Vigevano: bambini esclusi dalla mensa scolastica. Il diritto all’uguaglianza negato

par Un altro genere di comunicazione
lunedì 7 ottobre 2013

Oggi vi racconterò una storia talmente tremenda di discriminazione che si fa fatica a crederci e faccio fatica persino a raccontarla.

Una discriminazione messa in atto dall’amministrazione comunale e pagata dalla parte più terribilmente inerme della società: i bambini.

Succede a Vigevano, in provincia di Pavia.

L’anno scorso, complice la crisi economica, alcune famiglie cominciano a fare fatica a far quadrare i conti a fine mese, e cominciano a non pagare più la retta della mensa scolastica. Quest’anno il numero di famiglie in difficoltà è aumentato parecchio.

La solerte amministrazione del Comune di Vigevano decide allora di agire. E cosa fa?

  1. cancella la fascia di esenzione per famiglie con ISEE inferiore ai 22.000 euro per i servizi comunali legati alla cura dei bambini e alla scuola, per cui famiglie che con l’amministrazione precedente erano esentate dal pagamento di alcuni servizi, si ritrovano improvvisamente a doverli pagare.
  2. porta il costo minimo di un pasto alla mensa scolastica a 3,60 euro (che sono una bella cifra per chi ha un ISEE da 3.000 euro e magari uno o due figli in età scolare).
  3. blocca tutti i servizi comunali per tutti i figli di quelle famiglie che hanno un debito pregresso superiore a 150 euro (per cui, se una famiglia è morosa sulla mensa di un figlio, vengono bloccati anche i servizi di pre e doposcuola, decade il diritto alla scuola materna e al nido nonostante le graduatorie per tutti i figli.

Con che risultato? 400 bambini si sono trovati esclusi dalla mensa. Gli altri vanno a pranzo in mensa e loro vengono mandati in un’altra aula a mangiare un panino.

Di fronte a questa follia un piccolo gruppo di persone, profondamente e giustamente indignate, fonda una piccola associazione che si chiama L’ARTICOLO 3 VALE ANCHE PER ME, che prende il nome dall’articolo 3 della Costituzione Italiana. Lo riporto qui sotto:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” 

L’associazione agisce nel più elementare buonsenso: cerca sia delle soluzioni a breve termine sia più strutturali. Come prima cosa, per dare una risposta nel breve periodo, partono con una raccolta fondi e raccolgono quanto basterebbe per riattivare il servizio mensa e tutti i servizi per tutti, così da risolvere il problema immediato del rimettere i servizi a disposizione di tutti, mensa al primo posto.

Basterebbe, ma il Comune di Vigevano risponde picche: prima bisogna saldare il debito pregresso, per cui i servizi possono essere riattivati solo per chi ha un debito inferiore a 150 euro ma non ce la fa a stare al passo con i pagamenti.

E intanto i bambini continuano a mangiare divisi: chi in mensa, chi in un’aula con il suo panino. Una discriminazione sulla pelle dei più piccoli, una violazione scandalosa del diritto fondamentale all’uguaglianza. Una discriminazione che pagheranno tutti: quelli in mensa e quelli in aula.

L’associazione L’ARTICOLO 3 VALE ANCHE PER ME fa allora una proposta più strutturale: attrezzare una stanza come un locale mensa per permettere ai bambini di portarsi il pranzo da casa. Sarebbe una buona soluzione, anche perché se il Comune argomenta questa inciviltà dicendo che non si può più sostenere il servizio mensa, forse sarebbe bene ripensare il servizio in modo da renderlo sostenibile per le casse comunali e accessibile ai cittadini.

Sarebbe un buon compromesso, ma l’ASL dice di no. Il locale mensa c’è e solo quello è autorizzato. Quello a cui i bambini con famiglie morose non possono nemmeno accedere.

E intanto i bambini continuano a mangiare divisi e pagano sulla loro pelle il peso di questa disuguaglianza, imparando, gli uni e gli altri, che la disuguaglianza vale fin da piccoli e che chi non ce la fa lo si lascia indietro.

Visto che l’ASL non autorizza un locale dove consumere una pietanza portata da casa, il dirigente scolastico autorizza i bambini a portare solo panini e merendine confenzionate, abolendo così anche il diritto di scegliere quello che si mangia.

E intanto i bambini continuano a mangiare divisi: chi in classe, chi in mensa. E imparano fin da piccoli a discriminare i più deboli, attraverso e con la benedizione delle Istituzioni.

