Usi e costumi nell’antica Roma: la vita sociale e le “Taberne”.
par Rita De Angelis
lunedì 6 giugno 2011
I Romani attribuivano molta importanza alla vita famigliare ed intima, il culto dell’amicizia ed i ricevimenti nella loro casa, ma gradivano anche mescolarsi alla folla nelle strade, nelle piazze e nei luoghi di spettacolo, cogliendo così un’ulteriore occasione per dissetarsi con la loro bevanda preferita: il vino. Ma se il consumo che ne potevano fare nelle loro case era modesto, non era così allargandolo alla città intera, per la possibilità che si aveva di berlo in ogni ora ed in ogni luogo.
Per coprire il fabbisogno di un così vasto mercato, battelli carichi di botti e di anfore provenienti dalle isole dell’Egeo, da Cipro, dalla Grecia, dalle Baleari e dall’Asia Minore, si affollavano e transitavano nel porto di Ostia; mentre i vini della Gallia e del Reno sostavano a Civitavecchia facendo arrivare su questi lidi ben ottanta marche di vini prelibati, du cui i due terzi erano italici.
Sbarcati dalle navi “onerarie” nelle cui stive i recipienti erano adagiati su letti di sabbia, i vini venivano caricati su barconi a fondo pianeggiante, che risalivano il fiume Tevere. Anfore contenenti vino venivano conservate in depositi chiamati “horrea vinaria” alla sinistra del fiume ai piedi dell'Aventino.
In tale grande attività che talvolta rischiava il marasma, le anfore venivano riconosciute dalle etichette, cioè da un’iscrizione in legno o terracotta fatta a pennello sul corpo dell’anfora; per i vini di poco pregio bastava un segno, come si fa anche oggi con il gesso. Per indicarne la data si scriveva il nome dei consoli in carica nell’anno.
Il commercio del vino assunse così tanta importanza nella Roma dell’Impero, che fu necessario raggruppare tutti i suoi esponenti, in un unico organismo che prese il nome di Corpus vinariorium (corporazione dei vinai), peraltro molto importante, perché riconosciuto tra i sei maggiori dei circa settantacinque del periodo classico.
La via Biberatica, nei Mercati Traianei, fu testimone dell’importanza commerciale del vino: nelle sue sovrapposte tabernae, è stato possibile riconoscerne il percorso ancora funzionante nel Medioevo, per la struttura di “botteghe a vino” con celle vinarie.
L’immensa quantità di vino che sbarcava nei porti del tirreno e confluiva a Roma,veniva venduta in innumerevoli posti dal più umile e malfamato al più decoro e d’elite.
Il vino però non veniva solo regalato, ma anche venduto a coloro che durante l’attività cittadina, non potendo rientrare a casa per il pasto di mezzogiorno, non si accontentavano dell’acqua erogata dalla numerose fontane disseminate nella città, e preferivano acquistare bevande e cibi più gradevoli. Vi erano anche coloro che vivevano di espedienti, erano costretti a cercare luoghi, quali taverne dove saziare la fame.
Se non si voleva “spizzicare” qualcosa presso questi ambulanti, ma magiare cibi più elaborati, allora era d’obbligo fermarsi presso “una taberna”.
Questa parola nel corso dei secoli a subito varie trasformazioni, si tratta sempre di luoghi di ristoro con caratteristiche ben distinte. La “taberna” era all’inizio una piccola bottega di Artigiani situata al pianterreno o seminterrato di uno stabile. Solo più tardi la “taberna vinaria” finì col diventare la “taverna” per eccellenza, cioè il locale specializzato nella mescita del vino al dettaglio e la consumazione sul posto, successivamente definita luogo dove “si beveva e si mangiava”.Questi luoghi erano assai numerosi a Roma ed in Italia, ma anche nelle Provincie, per cui il termine “taberna” è giunto sino ai nostri giorni, senza mutare molto nel suo significato ,tantè che ancor oggi il nome italiano “taverna” è sinonimo di osteria.
Rita De Angelis.