Voci dissonanti: il Consiglio dei Diritti Umani

par Fabio Della Pergola
venerdì 1 agosto 2014

Il problema dell’ONU è che si chiama Organizzazione delle “Nazioni” Unite e non OPU, Organizzazione dei Popoli Uniti.

E’ così perché non è un’organizzazione che si fonda sulla elezione a suffragio universale (e garantito) per ogni singolo essere umano del pianeta terra, ma solo sulla rappresentanza nominale dei paesi che essa stessa riconosce.

Di conseguenza esiste una Assemblea Generale dove il voto del rappresentante di un paese al di sopra di qualsiasi possibile dubbio circa la propria democraticità ha lo stesso identico valore di obbrobriose dittature, di arroganti teocrazie, di impresentabili monarchie.

Così a un rappresentante islandese (uno a caso) - espresso da un governo che dà le massime garanzie di voto a ognuno dei suoi cittadini a prescindere da sesso, censo, cultura, credo religioso eccetera - corrisponde, con uguale validità, il rappresentante di un paese come il Brunei, una monarchia assoluta che aderisce all’ONU dal 1984, in cui, semplicemente, non esistono elezioni né partiti; o come il Libano dove il suffragio è garantito alle donne solo se dimostrano di avere una qualche istruzione di base (e dove ai rifugiati palestinesi che vivono nel paese da decenni non sono affatto garantiti né diritti civili pari ai libanesi autoctoni, né libero accesso alle professioni né il diritto di acquistare una casa). O, ancora, l’Arabia Saudita che, nonostante gli impegni presi, ancora non ha concesso il voto alle donne (né, se non ricordo male, il diritto a guidare un’auto).

Una delle conseguenze di questa curiosa combriccola, un po’ sgangherata, di simpaticoni che fanno finta di essere il Parlamento dell’umanità, è che in cima c’è un vertice un po’ obsoleto, chiamato Consiglio di Sicurezza, dove convivono paesi democratici (che non vuol dire “buoni”, ma solo che i rispettivi cittadini si esprimono - bene o male che sia - con il loro libero voto) e paesi non democratici come era l’Unione Sovietica (quando ancora si chiamava così, ma anche sulla democraticità della Russia di Putin qualche ombra mi pare che persista) e la Cina. E dove le questioni più delicate non possono mai essere affrontate sul serio perché esiste quella anomalia antidemocratica chiamata “diritto di veto” dove un paese sempre meno rilevante nel panorama mondiale come la Francia - dalla consistenza numerica pari a un ottavo o poco più della popolazione della sola Unione Europea - può bloccare qualsiasi decisione non gradita.

Una delle espressioni dell’ONU è anche il Consiglio per i Diritti Umani. Che prevede la presenza, a rotazione triennale, di 47 paesi membri. Leggo su Wikipedia: “Il mandato del consiglio è quello di supervisionare il rispetto e le violazioni dei diritti umani in tutti gli stati aderenti alle Nazioni Unite (anche quelli che hanno votato contro la creazione del Consiglio), e informare l'opinione pubblica mondiale dello stato dei diritti umani nel mondo”.

I paesi membri del Consiglio provengono in modo proporzionale dai vari continenti: attualmente la composizione vede 13 seggi all'Africa e all'Asia, 6 all'Europa dell'Est, 8 seggi all'America Latina e Centrale, 7 tra Europa occidentale, America del Nord e Oceania.

Nonostante la funzionalità del Consiglio sia stata ampiamente criticata già in passato per una neutralità a dir poco ondivaga delle sue delibere, in questi giorni è stato chiamato a votare nuovamente sulla crisi israelo-palestinese per sollecitare un'indagine sulla possibilità che lo stato ebraico e, questa volta, anche Hamas, abbiano violato o meno i diritti umani.

La risposta non può che essere una sola: ovvio che li hanno violati, perché entrambi sparano, con maggiore o minore capacità di colpire, su civili inermi. E in questo sono ravvisabili crimini di guerra indiscutibili. Che saranno negati tanto dai primi che dai secondi.

