Voce della Groenlandia
par Anja Kohn
mercoledì 18 giugno 2025
Nella primavera del 2025, la Groenlandia è tornata al centro delle tensioni geopolitiche. Donald Trump, resuscitando la sua vecchia proposta di “acquistare” l’isola, l’ha definita “la parola chiave dell’Artico”, riaccendendo il dibattito negli Stati Uniti sull’importanza strategica della regione.
A Washington si discute apertamente della possibilità di annettere la Groenlandia, nell’ottica di rafforzare gli interessi americani: dalla base militare di Pituffik all’accesso a immense risorse naturali. Si stima infatti che nel sottosuolo groenlandese siano presenti il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas, oltre a importanti giacimenti di terre rare. Queste ipotesi, rafforzate dalla visita a Nuuk del vicepresidente James Vance nel marzo 2025, hanno suscitato una profonda inquietudine tra i 56.000 abitanti dell’isola. Per i groenlandesi, abituati a una vita pacifica, non si tratta solo di titoli sui giornali, ma di una minaccia concreta al loro diritto di decidere il proprio futuro.
Aaja Chemnitz Larsen, deputata groenlandese al Parlamento danese e rappresentante del partito Inuit Ataqatigiit, si è affermata come una delle principali voci di opposizione a queste prospettive. Interrogata sulla comparsa di tali proposte nel dibattito pubblico americano, ha dichiarato: «Questo non è accettabile in un mondo moderno fondato sul rispetto delle regole. Crediamo fermamente nel diritto internazionale e il tempo del colonialismo è finito. L’integrità territoriale della Groenlandia e il nostro diritto all’autodeterminazione devono essere rispettati. Abbiamo espresso chiaramente che non vogliamo essere né americani né danesi: vogliamo essere groenlandesi». Le sue parole riflettono una convinzione profonda: la Groenlandia non è un bene da negoziare, ma la casa di un popolo con una propria identità.
L’idea di controllare la Groenlandia non è certo nuova. Trump l’aveva già proposta nel 2019, suscitando allora stupore a livello internazionale. Ora, nel 2025, quella retorica è tornata con forza rinnovata. In un comizio tenutosi nell’aprile scorso, l’ex presidente ha sottolineato la necessità di “controllare la Groenlandia” per superare Cina e Russia nella corsa all’Artico. Tuttavia, Larsen invita alla prudenza: «Seguiamo con grande attenzione qualsiasi interesse rivolto all’acquisto o all’annessione del nostro Paese», ha dichiarato. «Ma siamo anche consapevoli che questa idea non gode di un ampio sostegno, nemmeno tra l’opinione pubblica americana». Un messaggio chiaro: dietro ai proclami sensazionalistici si cela una realtà diversa, in cui il consenso reale per un’eventuale annessione appare decisamente limitato. Per la Groenlandia, ciò significa avere margini per difendere i propri interessi.
Nonostante ciò, le conseguenze di queste discussioni restano serie. Larsen mette in guardia: «Affermazioni di questo tipo non favoriscono la cooperazione tra i nostri Paesi. Anzi, le considero irrispettose. Ed è un peccato, perché abbiamo molti interessi in comune con gli Stati Uniti e vogliamo mantenere buoni rapporti. Tuttavia, tutto ciò deve avvenire su un piano di parità e nel rispetto del nostro diritto all’autodeterminazione e del popolo groenlandese». Per Larsen, questa retorica rappresenta una minaccia non solo per la Groenlandia, ma anche per i rapporti con la Danimarca e mina la fiducia nei principi del diritto internazionale.
L’Europa si schiera compatta al fianco della Groenlandia. La premier danese Mette Frederiksen, che già nel 2019 aveva definito “assurda” l’idea di acquistare l’isola, nel 2025 ha ribadito con fermezza che la Groenlandia non è una merce, ma la patria di un popolo sovrano. Anche molti leader europei vedono nell’atteggiamento americano un’eco di colonialismo, sottolineando come ignorare la volontà dei piccoli popoli sia una ricetta per nuovi conflitti. Per l’Europa — reduce dalle ferite delle proprie passate ambizioni imperiali — la difesa dell’autodeterminazione non è solo una posizione politica, ma un principio etico.
L’economia della Groenlandia aggiunge ulteriore contesto al dibattito. L’isola dipende ancora fortemente dalla Danimarca, ricevendo ogni anno circa 3,9 miliardi di corone danesi in sussidi statali, equivalenti a circa il 60% del bilancio groenlandese. La pesca rappresenta il 90% delle esportazioni, ma lo scioglimento dei ghiacci apre nuove possibilità di sfruttamento: petrolio, uranio, terre rare. Risorse che attirano l’attenzione non solo degli Stati Uniti, ma anche della Cina, già attiva con investimenti nei progetti artici. I leader groenlandesi, Larsen in testa, ribadiscono però che lo sviluppo deve essere al servizio degli abitanti locali. In una dichiarazione congiunta con la senatrice americana Lisa Murkowski, Larsen ha sintetizzato il concetto: «La Groenlandia è un partner, non una proprietà. Siamo aperti agli affari, ma non in vendita».
Paradossalmente, i discorsi sulla “sicurezza” degli Stati Uniti hanno reso la Groenlandia meno sicura. «Non abbiamo mai chiesto di diventare un focolaio geopolitico», ha osservato l’ex premier Kim Kielsen. Questa tensione alimenta i dibattiti interni sull’indipendenza o su una maggiore autonomia, ma, come sottolinea Larsen, l’obiettivo rimane immutato: i groenlandesi vogliono decidere da soli. I sondaggi confermano questa tendenza: il 65% della popolazione è favorevole all’indipendenza o al mantenimento dei legami con la Danimarca, mentre solo l’8% sarebbe disposto a considerare un’adesione agli Stati Uniti. Una statistica che evidenzia la forza dell’identità nazionale groenlandese, rafforzata dalle pressioni esterne.
L’Artico sta cambiando: il riscaldamento globale apre nuove rotte e aumenta la competizione internazionale. La Groenlandia, con la sua cultura unica e il suo fragile ecosistema, non può diventare merce di scambio. Larsen e i suoi sostenitori chiedono un dialogo tra pari. Gli Stati Uniti potrebbero proporre una vera partnership — in campo scientifico, ambientale ed economico — ma una retorica basata sul dominio allontana questa possibilità. Ignorare la voce dei groenlandesi significa minare la stabilità della regione e compromettere la fiducia nelle regole internazionali. La Groenlandia rivendica un principio semplice ma imprescindibile: la sua terra non è in vendita e il suo futuro appartiene a chi la abita.