Yara ultime notizie: la nostra miserabile curiosità

par Daniel di Schuler
martedì 1 marzo 2011


Non credo sia discutibile il fatto che casi di cronaca nera come lâomicidio di Yara ragazzina di Brembate interessino una fetta del pubblico; certo resta da capire perché accada: perché delle persone sane di mente possano essere così affascinate da simili eventi e perché, di questi eventi, vogliano conoscere tutti i minimi, spesso ripugnanti, dettagli.

Non credo affatto che vi sia una naturale fascinazione dell’uomo per la morte e la violenza, mi pare vero il contrario, e penso quindi che questo macabro gusto del pubblico sia, almeno in parte, acquisito.

Il caso diventa tale, a mio parere, anche perché occupa le prime pagine dei giornali ed è oggetto di tanto interesse da parte delle televisioni: con la pubblicità, in fondo, si riescono a vendere anche i prodotti più inutili e si convincono gli elettori a votare chi, altrimenti, non voterebbero mai.

Resta da capire che cosa renda certi casi più attraenti di altri per il palato dei lettori e dei telespettatori.

Ho notato come siano le storie di violenza famigliare, conseguenza dell’umana follia, quelle che sembrano attrarre di più; gli omicidi perpetrati da folli o da maniaci, specie se la vittima è un minore, hanno sicuramente un’attrattiva infinitamente superiore a quelli che avvengono come conseguenza di altri crimini.

Il cliente di una banca ucciso durante una rapina, insomma, non interessa come non interessano, pare, le morti sul lavoro che pure avvengono, a volte , nei modi più crudeli e, provo un lieve disgusto con me stesso nell’usare quest’aggettivo, spettacolari.

Eppure sono queste morti banali e spesso evitabili quelle che “oggettivamente” dovrebbero interessarci; quelle di cui dovremmo, proprio per prevenirle, voler conoscere ogni dettaglio: tutti possiamo essere vittime di una rapina e tutti possiamo restare folgorati da un’apparecchiatura elettrica o morire, magari mentre cambiamo una lampadina, cadendo da una sedia.

Pare, invece, che per attrarci una morte debba essere il più possibile lontano dalla nostra esperienza; come se, lungi dal terrorizzarci, certi crimini ci tranquillizzassero; ci consolassero. Ci facessero sentire meglio.

Basta ripensare all’omicidio di Cogne per capire come funzioni questo meccanismo.

Nessun rischio per noi adulti di essere vittime di un simile reato, ovviamente, e nessun rischio per i nostri figli; non siamo certo dei pazzi e ai nostri figli non riusciamo neppure a dare uno scappellotto: una cosa del genere, sospiriamo di sollievo mentre ci addoloriamo per la sorte della vittima, a noi e ai nostri cari non può succedere.

Anche l’omicida, che sia la madre impazzita o il pazzo maniaco, ci rassicura, anzi, ci fa sentire decisamente meglio con noi stessi.

Qualunque siano i nostri difetti, qualunque ingiustizia abbiamo commesso, noi non siamo certo così; non abbiamo mai ucciso nessuno e non lo faremmo mai. Siamo, rispetto a quegli assassini, infinitamente migliori.

Possiamo aver frodato, mentito, essere venuti meno ai nostri obblighi, ma così non siamo; c’è chi è peggio di noi a questo mondo questo pensiero non solo ci consola, ma, per così dire, ci assolve dai nostri peccatucci.

Non so se si possa definirla una prova di questo, ma certo che pare strano, almeno a prima vista, anche il successo di certe trasmissioni televisive dove, a chi risponde a domande alla portata di uno studente delle scuole elementari, vengono dati premi in denaro.

E’ come se quegli spettacoli facessero scattare, nelle menti degli spettatori, un automatismo speculare a quello messo in moto da certi fatti di cronaca nera. Potrei essere io, ci diciamo, al posto di quello e vincere quel denaro, se solo me ne dessero l’occasione; io ne so quanto lui, forse anche di più.

Invischiati in vite banali, vogliamo sfuggirvi.

Un tempo avremmo preso tra le mani un romanzo e ci saremmo immedesimati nel protagonista; oggi pare che l’aperta finzione delle opere letterarie non ci basti più: nella più falsa delle epoche abbiamo bisogno di verità e di realtà. Di reality.

Soprattutto abbiamo bisogno che qualcuno ci dica, in un modo o nell’altro, che non siamo gli ultimi.

Che, in fondo, qualcosa pure noi valiamo.


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