Utopia matters: dalle Confraternite al Bauhaus 1 maggio–25 luglio 2010

par REPORTER
martedì 4 maggio 2010

 
 
 
Dal 1 maggio al 25 luglio 2010, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia presenta Utopia Matters: dalle

confraternite al Bauhaus, a cura di Vivien Greene, Curator of 19th- and Early 20th-Century Art al Guggenheim Museum di New York.
 
Attraverso oltre 70 opere, tra dipinti, sculture, disegni, oggetti di design, fotografie e stampe, la mostra analizza l’evoluzione degli ideali utopici nel pensiero e nella pratica artistica occidentale moderna, prendendo in esame una serie di casi studio internazionali rivelatori dei molti aspetti che l’utopia assume se adottata dai movimenti artistici, dalle confraternite ottocentesche fino alle avanguardie del primo dopoguerra.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il percorso espositivo ha inizio a cavallo tra Sette e Ottocento quando sorgono gruppi di artisti con fini

utopistici articolati, che si autodefiniscono confraternite e compiono uno sforzo consapevole per formare

comunità ideali. Tali confraternite sono spesso caratterizzate da un’opposizione al modernismo, dall’assenza

di un progetto politico definito, da tentativi di riforme di tipo idealistico e individualistico. Aspirano a vivere un’esistenza pura, talvolta monastica, e a rimanere intoccati dai mali esterni. In alcuni casi il loro appartarsi è provocato da sentimenti religiosi nati in opposizione alla crescente secolarizzazione della Chiesa cristiana nel corso dell’Ottocento, in altri dalla ricerca del “primitivo”, dell’immergersi nella natura, del ritornare a uno

stato di armonia incontaminata. È questo il caso dei Primitifs francesi, la cui arte si rifà al primitivismo

dell’arte greca arcaica, etrusca e al Quattrocento italiano, con soggetti che richiamano scene intensamente

emotive tratte dai racconti di Omero, dai poemi di Ossian e dall’Antico Testamento.


Come i Primitivi e i Nazareni, anche i Preraffaelliti guardano al passato, affermando la propria fedeltà all’arte

e alla filosofia dell’epoca che precede Raffaello, in cui dominavano le corporazioni. Annoverano artisti come

William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, la cui produzione privilegia le nitide

narrazioni pittoriche nello stile del Quattrocento italiano, scegliendo soggetti tratti dalla storia e dalla

letteratura medievali, dalle opere di William Shakespeare e dalle storie religiose, per evocare epoche in cui

cavalleria, purezza d’animo e moralità regnavano sovrane. 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Col finire del secolo, in seguito all’avvento di ideali di sinistra, molti movimenti, tra cui in Francia i neoimpressionisti, adottano ambizioni utopistiche di natura politica, facendo della propria arte strumento di

difesa dei diritti dei lavoratori e di critica nei confronti del capitalismo. Nelle proprie opere, i neoimpressionisti descrivono un mondo idealizzato, di stampo progressista, in cui lavoro, arti e attività ricreative si fondono in una società unificata, e utilizzano una tecnica pittorica divisionista, vagamente basata su teorie scientifiche, fondendo metodi contemporanei e descrizioni idealiste. Mentre Camille Pissarro dipinge paesaggi bucolici e cicli pastorali di vita contadina, che ritraggono i lavoratori armonicamente inseriti nel ritmo della vita di campagna, con un linguaggio più impressionista, Paul Signac ed Henri-Edmond Cross ( Gita, 1895) dipingono nello stile ispirato alle teorie divisioniste, prendendo spunto per le proprie immagini, dal vocabolario visivo pastorale classicheggiante.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’inizio del Novecento si osserva un cambiamento nelle finalità dei gruppi utopistici in via di formazione.

Con l’avvento dell’astrazione e specialmente dopo gli orrori della Grande guerra, si verifica una svolta verso

un’idea di verità incarnata in pure forme astratte che vengono equiparate all’armonia. I fondatori di De Stijl, un piccolo gruppo di artisti, architetti e poeti olandesi capitanati da Theo van Doesburg ( Contro-composizione XIII, 1925–26) credono che le proprietà formali di architettura, arte e design possano contribuire a creare un senso di armonia negli e tra gli individui. Per dare vita a un linguaggio

visivo di livello universale, gli artisti De Stijl creano dipinti basati su forme geometriche bidimensionali, diversi

per dimensioni e gamma di colori. La speranza del De Stijl di rivoluzionare le relazioni sociali e la cultura

mediante un linguaggio artistico di forme “ridotte” è riscontrabile nei movimenti che nascono in quel periodo,

in special modo nel Bauhaus, scuola pubblica d’arte, architettura e design, fondato a Weimar nel 1919,

dall’architetto Walter Gropius. La scuola riunisce i principali artisti e designers dell’avanguardia in un gruppo

di lavoro che si propone di ricostruire la società del dopoguerra grazie all’arte e al design. Tra i maestri del Bauhaus, in mostra a Venezia, spiccano Vasily Kandinsky ( Dipinto blu, 1924) e Joseph Albers (Concatenato, 1927).


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche Lenin e i bolscevichi, che assumono il potere in Russia dopo la rivoluzione del 1917, inseguono una

visione utopica, sebbene incentrata sulla ridefinizione dei rapporti tra le classi sociali. Tuttavia, in campo

artistico, Lenin sostiene gusti estremamente conservatori e preferisce la cultura borghese dell’Ottocento

europeo alle poetiche radicali dell’arte non-oggettiva dei costruttivisti.

Il percorso espositivo termina proprio con gli inizi degli anni ’30 del Novecento, quando l’ascesa del fascismo

portò alla chiusura, nel 1933, del Bauhaus a Berlino e lo stalinismo ridisegnò i progetti del costruttivismo

Russo in Unione Sovietica. Ciononostante gli esperimenti utopistici persistono, dalle colonie e dai collettivi di

artisti fino alle comunità ecologicamente autosufficienti, dando vita ai numerosi capitoli di una storia che ci

conduce fino ai giorni nostri.

 

http://www.guggenheim-venice.it/exhibitions/mostre.php?tipo=2


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