Castelli ad Annozero. La violenza del potere

par Vincenzo Montelisciani
sabato 9 gennaio 2010

Durante l’ultima puntata di Annozero Castelli canzona una Maestra siciliana.

Ieri sera, durante l’ultima puntata di Anno Zero si è dimostrata, davanti a milioni di telespettatori, quella che non lesino a definire la più maleducata e arrogante delle violenze. Reo del crimine, il sempreverde Castelli. Andiamo ai fatti. Una maestra elementare della regione Sicilia, con un moto d’animo più vicino alla disperazione che alla rabbia, si sgolava, quasi implorava il governo (in quell’assise rappresentato dal sempreverde suddetto): denunciava la tragica situazione di migliaia di giovani Siciliani condannati ad una vita di precarietà, senza futuro dopo anni di studio, prede facili delle organizzazioni criminali; denunciava il fatto che la Sicilia è un deserto di lacrime e che non c’è speranza in una regione in mano a cosa nostra e ai potentati politici collusi con essa; soffriva in diretta perché, amando il suo lavoro di insegnante, si trova costretta a spiegare la lezione ad una classe di 32 alunni di 7-8 anni, praticamente un pollaio. E mentre invocava l’attenzione dei politici, lei si spiegava, quasi si giustificava (quasi che quello che stesse affermando potesse costituire una colpa), sosteneva di dire queste cose non per un vezzo narcisista, non per un cavillo intellettuale, non perché facinorosa comunista, non perché ce l’aveva con la destra o con il governo in quanto tale.
 
La maestra si è permessa di dire, di fronte ai sempreverdi castelli, che la sua storia, che la sua vita, erano una storia e una vita di disagi, erano una storia e una vita di rinunce e sacrifici. Erano una storia e una vita vincolate al sostegno generoso dei suoceri. Per questo denunciava. Un raglio umano. Un indefinito gracchiare spezzava la voce della maestra, già rotta dalla gioia di quello sfogo e dalla sofferenza della sua condizione. “Ma su con la vita lei è giovane e carina!” e poi ancora “Bisogna fare i sacrifici! Ma lo sa che io all’età sua mi alzavo alle cinque di mattina e rientravo a casa alle 10 la sera? Facevo 400 km al giorno io per andare a lavorare!” “La mia classe era di 44 alunni!”. La maestra ha provato a ribattere, ma poi... le parole sovrapposte, gli applausi, i fischi, le urla, un Santoro incapace di gestire la situazione. Si è sentita solo a un certo punto la giovane e combattiva Maestra che con ironica amarezza ribatteva: "si vede che è stato in una classe di 44 persone!".
 
Questa in breve è la storia. E questa è l’umiltà della nostra classe dirigente. Questo è il modo in cui si mettono al servizio dei cittadini. Mentre sentivo queste risposte (?), mi montava un impeto di rabbia. Quanto avrei voluto essere lì a dire al signor Verdissimo che dimenticava che quando era giovane lui non c’era nemmeno lo statuto dei lavoratori, non c’era la legge sul divorzio e non c’era il diritto di famiglia tanto per cominciare. Che secondo il suo ragionamento, se oggi ci togliessero questi diritti non ci sarebbe problema! Perché, hai visto tu! Hai tempi suoi la sinistra ancora non aveva vinto queste battaglie. E quindi, se è sopravvissuto lei signor Castello di sabbia a cosa serviranno mai queste sciocchezze? A ricordargli che oggi, a differenza di "quando era giovane lui"c’e la globalizzazione. Che "quando era giovane lui" non c’era la crisi. Che l’Italia viveva una crescita economica senza precedenti. Che se avevi una laurea eri a cavallo, si lavorava, ci si elevava nella scala sociale. Che non esistevano i contratti a progetto. A dirgli che oggi non sono sufficienti nemmeno 3 lauree per trovare un lavoro a tempo indeterminato e progettare il futuro, per poter solo provare ad immaginare la tua vita.
 
Ma poi ho pensato che Castelli non l’aveva dimenticato tutto questo, che lui lo sapeva e lo sa bene. Castelli mica è uno stupido. E’ l’arroganza, la sfrontatezza, la boria di chi pensa “Io so io, e tu non sei un cazzo!” perché a me non puoi farmi nulla. Io ho il potere, io ho i voti, io comando, tu ubbidisci. Come i padroni del film “Novecento” che la sera chiudevano a chiave i braccianti dentro le baracche per poi riaprire la mattina quando era ora di lavorare. I braccianti avevano bisogno di lavorare per sopravvivere, sopportavano abusi e soprusi, non conoscevano nient’altro che l’aratro. I padroni lo potevano fare, se lo potevano permettere, perché chi mai avrebbe fatto loro nulla? Chi poteva nuocere loro? Che cosa potevano quella massa di pezzenti di fronte alla loro ricchezza, alla loro potenza, ai loro agganci politici? E quindi i padroni si potevano anche divertire, giocare, ridere dei loro braccianti, dei loro servi. Irriderli anche. E adesso i braccianti di oggi sono i giovani precari, che nulla possono (poiché non hanno una legislazione di tutela) e tutto si vedono costretti a sopportare (poiché hanno bisogno anche di quei 600 euro mese).
 
E Castelli è il padrone di oggi. Non risponde nel merito, non si sente chiamato in causa, non ci prova nemmeno a farsi carico del problema a capire la situazione. Lui prende in giro, si fa beffe dell’impotente Maestra. E questa è violenza. E’ la violenza subita dal debole e perpetrata dal più forte. Ieri sera si è perso il senso dell’uguaglianza. Sì, anche in un confronto dialettico può perdersi l’uguaglianza. Ieri sera non c’erano due persone uguali a parlare. C’era una Maestra siciliana che dimostrava le sua ragioni, con argomentazioni, con tessuti di vita quotidiana; e poi c’era un politico, un padrone, che la canzonava. Castelli canzonava perché lui è più forte del popolo. Perché ha di fronte un popolo che non ha coscienza di sé. Perché se il popolo fosse stato cosciente Castelli non avrebbe potuto canzonare, ma rispondere; Non sarebbe stato il padrone, ma un servo.

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