centinaia di persone, con le armi puntate alla tempia, a lavorare ridotti in schiavitù.

Le società dichiarano di fare affari solo con esportatori muniti di licenza, ma conoscono benissimo i retroscena dei loro intermediari.
I paesi confinanti come il Burundi e il Ruanda chiudono gli occhi a questo commercio e non bloccano il commercio alle frontiere.

La diplomazia non ritiene di dover dare risposte alla questione del commercio di queste materie prime. Questa situazione ha portato al prolungamento di un conflitto che ha già provocato milioni di morti e milioni di profughi.

Le accuse lanciate dall’organizzazione è frutto di anni di lavoro dei ricercatori che hanno intervistato politici, intermediari, guardie di frontiera, combattenti, operai e soldati in Congo e nei paesi limitrofi.

I minatori intervistati, raccontano le loro storie agghiaccianti fatte di soprusi violenze, costretti a lavorare sempre sotto la minaccia delle armi.

Queste testimonianze raccolte da Global Witness, li porta a sperare che la comunità internazionale prenda provvedimenti ferrei con regole come quelle che disciplinano il commercio dei diamanti.

Credits Photo: http://www.pulitzercenter.org

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