Vergogna - Metamorfosi di un’emozione

par michele lupo
lunedì 2 luglio 2012

“La maschera per tutti è quella dell’allegro gaudente”, scrive la sociologa Gabriella Turnaturi nel recente saggio sulla Vergogna (Metamorfosi di un’emozione) uscito da Feltrinelli. La frase sintetizza benissimo una condizione dell’oggi, che potrebbe, però, anche essere in via di liquidazione, a causa della crisi devastante, prodotta dallo stesso iperliberismo che lo ha sostenuta. 

Turnaturi legge il sentimento della vergogna (e le sue trasformazioni) come costruzione sociale, un fatto individuale ma prodotto all’interno di sensibilità condivise, per lo più inerenti all’immaginario (il che spiega il ricorso nella sua ricerca al cinema, alla canzone, alla letteratura). L’accento è posto sull’indebolimento del legame sociale, necessario alla convivenza civile, provocato dal crollo o, almeno, dallo slittamento semantico su un piano tutto esteriore della vergogna, e niente ha favorito questo risultato, in Italia, come la politica. Il rischio, non solo è evidente, ma ha già prodotto i suoi veleni nella dimenticanza generale del fatto che la stessa democrazia -qualunque cosa sia – non può vivere di sole procedure formali. “Non esiste società senza vergogna”, scrive Turnaturi.

Ora, se è vero, che su di essa facilmente può imporsi il dominio di uno stato totalitario, un ruolo decisivo, in questo passaggio storico, probabilmente, lo ha svolto la violenza orrifica dell’attuale capitalismo, ossia di una fase storica che si vende come “priva di ideologia”, con ciò, propagandando un inesistente stato di natura in ragione, della cui menzogna chiunque “sarebbe” libero di scegliere e definire la propria vita. La realtà, invece, è che a un liberismo assoluto e senza regole corrisponde un totale deregolamento di tutte le inibizioni, comprese quelle necessarie al vivere pubblico.

La trasformazione dell’emozione, legata alla vergogna, oggi raggiunge un punto pericoloso: un’individualizzazione esasperata da una parte e il senso di inadeguatezza dall’altra, deficit che, però, non è dovuto a imbarazzo morale, quanto piuttosto al venir meno delle proprie “prestazioni”. Il problema è la rappresentazione di sé, dunque, l’immagine intesa come prestazione spettacolare. Nella quale appare evidente il bisogno di nascondere qualsiasi fragilità. Di negare fino all’ultimo il fallimento, per esempio.

Basterebbe il Leopardi del libretto sugli italiani, qui dimenticato, ma soccorre la citazione di Marx (“La vergogna è già una rivoluzione”) per dare l’occasione alla studiosa di ricordare che se il sentimento della vergogna avesse mantenuto un indice accettabile gli ultimi vent’anni della storia italiana sarebbero stati diversi. Lo sapevamo no?

 


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