Una parola ed una scuola "smart"

par Antonio Gallo
sabato 16 settembre 2017

Ieri ho scritto in un post che i ragazzi italiani stanno per tornare, o sono ritornati a scuola, una scuola sempre più "smart". Quella nostra intendo. Un termine inglese che, a mio parere, in un contesto del genere, può significare tutto ed il contrario di tutto. Io l'ho usato più per provocare che informare, a dire il vero. Del resto, in questa rubrica che dedico ogni volta non solo ad una parola, ma anche al suo possibile retro-pensiero, la parola, riferita alle condizioni della nostra scuola, mi porta a fare diverse considerazioni.

Il termine "smart" è oggi tra le più in voga nel mondo della comunicazione. Come spesso accade, si tratta di un prestito dalla lingua inglese. Nello specifico, si tratta di un aggettivo che può essere tradotto in rapido, veloce, abile, acuto, brillante, sveglio, intelligente, ma anche alla moda ed elegante, non sempre però in senso positivo, spesso in maniera provocatoria.

Quando si usa l’espressione "smart" riferita ad una persona, si fa dunque riferimento alla sua intelligenza, unitamente ad una qual certa capacità e velocità di apprendimento e di risposta agli stimoli esterni. 

Oggi viviamo infatti in un mondo in continua evoluzione, in cui essere veloci nel recepire i cambiamenti, adeguandosi alle nuove realtà, è la chiave per divenire e restare competitivi nel mondo del lavoro o, comunque più in generale, al passo con i tempi. 

Essere "smart" non significa, dunque, solamente essere intelligente, avere un alto IQ, Quoziente di Intelligenza: di per sé non è un valido indicatore di "pensare bene", ma anche pronti, svegli, brillanti, reattivi: saper mostrare doti di adattamento, soluzione di problemi, rapido apprendimento. 

Ne converrete che riferirsi alle condizioni della scuola italiana e assegnarci un termine come questo, con questi "complimenti", è più una provocazione che una valutazione.

Come valutare, del resto, la decisione presa dalla Ministra dell'Istruzione di usare il cellulare (non l'ho chiamato "smartphone" volutamente!) se non "smart", vale a dire alla moda, di tendenza, originale. Perchè di questo si tratta. 

Noi Italiani, ci teniamo ad essere, o meglio, apparire aperti, moderni, disponibili alle novità, per dimostrare quanto siamo dinamici, democratici e via "smartando". Le azioni e le decisioni della politica devono essere di conseguenza tali, per ricevere il giusto, atteso, voluto e cercato riscontro (non ho detto "feedback!) che porta voti in termini elettorali.

Il fiorentino e "machiavellico" Matteo (detto nella famosa e ed errata definizione che viene scorrettamente affibbiata al Niccolò) ha ben dimostrato la sua bravura, la sua "smartness", questa la parola esatta, che a lui, a suo modo di pensare ed operare ben si adatta. 

Se non è "smart" lui, chi può esserlo in questo momento, un questa Italia sempre più presa ed attenta a problemi che della "smartness" hanno soltanto l'aspetto effimero e vano? 

Una Italia, quindi, come la sua scuola pericolosamente "smart", guidata da una Ministra altrettanto "smart" che vede nel cellulare il giusto strumento didattico per i suoi studenti. 

E' vero che "il fine giustifica i mezzi". Ma è altrettanto corretto pensare che il "mezzo è il messaggio". E se il messaggio è quello dello "smartphone" in mano ai ragazzini per studiare, siamo destinati ad avere davvero un improbabile futuro "smart".


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