Una rilettura estiva: il caso Enzo Tortora visto da Vittorio Pezzuto
par Bernardo Aiello
martedì 21 luglio 2009
Il saggio Applausi e sputi – Le due vite di Enzo Tortora, editore Sperling & Kupfer, scritto da Vittorio Pezzuto, giornalista professionista radicale, è stato uno dei libri maggiormente apprezzati dell’anno passato.
Chi non lo avesse letto, con l’arrivo di questa estate può porvi rimedio.
Non fatevi scoraggiare dalle dimensioni del volume: lungi dall’essere una lettura pesante ed impegnativa, scorre via facilmente, sia per lo stile asciutto e senza fronzoli sia per l’impianto entro cui si sviluppa il racconto. E l’interesse nel lettore è immediato nel ripensare oggi i fatti che hanno visto una persona per bene vittima di un sistema giudiziario assolutamente inverecondo.
Quel che alla fine rimane è il senso di vuoto davanti ad una vicenda, che non ha certamente comportato quelle conseguenze che, nella logica delle cose, ci si sarebbe aspettato; anzi, le discrasie del nostro sistema giudiziario, invece di ridursi e contenersi, sembrano espandersi e moltiplicarsi sempre più in maniera esponenziale.
Al riguardo acquistano particolare rilievo alcune considerazioni di Alessandro Passerin d’Entréves, filosofo e storico del diritto, piemontese, liberale, riprese dal saggio Lo Stato canaglia di Piero Ostellino: «In democrazia non c’è posto per la resistenza, né dell’individuo, né dei gruppi alle leggi e all’ordine costituito. E non c’è posto per una ragione precisa: perché le leggi sono l’espressione della volontà collettiva, che l’ordine democratico appunto rende possibile e garantisce». E ancora «La nostra approvazione, la nostra stima non vanno a chi vuole fare l’eroe senza correre rischi, a chi, dopo aver violato la legge, cerca, o pretende addirittura, di farla franca. Vanno invece a chi contro l’opinione dei più ha il coraggio di denunciare apertamente la legge considerata ingiusta, invocando non già il diritto, ma il dovere di farlo, e contribuendo, col soffrire della pena che la legge gli commina, all’avvento di una legge migliore e di una società più libera».
Così Alessandro Passerin d’Entréves coniugava l’obbligo socratico di rispetto della legge anche ingiusta con l’imperativo categorico kantiano di opporvisi perché ingiusta.
Da dove, dunque, nel caso Tortora, il senso di vuoto disincanto? Dall’evidente fallimento dell’azione del signor Enzo Tortora, non sconfitto ma vinto dalle imponenti forze nemiche, testimone del tutto inutile.
Proviamo a riflettere sulle leggi ingiuste del caso Enzo Tortora.
Quello che assolutamente è assente nel nostro sistema giudiziario è il principio della responsabilità nella trasparenza; ossia di quella glasnost invocata da Michail Gorbacov per realizzare la sua perestrojka; ossia di quella responsabilità invocata da Barack Obama per creare un nuovo sistema della finanza globale.
Nel processo penale nessuna trasparenza è prevista nei riguardi sia dell’imputato sia della parte lesa durante la fase istruttoria: l’amministrazione della giustizia ritiene essenziale, per così dire, colpire l’imputato a sua insaputa; e sono ridotte al lumicino le possibilità per la parte lesa di verificare il rispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Quanto al principio della responsabilità, esso è stato praticamente annullato dal Consiglio Superiore della Magistratura nel 1968, quando ha stabilito che gli esami di professionalità dei magistrati non devono basarsi sugli atti giudiziari dei candidati, i quali possono così progredire in carriera anche se autori delle più eclatanti castronerie nel proprio lavoro.
Sono queste le leggi ingiuste del caso Enzo Tortora; e sono ancora là a rendere inutile la testimonianza di quel gentiluomo.
Per questo motivo, chi non ha ancora letto il saggio di Vittorio Pezzuto, non sbaglia se sceglie di farlo e chi lo ha già fatto non sbaglia a rileggerlo.