United Colors of Bangladesh: crolla il palazzo e le brand image delle multinazionali

par Titti D’Apote
giovedì 2 maggio 2013

Quanto tempo ci vuole per costruirsi un'immagine? Chiediamoglielo alle multinazionali, che nel creare quell'asset intangibile spendono da sempre buona parte del loro budget di marketing: promozioni, comunicazione, pubblicità, media, eventi, testimonial, campagne di beneficienza, iniziative in store, ma anche iniziative di guerrilla, ninja... e potremmo andare avanti ancora per due ore. E in quanto tempo la stessa immagine si distrugge? Un attimo.

Proprio oggi, a 20 anni dalla creazione del web, ci si rende conto di quanto la potenza di internet sia geniale nel generare il passaparola tanto bramato dai brand, e quanto sia catastrofica a spingerli in un attimo tutti giù nel fosso.

Una foto, solo una che riprende una t-shirt del noto marchio Benetton sotto le macerie della palazzina crollata a Dacca, e via nel dimenticatoio tutte le campagne realizzate su valori dell'etica, dell'uguaglianza dei popoli, del rispetto, della pace, e quelle fatte per sensibilizzare su temi quali la fame nel mondo, il razzismo, disoccupazione e via dicendo.



Nel girone delle multinazionali "peccatrici" della catastrofe in Bangladesh che ha fatto più di 380 morti, però, non c'è solo il mady in Italy, ma anche El Corte Inglés, Mango, PrimarkBonmarchè, come afferma l'organizzazione "Bangladesh Center for workers sodidarity".

E allora la questione sui social si impregna di un misto di vergogna, boicottaggio, sdegno e valori che non hanno più un senso. Benetton, dal canto suo, smentisce le accuse, dichiarando in un comunicato ufficiale la totale estraneità al caso, comunicato che ha però la credibilità a breve scadenza, poiché le immagini che "incastrano" l'azienda rese note da AFP e Le Figaro, portano a tutt'altra conclusione.

Da azienda che fare in questi casi? Il silenzio non è la strategia migliore, come ci ricordano i social marketer, il tempismo è tutto, e per non creare una polemica, bisogna agire subito. Primark non smentisce le accuse, l'azienda è coinvolta e aiuterà le famiglie delle vittime del crollo della palazzina costruita illegalmente, dove si trovavano alcune sue linee di produzione. Per l'azienda di Treviso invece si prevede già una contro-comunicazione, alle tante campagne "United Colors of Benetton", i consumatori rispondono con un secco "United Colors of Bangladesh". Un messaggio chiaro, di distacco e delusione. 

E quelle etichette "Made in Turkey" o "Made in Indonesia", che ritroviamo sempre in capi che acquistiamo nei grandi centri commerciali, non hanno lo stesso sapore amaro del Bangladesh? O magari, non so, le produzioni da quelle parti ce le immaginiamo fatte in totale sicurezza, comodità e rispettando le 8 ore standard di lavoro? Sì, ma lì non è crollato un palazzo, i brand sono al sicuro.


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