E se Israele può maldestramente difendersi dalle accuse cercando di dimostrare che “avverte” la popolazione di Gaza prima di colpire, con volantini, messaggi telefonici e con lo spauracchio del roof-knocking, il numero impressionante di morti palestinesi e la vastità delle distruzioni anche di impianti civili come la centrale elettrica, sono lì a dimostrare l’inefficacia, quantomeno parziale, di tali avvertimenti.

Hamas, dal canto suo, non può nemmeno giocarsi la carta dell’avvertimento, dato che sparacchia razzi e colpi di mortaio sulle abitazioni civili senza alcuna remora; e più di una volta avrebbe colpito per errore anche civili palestinesi cercando poi di attribuirne la responsabilità ai bombardamenti israeliani. Usa poi, e l'UNRWA l'ha dichiarato più di una volta, sia gli ospedali che le scuole dell'ONU per ammassare arsenali e basi di lancio dei suoi missili con l'ovvio risultato di causare molti più morti fra i civili della sua stessa popolazione. Né il limitato numero di vittime israeliane, una settantina negli ultimi dieci anni, se non ricordo male, vale a dimostrare alcunché. L’intenzionalità di fare stragi è intuibile.

Ma la cosa che suona sorprendente è che a giudicare gli spietati protagonisti della crisi attuale, siano chiamati paesi, membri del Consiglio dei Diritti Umani di oggi, che sulla violazione perpetuata e continuata dei diritti umani fondano la loro stessa esistenza.

L’Algeria, dove vige un governo nato da un colpo di stato di militari, che sono stati poi protagonisti di una guerra civile con le formazioni islamiste - vincitrici delle elezioni - che ha causato oltre 100mila morti; la Cina, che dietro la patina modernista e modernissima del colosso del business mondiale, non ha certo dimenticato come si schiaccia il dissenso, a partire dalla repressione durissima di Piazza Tien An Men, fino a quella delle minoranze islamiche del paese. O all’eterno cancro dell’occupazione sanguinosa del Tibet. Cuba, dalle carceri piene di dissidenti. L’Etiopia, dove quasi tutti i leader dell'opposizione sono incarcerati o dispersi. L’India, paese democraticissimo dove però vige ancora la divisione in caste. L’Indonesia, che solo un paio di giorni fa si è posta il problema dei diritti umani. Il Kazakhstan, che abbiamo imparato a conoscere con il caso Shalabayeva; il Marocco, noto per il lungo “muro”, mai criticato da nessuno se non da quei poveretti che ne subiscono le conseguenze dirette, costruito per tenere “fuori” il popolo Sharawi, legittimo abitante delle terre di cui i marocchini si sono appropriati in violazione di qualsiasi convenzione internazionale. Il Pakistan dove gli omosessuali rischiano l’ergastolo o l’Arabia Saudita (di cui abbiamo già detto in merito ai non-diritti femminili) e gli Emirati Arabi Uniti, dove le elezioni sono una misteriosa cabala, ma le donne - udite udite - possono guidare; i gay invece rischiano la condanna a morte. Il Vietnam, paese a partito unico, e altri ancora di cui non so, ma sospetto fortemente.

In sintesi “sono 3 miliardi le persone che vivono stati considerati liberi, ovvero il 46% dell'intera popolazione mondiale. Restano i 47 paesi "non liberi". E con loro il 54% della popolazione mondiale. Che è ampiamente (non) rappresentata nel Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU così come (non) è rappresentata realmente nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che però finge di non sapere chi rapprersenta davvero.

Sono le bizzarrie di una organizzazione che non ha potuto fare altro che sostituire un “paese” ad ogni singolo abitante di quel paese. Sorvolando bellamente sul fatto che quel “paese” spesso rappresenta solo un gruppo, un partito o addirittura un singolo individuo. Così milioni di svedesi (una nazionalità a caso) valgono tanto quanto il sultano del Qatar, nelle votazioni dell’ONU.

Non si poteva fare altro - e questo è comprensibile - ma almeno che ci risparmino questa pagliacciata del “Consiglio dei diritti umani”, in cui ha diritto di voto gente che i diritti umani non sa nemmeno cosa siano.

 


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