Cina-Italia: giovani a confronto
par Leonello Bosco
sabato 12 dicembre 2009
La lettura in chiave economica del diverso sviluppo tra Italia (vecchio mondo in generale) e Cina non è sufficiente a comprendere il futuro sviluppo cinese. Propongo una lettura in chiave sociologica.
La chiave di interpretazione per leggere il differenziale di sviluppo tra vecchio mondo (Italia, Europa, Stati Uniti) e Cina è quasi sempre quella economica. Il Pil cinese del 2009 a +8, quello italiano a -5, tassi di occupazione, consumi interni, ecc.
Questa lente di interpretazione è poco idonea ad interpretare il futuro cinese, e soprattutto il futuro dei cinesi, in particolare dei giovani. Se da un lato è vero che le politiche di liberalizzazione di Deng Xiao Ping, iniziate trent’anni fa con il famoso discorso dell’ "arricchirsi non è un peccato", che ha ribaltato decenni di assopimento dell’iniziativa personale dei cinesi, è pur vero che questa rivoluzione si è innescata su un bisogno latente, ma molto forte, di iniziativa economica dei cinesi, su un loro fortissimo individualismo (il collettivismo cinese è un’idea occidentale, retaggio del maoismo, ma che male si adatta allo spirito cinese, individualista all’interno della massa).
La capacità di comprendere il futuro cinese si ottiene osservando i comportamenti dei giovani, ed in particolare il differenziale tra i comportamenti di questi e quelli dei giovani italiani (che assumiamo ad esempio del vecchio mondo).
La sintesi che propongo è necessariamente tagliata con l’accetta, e non certo generalizzabile in assoluto, ma rispecchia una realtà media che chiunque può osservare avendo dimestichezza con entrambi i mondi.
I giovani italiani comprano la macchina grande con i soldi di papà. I giovani cinesi si indebitano per comprare una piccola macchina, sapendo di poterla ripagare a rate, contando sulla crescita del loro reddito.
I giovani italiani frequentano le boutique di moda per sentirsi adeguati. Anche i giovani cinesi, che però scelgono con oculatezza i capi da comprare, ed un acquisto di un marchio italiano è un investimento prezioso. Per i giovani italiani è uno sfizio. I giovani cinesi danno molto valore al danaro. Ne hanno poco. Uno stipendio di un impiegato medio è di 400 euro, i prezzi dei prodotti italiani sono più alti che in Italia (anche se fatti in Cina).
I giovani cinesi hanno voglia di una famiglia. Per loro costituisce un grande obiettivo, vogliono dei figli, e vogliono dare loro un futuro. I giovani italiani hanno paura della famiglia, dell’impegno. E hanno paura di avere figli, hanno paura di non poter dare loro un futuro.
I giovani cinesi spendono molto, sapendo che il loro reddito è certamente destinato ad aumentare. I giovani italiani spendono molto, senza rendersi conto che il loro reddito è destinato a diminuire. Lo stipendio di 1.000 euro, non sempre alla portata di molti neo-laureati italiani, è alla portata di milioni di giovani cinesi. Qualche anno fa 1.000 euro erano un sogno per questi ragazzi.
I giovani cinesi tengono moltissimo alla formazione scolastica, le famiglie si indebitano per farli studiare nelle migliori università cinesi (una volta andavano in America, ora c’è la fila di americani che vogliono laurearsi al Politecnico di Shanghai). Alcuni giovani italiani hanno capito che la laurea non gli servirà a molto, e se ne fregano, cercando di costruirsi una solida base di competenze professionali sul campo. Altri credono ancora nel valore della formazione scolastica, senza rendersi conto che la qualità della loro formazione sta scadendo miseramente, e lo capiscono non appena varcano la soglia di un ufficio o di una fabbrica, ma basterebbe una rapida lettura delle classifiche mondiali delle Università per capire quanto poco valga la laurea italiana.
I giovani cinesi hanno i sogni, e la fiducia nel futuro che aveva mio padre 50 anni fa quando cominciò a costruirsi da solo la casa, scavando a mano l’interrato, e fabbricando da solo i blocchi di cemento per le pareti, senza una lira in tasca, sapendo che se la sarebbe cavata. E così fu.
Mio padre aveva speranza, e ce l’hanno anche i giovani cinesi. La nostra generazione ha fatto perdere la speranza ai giovani italiani.
Ha fatto molto bene Celli, Direttore Generale della LUISS di Milano a scrivere una lettera aperta a suo figlio, che si sta per laureare, e pubblicata qualche giorno fa su La Repubblica, dicendogli: "Figlio mio, vai all’estero", e prendendosi la responsabilità generazionale del fallimento italiano. Aggiungerei: "Figlio mio, il futuro è nella giovane Asia".
Speranza, visione, obiettivi, futuro. Parole chiave dei giovani cinesi, parole oramai senza significato per i giovani italiani.