Vito Daniele: una morte senza giustizia

par Samanta Di Persio
lunedì 17 marzo 2014

Il 9 giugno del 2008 Vito Daniele, come tutti i venerdì, da Roma tornava a Bari dalla sua famiglia. Alle 13 chiamò sua figlia che era in gita, poi sua moglie. Stava percorrendo il solito tratto di autostrada: al confine fra la provincia di Avellino e Benevento. Verso le 14, si vide inseguito da una macchina della Guardia di finanza. Lo fermarono e lo fecero accostare lungo la corsia di emergenza. Gli si fece incontro un agente in borghese, gli chiese i documenti per fare i dovuti controlli. Vito scese dalla sua macchina e fu travolto da una bisarca in transito.

Il motivo del fermo, si legge nel comunicato stampa della Guardia di finanza, era per eccesso di velocità. Il finanziere dichiara: 180 km/h. L’eccesso di velocità non è un reato che presuppone l’arresto immediato oppure una tale emergenza da fermare l’uomo lì dov’è: nei pressi di una galleria in curva. L’agente avrebbe dovuto portare l’uomo in sicurezza: in una piazzola di sosta o meglio in un’area di servizio. Comunque quell’agente non sarebbe dovuto essere da solo, i controlli si fanno almeno in due e la Guardia di finanza può effettuare posti di blocco solo fuori dall’autostrada.

Il biglietto d’ingresso, l’unica prova che avrebbe potuto confermare se Vito effettivamente avesse superato i limiti di velocità, è scomparso. Il 21 febbraio (c.a.), con pochi elementi, c’è stata la sentenza. Il maresciallo della Guardia di Finanza, l’autore del fermo, è stato dichiarato non colpevole. Il camionista, che ha travolto Vito Daniele, è stato condannato a sei mesi con la sospensione della pena.

Maria Zotti, moglie dell’uomo, prima della conclusione del processo, si era appellata a tutte le cariche istituzionali, anche al Presidente della Repubblica, perché ci sono testimoni mai chiamati a testimoniare. Non ha ricevuto nessuna risposta. Vito Daniele, marito e padre di tre figli non tornerà mai più in vita, e fino ad oggi viene negata anche verità e giustizia.

 


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