Ungheria, ora Orbán vuole vietare anche il Pride
par Riccardo Noury - Amnesty International
giovedì 26 giugno 2025
Una delle molte definizioni che resero conosciuta Amnesty International, all’inizio della sua attività, era questa: “Un movimento di persone comuni per persone comuni”.
Per 30 anni, il Budapest Pride è stato un momento di visibilità, solidarietà e libertà in uno stato, l’Ungheria, dove le persone Lgbtqia+ venivano progressivamente emarginate.
Da quando Victor Orbán è salito al potere, la prima volta a cavallo dei due secoli per poi rimanerci stabilmente dal 2010, gli spazi di libertà sono stati via via erosi e il Budapest Pride è diventato un luogo condiviso di resistenza all’autoritarismo.
Non è un caso, dunque, che il 18 marzo – 24 ore dopo la sua presentazione – il parlamento ungherese abbia approvato un emendamento costituzionale che colpisce ulteriormente la libertà di espressione. Con un linguaggio generico che ricorda le disposizioni della legge sulla “propaganda gay” adottata dalla Russia nel 2023, il testo vieta ogni raduno ritenuto “contrario allo sviluppo morale dei minorenni”.
La legge, adottata con 136 voti a favore, consente l’uso della tecnologia per il riconoscimento facciale per identificare le persone che prendono parte a iniziative ora vietate, nonché una multa di 500 euro (il salario minimo in Ungheria è di poco superiore ai 700 euro e l’inflazione è una delle più alte in Europa) per chi vi partecipa.
Chi organizza eventi vietati rischia fino a un anno di carcere. Infine, la legge amplia il numero dei casi in cui le forze di polizia possono disperdere manifestazioni di cui era stata data notifica.
È dal 2020 che il governo ungherese si accanisce contro i diritti delle persone Lgbtqia+: ha vietato il riconoscimento legale delle persone trans, ha cancellato da gran parte della dimensione pubblica compresa le scuole e la programmazione televisiva diurna – le minoranze sessuali e di genere, ha impedito le adizioni alle coppie omosessuali e ha emendato la Costituzione in modo tale che definisce la famiglia “unione di un uomo e di una donna”.
Quello di Orbán è un misto di ideologia e cinico calcolo politico: additando come capri espiatori le persone Lgbtqia+, il governo devia l’attenzione dalla crisi economica e riduce il dissenso al silenzio.
I mezzi d’informazione pro-Orbán, praticamente quasi tutti, definiscono il Pride “una provocazione illegale” che ha l’obiettivo di “corrompere i giovani”.
Ma il 28 giugno le persone Lgbtqia+, i movimenti per i diritti umani e quella parte della società civile non ancora “orbanizzata”, intendono scendere in piazza.
L’Unione europea intenderà sostenere questa elementare rivendicazione dei diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica?