Una testa rotta al ghetto ebraico

par Fabio Della Pergola
venerdì 17 gennaio 2014

Un cartello non vale una testa.

Né lo scorrere del sangue. Su questo non dovrebbe esserci mai alcun dubbio.

L’aggressione avvenuta nel quartiere ebraico ai danni di quattro ingenui ragazzotti (perché andare a staccare un manifesto che salutava Sharon in occasione della sua morte - “Sharon, uno di noi” - proprio nelle stradine del ghetto, bisogna essere o un po’ provocatori o un po’ stupidi) da parte di una "ronda" ebraica, non può che essere rifiutata in modo radicale: perché un cartello, per quanto simbolico, non può mai valere nemmeno una goccia di sangue (e qui di sangue ne deve essere uscito più di una goccia).

Quindi totale e incondizionata solidarietà allo sconsiderato Vladimiro, strappatore di manifesti altrui. E un invito chiaro alla comunità ebraica romana a valutare se le strutture di “sorveglianza” abbiano il diritto di rompere teste a fronte di un manifesto strappato e non solo, eventualmente, ad intervenire per garantire l’autodifesa in caso di aggressioni.

Già un anno fa era accaduto un episodio analogo (motivo per cui oggi alcuni si sentono autorizzati a titolare addirittura "ennesima aggressione al ghetto"), ma dai contorni molto meno chiari e comunque al termine di una giornata caotica con scontri tra manifestanti e forze dell'ordine eccetera. Che cosa sia avvenuto in quell'occasione non è mai stato davvero chiarito. Mentre sembra chiara - e del tutto immotivata - l'aggressione ai quattro ragazzi di ieri.

Lo strappo di manifesti è prassi consolidata fino a tempi recenti nel nostro paese, e uno di una certa età come me, ricorda bene come il reciproco strappo di manifesti giustificava in anni bui le ritorsioni più dure, fino all’assassinio. Ma erano, appunto, anni bui.

So benissimo che agli "ebrei" alcuni individui appartenenti alla sinistra radicale (come potrebbero essere Vladimiro e gli altri a giudicare dall’aspetto, ma questo ovviamente non vuole giustificare niente) non perdonano di essere ebrei; a parole dicono di essere antisionisti, non antisemiti, secondo il classico ritornello che voleva far passare anche quel razzista fascistoide di Dieudonné come un combattente per la libertà di pensiero, ma nei fatti poi provate a partecipare alle celebrazioni del 25 aprile con una kippà in testa e poi guardate che succede con irritante regolarità. Ne ho parlato mesi fa. 

Ma, naturalmente, questo non riguarda Vladimiro e gli altri, colpevoli solo di “strappo” di una carta che non parlava di “ebraismo”, ma di un individuo famoso più che altro per aver lasciato fare i loro comodi stragisti ai falangisti cristiani in quel di Sabra e Chatila (non solo per questo a dire il vero, è noto anche per il pragmatico ritiro forzato dei coloni ebrei da Gaza, ma questo è un altro discorso).

L’aggressione a Vladimiro & Co. quindi non è la legittima difesa di una comunità minoritaria o delle sue simbologie (la sinagoga, la scuola eccetera), ma solo la difesa - violenta - di una fede politica di parte. Con la stessa logica di Vladimiro anche un ebreo di sinistra, cioè dell’opposizione politica al leader defunto, avrebbe potuto strappare quel manifesto e finire con la testa rotta. Ma non voglio con questo ritenere meno importante la testa rotta di Vladimiro, sia chiaro, ma solo evidenziare che la scusante della "difesa del ghetto" non risponde alle caratteristiche di difesa di un gruppo etnico, come si potrebbe pensare e come cercano forse di far pensare gli aggressori di Vladimiro.

Non è in ballo l’autodifesa di una comunità, ammesso che sia legittimo concepire metodologie di autodifesa comunitarie in uno stato democratico dove lo Stato ha, almeno in via di principio, l’esclusività dell’uso della forza. Qui è in ballo l’organizzazione di una "squadra di parte politica" che chiunque è legittimato a definire una “squadraccia”.

Di tutto ha bisogno l'ebraismo, attorno a cui si addensano nubi sempre più scure un po' in tutta Europa, tranne che di questo. Rompere teste per un manifesto - politico - strappato: solo degli idioti possono pensare che sia legittimo.

Che si chiamino Casa Pound o Centro Sociale o Comunità Ebraica, la questione non cambia: sempre atteggiamenti fascisti sono.

 

 


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