Viaggiare, lavorare e morire da clandestini: Bilal

par Segnali di fumo
lunedì 2 settembre 2013

Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini. Un libro di Fabrizio Gatti. 

Cronaca di un viaggio all’inferno del coraggioso giornalista Fabrizio Gatti che decide di seguire le orme di migliaia di migranti che attraversano il deserto del Sahara lungo la “rotta dei nuovi schiavi”.

Le pagine di questo libro raccontano di uomini e donne, ragazzi e ragazze, a volte bambini, che affrontano il viaggio in cui hanno investito tutte le loro speranze, i loro pochi soldi, la loro stessa vita.

Un viaggio che li dovrebbe rendere finalmente liberi, in quanto la meta dovrebbe essere un Paese sicuro, dove trovare un posto di lavoro e poter vivere in modo dignitoso, e poter assere d’aiuto a chi è rimasto a casa.

Ma in realtà si tratta di una vera e propria roulette russa. Perché nel deserto la fame e la sete sono mali temibili tanto quanto i militari e le forze di polizia che pretendono la tangente, e torturano uomini e donne per estorcere loro i soldi. E se non hai soldi, la tortura è ancora più pesante e il corpo, già in uno stato ai limiti della sopravvivenza per il caldo atroce, la fame e la sete, rischia di cedere.

Tutto questo mentre i ministri e parlamentari italiani si vantano degli accordi sulla migrazione con la Libia che nei fatti non ha risolto alcun problema, anzi ha visto una recrudescenza delle violazioni dei diritti umani a danno dei migranti.

Dopo gli accordi con l’Italia in Libia sono avvenute delle vere e proprie retate: anche stranieri che vivevano in Libia da tempo e avevano un lavoro venivano espulsi attraverso il deserto. Senza acqua e cibo a sufficienza. Un viaggio di ritorno attraverso il deserto, terribile come quello dell’andata.

Intanto in Italia politici commentavano positivamente le diminuzioni di sbarchi a Lampedusa.

E il viaggio-inchiesta prosegue proprio a Lampedusa dove Fabrizio Gatti per poter entrare nel centro detenzione, il cui accesso era negato anche ai parlamentari se non dopo congruo preavviso, fa credere di essere Bilal, immigrato curdo arrivato con uno dei tanti barconi, ed effettivamente ripescato fortunosamente dal mare da abitanti dell’isola.

Una volta rinchiuso nel centro Bilal è testimone di indegni, inumani trattamenti a danno dei migranti, e testimonia la presenza anche di minori, che per la legge italiana non dovrebbero essere rinchiusi nel centro.

Il viaggio all’inferno di Bilal continua nelle campagne di Foggia dove i braccianti vivono, e anche muoiono come schiavi. “E forse nessuna morte da vivi laggiù è dolorosa come la morte da schiavi in Europa”.

Pagine crude, intense, pregne di indignazione e denuncia che colpiscono nel profondo dell’animo di chi crede nel rispetto della dignità di ogni uomo e di ogni donna.

Un’esperienza coraggiosa, che segna l’animo, da cui non si puo’ più tornare indietro. Testimonianza di un giornalismo che vuole far conoscere la verità a difesa di coloro a cui viene tolta la dignità, e a volte la vita. Di coloro che soffrono ingiustamente.

Un libro che tra l’altro chiarisce in modo disarmante come le leggi italiane e europee possano influire sulla vita e la morte di migliaia di persone, sul loro benessere o sofferenza, e di come, in quanto cittadini italiani e europei, abbiamo il dovere civile di tenere alta l’attenzione riguardo al trattamento dei migranti e prendere posizione.

Fabrizio Gatti, nel 2008, con Bilal ha vinto il Premio Terzani.

 


articoli di Monica Mazzoleni


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