Bianzino. Tutto normale in Italia

par Francesco
lunedì 21 dicembre 2009

La polizia era entrata in casa sua in cerca di prove di traffico di droga. Avevano trovato soltanto una famiglia composta da un uomo, una donna, il figlio e l’anziana madre di lei, 30 euro in contanti e qualche pianta di marijuana in giardino. In un mondo dove ci sono assassini e dittatori che non pagano mai per i loro crimini e commettono le più mostruose atrocità con lo scudo del potere, coltivare una pianta è un reato gravissimo.

Così l’uomo e la donna sono stati portati in carcere, interrogati e tenuti in isolamento come due trafficanti internazionali. Poi 36 ore dopo sono andati dalla donna e le hanno detto che il suo compagno era morto. La prima autopsia aveva stabilito che l’uomo non aveva malattie cardiache, ma aveva emorragie interne, lesioni gravi al fegato e al cervello, senza segni di traumi esterni. I medici legali avevano considerato le lesioni compatibili con l’ipotesi di un omicidio tramite pestaggio. Altri detenuti testimoniano di aver sentito l’uomo lamentarsi per tutta la notte.
 
L’ipotesi è che sia stato picchiato ferocemente, ma con attenzione, in modo da non lasciare evidenti segni esterni. Poi l’uomo sarebbe stato lasciato seminudo nella cella tutta la notte, senza alcun soccorso, fino a quando non è morto. Perché? Forse non c’è nemmeno un motivo. Forse le guardie si annoiavano e volevano passare il tempo. Forse perché era un po’ hippy, e quindi sicuramente comunista, e quindi meritevole di morte. Anche se in realtà era solo un falegname, con una famiglia normale e una vita normale, che ogni tanto fumava un po’ di marijuana. Una pianta che viene demonizzata e chiamata droga, ma che in realtà fa molto meno male ed è molto meno pericolosa dell’alcool.

La polizia e le guardie carcerarie ovviamente hanno negato qualsiasi abuso. Un mese dopo viene fatta una seconda autopsia, e questa volta i medici concludono che l’uomo è morto per cause naturali, aneurisma cerebrale, e le lesioni interne sarebbero state causate da "manovre di rianimazione".

Non è l’Iran di Ahmadinejad, non è una delle tante dittature del mondo, è l’Italia del 2007, quando al governo c’era il centro sinistra. Aldo Bianzino è morto nel carcere di Perugia tra il 13 e il 14 ottobre del 2007. La sua compagna, Roberta Raciti, dopo aver lottato per far conoscere la storia di Aldo, è morta quest’estate per una malattia al fegato. La sua anziana madre era morta prima di lei. Rudra, il figlio di Aldo e Roberta, che oggi ha 16 anni, è rimasto solo, e ora vive con uno zio. Il blog di Beppe Grillo quest’estate, dopo la morte di sua madre, aveva lanciato una sottoscrizione per aiutarlo a sostenere le spese legali per sapere la verità sulla morte di suo padre.

Ma venerdì , due anni dopo, il giudice, su richiesta del pm, ha disposto l’archiviazione del procedimento. Per la magistratura non ci sono dubbi, si tratta di morte naturale. Forse non completamente naturale, perché resta il rinvio a giudizio di un agente penitenziario per omissione di soccorso. Le domande senza risposta sono tante. Ad esempio, se un agente penitenziario è accusato di omissione di soccorso come è possibile che le lesioni sul corpo di Aldo siano state provocate da manovre di rianimazione?

Oppure, come è possibile che una persona accusata di aver coltivato alcune piante muoia in carcere senza motivo? Ma lo sappiamo bene che sono soltanto domande retoriche. La storia di Aldo è soltanto una su tante.

"Mi aspettavo finisse così, non sono per nulla sorpreso: sapevo che lo Stato non avrebbe dato a se stesso la colpa di quanto accaduto a mio padre. In questo momento mi sento scoraggiato, non so in che modo poter portare avanti questa battaglia per la ricerca della verità", ha detto Rudra Bianzino. Ha solo 16 anni ma già ha capito, per esperienza personale, che in Italia non c’è né verità né giustizia. E’ normale. Non c’è nessun colpevole per le stragi e le bombe, per i disastri ferroviari, figuriamoci per la morte dei carcerati e degli arrestati. E grazie a una legge come la Fini-Giovanardi, basta davvero poco per finire in carcere per droga. E in prigione qualsiasi cosa può accadere.

Perché in Italia è normale morire in carcere. In Italia se indossi una divisa puoi fare qualsiasi cosa impunemente, è normale, perché nessuno punisce gli abusi. A nessuno frega niente. La politica se ne frega, è normale. La tv non ne parla, pochi giornali ne scrivono, è normale. La gente se ne frega, è normale. Nessuno si ribella, nemmeno per difendere i nostri più basilari diritti civili perché in fondo gli italiani pensano che i diritti umani siano non qualcosa che ci spetta ma qualcosa che dipende dal buon cuore di chi ha il bastone dalla parte del manico. Domani potrebbe succedere a chiunque di noi, ma è normale.

Tutto normale in Italia. 

Leggi l'articolo completo e i commenti