Amore e odio sono generati dal carisma del potere politico

par Paolo Doronzo
mercoledì 13 gennaio 2010

L’indiscutibile statura intellettuale del filosofo Umberto Galimberti ha recentemente, e aggiungo molto lucidamente, escluso che le motivazioni dell’atto, sconsiderato oltre che criminale, di Massimo Tartaglia, di aver ferito il Presidente del Consiglio a Milano, siano attribuibili a spinte di “mandanti morali”, colpevoli di aver provocato un clima di violenza contro le istituzioni, all’interno della nostra bella democrazia. Il professor Galimberti, in un’intervista per i microfoni della Rai, ha tenuto a precisare che “non c’è una correlazione causale fra le campagne di odio e le azioni”, puntualizzando che in generale un potere detenuto con grande carisma, è anche il caso di Berlusconi, genera allo stesso tempo amore e odio.

Riflettendo su queste parole ho voluto ricordare alcuni atti violenti nei confronti di uomini politici italiani che avevano comunque ruoli istituzionali molto importanti. Si noterà che, se non in tutti perlomeno in molti casi, si tratta di azioni molto più gravi di quello avvenuto a Milano.

Iniziamo proprio con alcuni esempi di attentati a chi il carisma l’ha utilizzato certamente, unendolo ad una sua quasi maniacale personalizzazione, Benito Mussolini. Vittima di diversi attentati durante il suo regime, il primo risale al novembre 1925, sventato tempestivamente dall’OVRA, grazie al tradimento di un compagno dell’orditore, il deputato socialista Tito Zaniboni, che avrebbe dovuto sparare con un fucile di precisione da una finestra dell’albergo Dragoni, fronteggiante il balcone di palazzo Chigi da cui si sarebbe affacciato il duce.

Il 7 aprile 1926 Mussolini uscendo dal palazzo del Campidoglio fu ferito di striscio al naso da un colpo di pistola sparato da una signora, squilibrata come si disse, irlandese Violet Gibson. Nei giorni seguenti, Mussolini si presentò al pubblico con un vistoso cerotto sul naso, a voler sottolineare l’accaduto, facendo leva sulla “devozione del martirio” tipica della cultura italiana a cui ha fatto riferimento Galimberti.

L’11 settembre 1926 l’anarchico Gino Lucetti lancia una bomba contro l’automobile su cui viaggiava Mussolini. Fortunatamente per il dittatore fascista l’ordigno rimbalza contro lo sportello e finisce in strada, ferendo dei passanti.

Di attentati falliti al capo del Governo ce ne furono altri, come nell’ottobre del ’26 a Bologna o ancora nei primi anni trenta. Ciò che è interessante notare e che sempre in questi casi si parlò di complotti organizzati, ma di questi solo alcuni avevano in realtà dei mandanti.

Veniamo agli anni della Repubblica. Il 14 luglio 1948 si realizza l’attentato a Palmiro Togliatti. Per mano del giovane Antonio Pallante, attratto da idee liberali, vengono sparati quattro colpi, di cui tre colpiranno il Segretario del PCI. L’atto si realizza all’uscita di Montecitorio del leader comunista, mentre era in compagnia della sua compagna Nilde Iotti. Togliatti venne condotto urgentemente in ospedale ed operato. Nelle ore in cui non si conosceva l’esito di quella terribile vicenda, si verificano gravi incidenti a Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore (SI) e morti a Napoli, Genova, Livorno e Taranto nel corso di violentissime manifestazioni di protesta. Gli operai della FIAT di Torino sequestrarono nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta. Gran parte dei telefoni pubblici non funzionavano e si bloccò la circolazione ferroviaria. Il ministro degli interni, Mario Scelba, vieta ogni forma di manifestazione, e il Paese sembra sull’orlo della guerra civile. Ma, per fortuna, l’operazione ha buon esito e Togliatti stesso parlerà per fermare quell’onda di violenza in Italia. Bisogna far notare come un evento simile abbia suscitato reazioni, forse inaspettate, e che comunque hanno pesato il reale potere di quel personaggio politico in quel momento storico.

Ci sarebbe da ricordare anche il sequestro Moro, allora segretario della DC, del 1978, ma non è possibile a mio parere ascriverlo alla categoria degli attentati visto il suo tragico epilogo. Di questo fatto si vuole solo trarre l’ennesima dimostrazione della tesi che non è il clima di “odio” il mandante di questi atti, bensì la forza carismatica delle vittime.


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