Ungheria: avanzata della destra estrema di Jobbik

par Sergio Bagnoli
martedì 10 agosto 2010

Preoccupante tendenza isolazionista dellâUngheria che sfida apertamente il fondo Monetario Internazionale.  
Nelle scorse settimane in Ungheria, quasi alla vigilia di un’importante tornata elettorale di carattere amministrativo che nel prossimo mese di ottobre vedrà i magiari chiamati a rinnovare le amministrazioni locali delle maggiori città del paese, si è fatta largo un’idea, di stampo fortemente nazionalsocialista, fatta propria dal Governo guidato da Viktor Orban. A settant’anni dal colpo di stato totalitario dell’ammiraglio Horthy che inaugurò una sciagurata politica di avvicinamento alle forze dell’Asse, ci trovavamo all’inizio della seconda guerra mondiale, e di autarchia economica interna, per far fronte all’attuale grave crisi che da due anni interessa il paese, il partito conservatore, Fidesz, attualmente al potere, pare essere tentato a ripercorrere le stesse sciagurate strade di oltre mezzo secolo fa. Il ministro dell’Economia di Budapest Gyorgy Matolcsy ha infatti annunciato che “l’Ungheria deve rendersi indipendente finanziariamente e perciò uscire dalla crisi senza nessun aiuto esterno, tanto meno un aiuto da parte del Fondo Monetario Internazionale. Al massimo coopereremo in materia solamente con l’Unione europea”. Detto fatto: alla fine dello scorso mese di Luglio, l’Ungheria ha interrotto ogni rapporto con il Fondo che ha aspramente criticato Budapest per alcune misure anticrisi introdotte come la supertassa sugli istituti assicurativi, pari al 5,2%, quella sulle banche, lo 0,45%, e quella sugli altri istituti finanziari pari al 5,6%. Al grido populista di “il Fondo Monetario affama il popolo”, Orban dunque ha fatto ciò che neanche Barack Obama, che ha tassato l’attivo delle banche solamente nella misura dello 0,15%, ha osato. Panico dunque in borsa a Budapest e quotazioni in picchiata per la moneta nazionale, il Fiorino.
 
Nel 2008 l’Ungheria aveva ottenuto, dall’istituzione internazionale con sede a Washington, un primo prestito pari a dodici milioni e mezzo di Euro che, con le quote aggiuntive di Unione europea e Banca mondiale, aveva raggiunto i venti milioni. In cambio il precedente governo magiaro aveva varato una serie di misure di austerità quali il blocco degli stipendi pubblici e delle assunzioni per due anni, l’aumento dell’Iva al 25% che fu causa di un inasprimento dei prezzi al dettaglio difficilmente sopportabile da una popolazione già generalmente povera e l’innalzamento dell’età pensionabile a sessantacinque anni. Ora gli ungheresi non vogliono più sentire parlare di austerity e, di fronte al concreto rischio che alle amministrative del prossimo autunno venga preferito il movimento dell’estrema destra nazionalista Jobbik, Orban ed il suo governo hanno preferito giocare d’anticipo e sposare alcune tesi populiste tra cui quella di tassare gli istituti bancari ed assicurativi piuttosto che scalfire certe rendite in mano ai soliti noti. Il pericolo ora è che gli investitori stranieri, tra cui le banche italiane Unicredit ed Intesa San Paolo, scappino altrove o rinuncino ad intraprendere un’attività nel paese danubiano, pur se, ufficialmente il deficit magiaro pare sia solamente attorno al 3,8% del Pil, quasi in linea con i famosi parametri di Maastricht. Anche la vicina Romania sta attraversando un grave periodo di crisi che l’ha costretta a chiedere l’aiuto del Fondo Monetario ma sinora ha varato tutte le misure richieste dagli “gnomi” di Washington come l’aumento della Tva (l’Iva romena) dal 19 al 24% ed il taglio degli stipendi pubblici del 25%. L’Ungheria invece ora si è piccata di voler far da sola: nel primo semestre dell’anno venturo Budapest avrà la Presidenza di turno dell’Unione europea. Il pervicace nazionalismo anche in campo economico che contraddistingue la maggioranza politica che ne sostiene il governo e la convinzione intima che ora alberga in ogni ungherese, e cioè l’idea di voler rimettere in discussione l’ormai sepolto, dall’avvento dell’Europa a ventisette, Trattato del Trianon, non fa dormire sonni tranquilli a mezzo miliardo di europei.

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