Verona, capitale dell’oltranzismo reazionario

par Fabio Della Pergola
venerdì 15 marzo 2019

Come ormai è noto a fine marzo si svolgerà a Verona il XIII World Congress of Families vale a dire l’annuale forum in cui si elabora la proposta politico-culturale di difesa e riproposizione della “famiglia naturale”, organizzato dall’Organizzazione Internazionale per la Famiglia, presieduta dall’americano Brian S. Brown, padre di nove bambini, evidente fiore all’occhiello della “famiglia naturale” (secondo chi non si cura minimamente del problema, enorme, della sovrappopolazione planetaria), il cui merito sarebbe - scrive il Washington Post - quello di “opporsi alle unioni gay con il buon senso e un sorriso”. Insomma uno che gentilmente agisce per togliere diritti a chi faticosamente ne ha conquistato qualcuno.

Alla kermesse veronese parteciperanno – oltre a Brown – Massimo Gandolfini, portavoce e presidente degli ultimi due Family Day e Antonio Brandi fondatore dell’associazione antiabortista Pro Vita. A nome del governo ci saranno Matteo Salvini, il ministro dell’Istruzione Bussetti e, ovviamente, il ministro della famiglia Lorenzo Fontana. Per la Regione Veneto il presidente Zaia. A fare gli onori di casa il sindaco Sboarina. Naturalmente presente fra i relatori il senatore Pillon.

In sintesi una passerella dei leghisti duri, puri e tradizionalisti anche se, a onor del vero, alcuni dei loro leader di famiglie ne hanno avute più d’una in modo non poi così “tradizionale”.

Inoltre è prevista la partecipazione del presidente moldavo Igor Dodon, di Katalin Novak, ministra ungherese per la famiglia del governo Orbàn, la principessa di Thurn und Taxis, il Duca d’Angiò, un calciatore, vari esponenti religiosi (questa volta è conteggiato come psichiatra quell’Alessandro Meluzzi diventato nel frattempo primate di una misconosciuta Chiesa ortodossa), numerosi professori (fra cui la pluridenunciata Silvana De Mari) alcuni esponenti del mondo della stampa e della televisione.

A questo richiamo rispondono dall'Africa esponenti politici da Nigeria, Uganda, Malawi che per certe loro dichiarazioni inneggianti a galera o anche pena di morte per gay o donne abortiste non dovrebbero avere nemmeno il diritto di mettere piede sul suolo di un paese democratico, altro che parlarci.

Ma i più interessanti – mi scusino gli altri – sono i russi. Sia l’Arciprete Dmitri Smirnov, che l’ambasciatore del Congresso Mondiale delle Famiglie all’ONU e portavoce della Commissione sulla famiglia del Patriarcato di Mosca, Alexey Komov.

Sia l’uno che l’altro sono vicini all’entourage di Vladimir Putin con l’intento di facilitargli un progetto politico quanto più prossimo ai dettami della Chiesa Ortodossa (Smirnov) e di cui Komov esalta il fatto di aver «rivalutato la storia zarista, l’importante ruolo della Chiesa Ortodossa e anche le vicende di Nicola, ultimo Zar, e la sua famiglia che è stata giustamente canonizzata» (sic). Nientemeno.

Il fulcro del loro discorso è combattere la tendenza del mondo liberale occidentale a distruggere (parole loro) la famiglia tradizionale tramite divorzio, aborto e riconoscimento del matrimonio omosessuale. Punti di vista incomprensibili per chiunque pensi che un divorzio sia meglio dell'inferno coniugale di cui spesso parlano le cronache, che l'aborto legale sia meglio di quello clandestino, che due gay sposati non possano minare in alcun modo il matrimonio di due etero sposati (a meno che uno dei due non sia un gay latente, ovvio).

Ma chi sono questi russi? Chi c’è dietro il ramo russo del Congresso Mondiale delle Famiglie guidato da Komov?

Come ha scritto l’Huffington Post: «Tra coloro che finanziano la maggior parte del lavoro del Congresso Mondiale delle Famiglie in Russia vi è Konstantin Malofeev, uno dei miliardari ortodossi che fa da ponte tra le politiche di Putin e quelle dell'estrema destra europea».

Konstantin Malofeev è un ambiguo politico e uomo d'affari che si autodefinisce un "patriota ortodosso", artefice della Fondazione Carità di San Basilio il Grande e presidente di un think tank moscovita, Katehon, dal pesante sentore di “servizi”, di cui ho già parlato a fine 2016 quando ne faceva parte, nelle sue vesti di anima pensante, quell’Alexandr Dugin che oggi trova spazio, insieme al suprematista e complottista americano Alex Jones, su un'altra piattaforma gestita da Malofeev dal nome emblematico di Tsargrad (Città dello Zar), il nome russo di Costantinopoli.

Dugin, necessario ripeterlo, è il referente “culturale” dei sovranisti europei, è definito anche l'ideologo di Putin ed è citato con simpatia e ammirazione al di là dell’oceano da Steve Bannon e dal leader dell’Alt-right neonazista Richard Spencer la cui moglie di origini russe, Nina Kouprianova, ha tradotto il libro più filosofico di Dugin: Martin Heidegger: the Philosophy of Another Beginning.

L’incontro veronese è stato liquidato dal leader del M5S Luigi Di Maio con parole di sconcertante superficialità come un incontro delle destre "sfigate”.

Purtroppo la realtà delle destre suprematiste di oggi è invece tutt’altro che “sfigata” e quello di Verona sembra piuttosto un altro tassello del per nulla fragile progetto reazionario articolato, ben pianificato e abilmente costruito nel tempo.

Inutile lamentarsi del disegno di legge Pillon se non si è capaci di andare a vedere in profondità i movimenti filosofico-politici che si muovono nel mondo. Ed è dalla vittoria di Trump in America, oltre due anni fa, che si è capito quanto la destra reazionaria abbia ormai la capacità di dare la sua impronta letale al mondo dei diritti umani e civili dell'Occidente.

Foto: VV Nincic/Flickr


Leggi l'articolo completo e i commenti