A questo punto alcune famiglie chiedono di poter portare a casa a pranzo i loro figli. Non tutti perché non tutti abitano così vicino o possono permettersi l’avanti e indietro dalla scuola.

E il Provveditorato dice di no per chi ha scelto il tempo pieno. Chi ha scelto 40 ore la settimana e non riesce a pagare la mensa deve stare in classe a mangiare un panino o una merendina, perché il Provveditorato ha previsto che quei bambini facciano 40 ore e quelle ha finanziato, quindi i bambini non possono uscire per pranzo e farne solo 30.

E intanto i bambini continuano a mangiare divisi e in modo molto diverso. E imparano che la scuola è il mezzo che permetterà loro di abbattere le disuguaglianze, ma il luogo che le crea e le alimenta.

L’associazione a questo punto chiede aiuto a Save the Children, per cercare una mediazione con l’amministrazione comunale, che resta cieca e sorda, nonostante il numero di bambini esclusi e discriminati cresca di giorno in giorno. L’amministrazione rifiuta ogni contatto e ogni tentativo di mediazione per stabilire un piano di rientro delle famiglia morose per permettere ai bambini di tornare ad essere trattati tutti allo stesso modo.

Per il momento la situazione è questa e questa rimane, sperando che presto si pronunci il Garante per l’Infanzia e che l’interrogazione parlamentare che questa vicenda vergognosa ha scaturito porti qualche risultato, mentre i bambini continuano a mangiare divisi e in modo molto diverso.

Mi si stringe il cuore a pensare a questi bambini e mi monta una rabbia che non so descrivere. E faccio qualche considerazione:

1) Come possa un’amministrazione comunale passare sopra ai diritti dei bambini in questo modo scandaloso resta per me incomprensibile: come si fa a non capire che viene violato un principio fondamentale della Costituzione e della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza? Come è possibile che questo accada per mano dello Stato?

2) Se è vero che il Comune è in crisi e non riesce più a far fronte al debito delle famiglie per la mensa scolastica, come mai rifiuta qualsiasi mediazione che preveda un piano di rientro del debito per le famiglie? Perché non ci vuole un corso di scienza delle finanze per sapere che se c’è interesse a mettere in cassa quei soldi, un piano di rientro per le famiglie è indispensabile o quei soldi il Comune non li vedrà mai più. Quindi un Comune in crisi si può permettere di buttarli a mare questi soldi? Qualcosa non torna.

3) Sempre circa le casse comunali: non credo proprio che togliere gli altri servizi come il pre e il doposcuola ne diminuirà il costo, che è insito nelle strutture e nel personale, a prescindere dal numero di bambini che vi accede. E in ogni caso, perché non riattivare il servizio per chi riesce a pagare la retta oggi, anche se non riesce a ripianare il debito? Sarebbe certamente più ragionevole per il bilancio, piuttosto che lasciare una voce di passivo che non si appianerà mai. Di nuovo, qualcosa non torna.

4) Il Comune taglia i pasti per i bambini e finanzia il Palio delle Contrade. Non ho dubbi che ci siano delle difficoltà a far quadrare il bilancio, ma possibile che non ci fosse proprio nessuna altra voce di spesa che si poteva tagliare o ridimensionare prima di questa? Possibile che i pasti dei bambini vengano considerati così poco?

Mi pare chiaro che il problema non è un problema di bilancio, ma è un problema ideologico: è la cristallina volontà di questa amministrazione di tagliare fuori dal servizio una parte dei cittadini.

E ho altri due pensieri in gola, che non riesco a reprimere:

1) I genitori della altre famiglie, quelle solventi, perché non boicottano la mensa? Perché non mandare anche i loro figli a mangiare un panino in aula con gli altri? Questa non è una questione di poco conto: o tutti o nessuno, altrimenti non è più un diritto, ma un privilegio mantenuto a spese degli altri. Questa è un’ingiustizia talmente grande che come si fa a passarci accanto senza reagire? Come si fa a non avere più nemmeno un barlume di solidarietà, nemmeno di fronte ai bambini?

2) Sarà un caso che la maggior parte delle famiglie sono famiglie di immigrati? O sarà questo il motivo per cui l’amministrazione comunale ha evidentemente SCELTO di rendere impossibile l’accesso ai servizi? Non sarà forse una discriminazione di stampo razzista?

 


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